Alfabeta - anno VIII - n. 86/87 - lug./ago. 1986

Il sublimeGim~9po Burke Edmund Burke Inchiestasul Belloe il Sublime a cura di Giuseppe Sertoli e Goffredo Miglietta Palermo, Aesthetica Edizioni, 1985 pp. 200, lire 20.000 Autori Vari Il sublime:creazionee catastrofe nella poesia a cura di Vita Fortunati e Giovanna Franci Studi di estetica, n. 4/5, 1984 pp. 294. lire 20.000 Autori Vari The Sublimeand the Beautiful: Reconsiderations New Literary History, 16 (1985), 2 pp. 211 + 446, $ 8 Neil Hertz The End of the Line: Essayson Psychoanalysis and the Sublime New York, Columbia U.P., 1985 pp. 266, $ 25 Luisa Bonesio Il sublimee lo spazio Milano, Franco Angeli, 1985 pp. 142, lire 14.000 Autori Vari Il sublime:contributi per la storiadi un'idea studi in onore di Giuseppe Martano a cura di Giovanni Casertano Napoli, Morano, 1983 pp. 354, lire 20.000 I «Oggi, per la maggior parte di noi, il sublime non è più e una categoria centrale del giudizio estetico: la parola sembra troppo pomposa per l'arte e troppo sentimentale per la natura». Così Glenn W. Most in apertura del suo intervento al' convegno «Il sublime: creazione e catastrofe nella poesia» organizzato a Bologna nel maggio 1984 da Vita Fortunati e Giovanna Franci e i cui atti vengono ora pubblicati in un fascicolo degli Studi di estetica diretti da Luciano Anceschi. Poche pagine dopo, però, Emilio Mattioli scrive: «Oggi [... ] la categoria del sublime sembra recuperabile non solo come strumento interpretativo della vita storica dell'arte, ma come categoria attuale della critica contemporanea: Bloom insegna». Mattioli ha ragione, e se la sua affermazione può suonare sorprendente è solo perché il sublime non è di casa nella cultura italiana. Di Longino, certo, si sono occupati i filologi classici; ma la storia moderna del sublime - quella storia che incomincia nella seconda metà del '600 con la traduzione del Peri upsous da parte di Boileau e arriva fino a noi (già vent'anni fa Lione! Trilling avvertiva che il sublime ha a che fare con la poesia contempo- ~ ranea più di quanto si sia soliti pen- .:; ~ sare) - non ha ricevuto, in Italia, c::i.. l'attenzione che si merita. ~ -. ~ i -9 - ~ - Beninteso, non hanno potuto ignorarla né gli storici della filosofia 'chehanno scritto su determinati autori nei quali la categoria del sublime svolge un ruolo centrale (Burke, Kant, Schiller, ecc.), né gli estetologi che hanno tracciato dei panorami del pensiero estetico settecentesco. (Panorami da cui, peraltro, l'Italia è rimasta vistosa- .si mente assente: con l'unica eccezio- ~ ;g, ne degli studi di Rosario AssQnto ~ ~ e più recentemente di alcuni articoli di Gustavo Costa -, il saggio di Mattioli è il primo che tenti di ricostruire le tappe della riflessione italiana intorno al sublime fra '700 e '800.) È indubbio, ad ogni modo, che se tale categoria appare oggi «recuperabile» è per contraccolpo o ricaduta di quanto è avvenuto e sta avvenendo all'estero. Si pensi ad alcune pagihe di Lyotard in La pittura del segreto nell'epoca postmoderna, Baruchello e Il dissidio o a quelle sul sublime e il colossale di Derrida nella Verità in pittura. Non da questi autori passa però la via regia del ritorno - o meglio, dell'arrivo - del sublime in Italia. Essa passa, invece, per l'America. Nel mondo anglosassone, infatti, e più particolarmente appunto negli Stati Uniti, l'interesse per il sublime è stato ed è tuttora molto vivo. Si tratta di un interesse che ha coinvolto non soltanto la storiografia letteraria e artistica (a partire dal famoso libro The Sublime di Samuel H. Monk, 1935),ma altresì la critica più impegnata sul fronte militante della teoria. Lo dimostrano, da ultimo, il numero di New Literary History e la raccolta di saggi di Neil Hertz. Lo dimostra, par excellence, l'intera opera di Harold Bloom, lo studioso che più di ogni altro ha posto al centro del proprio lavoro critico e teorico la categoria del sublime. Ora, dire Bloom significa dire Romanticismo e la piccola moda bloomiana che sta montando qua e là in Italia (con ritardo rispetto agli Stati Uniti e quindi con inevitabili gettività forte. Ma è vera questa equazione? Lo è anche se ci riferiamo a quella Philosophical Enquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and Beautiful (1757, 17592) di Edmund Burke che rimane il testo capitale nella storia moderna del stù>limee ciò malgrado che di essa quasi sempre si dimentichino quanti, privilegiando il Romanticismo, usano come unico «modello» di sublime quello teorizzato da Kant nella Critica del Giudizio? 