Alfabeta - anno VIII - n. 86/87 - lug./ago. 1986

pietose bugie che la coprivano e, coprendola, la rendevano definitivamente inabitabile. In una casapur intatta ma invasa dal gas è più difficile vive~eche tra le macerie. Anzi lì è semplicemente impossibile, qui è terribilmente difficile. Il rapporto dello scrittore con la realtà esterna (con l'extralinguistico o l'esperienza) ha vissuto in questi ultimi decenni la stessa vicenda del terremotato con la propria casa: al primo cenno di scotimento, anzi dopo le prime catastrofiche scosse è scappato, abbandonandola e rifugiandosi in se stesso; dopo, a catastrofe totalmente compiuta, è tornato tra le macerie, dove ha ripreso, senza illusioni e oltre ogni inganno, a abitare (a aggirarsi). È così che lo scrittore è tornato (torna oggi) a lavorare con i