2 Nel suo saggio «Sublime degli Antichi Sublime dei • Moderni», Most distingue un «sublime classicoo longiniano», che dal Peri upsous arriverebbe (includendolo) fino al Kant delle Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime (1764), da un sublime «kantiano o romantico» che uscirebbe dalle pagine della Criticadel Giudizio e avrebbe corso nella poesia, appunto, romantica (esemplificata in Wordsworth e Leopardi). Quale la differenza fra le due versioni? Per la prima, il sublime sarebbe caratterizzato da due elementi: «Il terrore del lettore [o dello spettatore nel caso del sublime naturale, che è quello di gran lunga prevalente nel '700] davanti a una forza schiacciante e la soddisfazione del lettore [dello spettatore] nel suo abbraccio immaginario della grandezza». In altri termini: da un lato vacillamento del soggetto, minacciato di esautorazione ed espropriazione altro no. Accettabile per quanto riguarda la temporalità dell'esperienza del sublime quale viene prospettata dalla Critica del Giudizio e che rappresenta certamente un'innovazione rispetto alle teorizzazioni precedenti (ma spunti in tal senso sono già reperibili in Addison e, più indietro, in Pascal); non accettabile, invece, per quanto riguarda: a) il rapporto fra Kant e il '700; b) il rapporto fra Kant e il Romanticismo. a) Circa il primo punto, anche Most seguita a sottovalutare (e talora addirittura a fraintendere) Burke. Com'è noto, a differenza di Longino per cui la pa:ura era una passione non sublime, Burke fa del terrore (e delle sue fonti: la potenza, l'oscurità, ecc.) il «principio dominante», l' «origine comune di tutto ciò che è sublime». Se già altri autori avevano detto che ciò che terrorizza è ciò che minaccia la «conservazione» (preservation) dell'individuo nel momento in cui, pure, questi si pone a una distanza di sicurezza dà esso, Burke - rielaborando tesi formulate prima di lui a proposito della tragedia - attribuisce al terrore un tipo particolare di piacere: non un «piacere positivo» (pleasure) ma, diremmo con Kant, un «piacere negativo» che egli chiama «diletto» (delight) e che inerisce, appunto, alla distanza che separa il soggetto terrorizzato dall'oggetto terrorizzante. Questo almeno nella parte II dell'Enquiry. La parte IV, però, aggiunge qualcosa di diverso: essa fa_consistereil diletto prodotto dal a/h,1 Ji:1 1e xir album Allegorie dei processi alchemici e relativi prodotti. Mylius, Anatomia auri, 1626 equivoci) si inserisce palesemente, contribuendo a rafforzarlo, non solo in un rinnovato interesse per l'epoca romantica, ma più in generale in quel neoromanticismo che contrassegna una parte consistente della cultura contemporanea e su cui bisognerà, prima o poi, interrogarsi seriamente. A un «orizzonte neoromantico» accennano infatti, con giusta prudenza e un'ombra di sospetto, F. Bollino e A. Serra nella premessa agli atti del convegno· bolognese. Non solo: essi accennano anche a un «soggetto forte» che in quell'orizzonte verrebbe a riproporsi, quasi valesse l'equazione sublime= (neo)romanticismo= sogda parte di un oggetto che lo sovrasta e lo eccede, dall'altro lato elevazione e allargamento del soggetto stesso che (ri)comprende in sé l'oggetto. Per tutto il '700, questi due aspetti o elementi contraddittori dell'esperienza del sublime conviverebbero alternandosi ovvero combinandosi «per paradosso». Nella Critica del Giudizio, viceversa, essi verrebbero posti in rigorosa consecuzione diventando due momenti di un «processo temporale» e costituendo una «struttura narrativa minimale». Tralasciando rilievi secondari, l'interpretazione di Most appare per un verso accettabile e per un terrore in un'eccitazione dei nervi provocata dalla vicinanza dell'oggetto. (terrorizzante) al soggetto. Delight non è più, qui, il sollievo di una lontananza bensì il fremito di una prossimità. Ora, il punto essenziale è che, in tal modo, l'esperienza del sublime viene collegata a quella della morte. Ciò che, terrorizzando, appare sublime è ciò che evoca la morte e ne fa pre-sentire gli effetti. Al limite, il vero sublime è la morte stessa. Mentre Longino aveva visto nel sublime un'elevazione dell'animo che accoglie in sé «un certo nobile senso di altezza spirituale», Burke vi vede una passione di sottornissione che si spinge fino all'annientamento. Nell'esperienza del sublime, dice Burke, il soggetto «si rattrappisce»e si sente «annichilito»di fronte a un oggetto che lo eccede. Se l'io si conserva, la sua non è più un'affermazione «orgogliosa» di sé, ma un'estrema- e involontaria - resistenza a quella forza dissolutrice che lo attrae e a cui esso si accosta fino al limite massimo consentitogli. Il diletto che accompagna tale esperienza è il brivido, la vertigine dell'annullamento e della morte. Certo, quel diletto è vincolato alla sopravvivenza (residuale) del soggetto, ma è costituito dall'intimation della sua scomparsa - dal desiderio (inconscio) di tale scomparsa. In una parola: mentre la tradizione longiniana aveva configurato il sublime come un potenziamento della soggettività, l' Enquiry lo configura come un suo depotenziamento e, al limite, una sua perdita. Se tanto è vero, però, allora non si può minimamente porre Burke sulla linea del sublime «classico o longiniano», né ha• senso stirare questa linea fino a includervi qualcosa che le è antitetico come il sublime burkiano - il quale deve dirsi anti classico, laddove classico, o meglio neoclassico, .sarà proprio, viceversa, il sublime kantiano della Critica del Giudizio. L'esperienza del sublime è infatti, per Kant, la scoperta che l'uomo fa della sua superiorità in quanto uomo rispetto alla natura, a quella interna non meno che a quella esterna a lui. Il che significa: scoperta della «destinazione soprasensibile» della ragione e di quel «sentimento morale» che con la ragione fa tutt'uno. Sublimi non sono gli oggetti naturali che l'immaginazione non riesce a rappresentare, ma il Soggetto nella trascendenza della sua razionalità e moralità. Ora, se questo sublime kantiano deve dirsi neoclassico (e umanistico) e perché costituisce una reazione al sublime anticlassico (e antiumanistico) di Burke. Leggendo la Critica del Giudizio sul filo della riflessione settecentesca, si ha la nettissima impressione che Kant stia ripercorrendo a ritroso il secolo per risalire, al di là e contro Burke (e ciò che da lui è disceso: anzitutto il «gotico»), al sublime classico della tradizione longiniana qual era stato riproposto da Boileau - dal classicista Boileau che aveva pubblicato •la sua taduzione del Peri upsous nello stesso volume che conteneva l'Art poétique. b) Circa il secondo punto, l'identificazione del sublime romantico col sublime kantiano proposta da Most appare sommaria e fuorviante. Non solo perché, proiettando Kant verso il Romanticismo, ne dimentica gli aspetti neoclassici, ma anche e soprattutto perché l'enfasi sulla soggettività - che pure è ciò che da Kant passa ad (alcuni) romantici - non ha nell'uno e negli altri il medesimo senso. Il sublime wordsworthiano è certamente un potenziamento del soggetto e altrettanto certamente questo potenziamento si scandiscenella sequenza temporale delineata dalla Critica del Giudizio. Ma l'esito è profondamente diverso. Il momento dell' «apoteosi» del soggetto, che segue quello del suo «stupro» (per usare i termini di Most), è un momento di «armonia perfetta», di . unificazione-totalizzazione intelli-

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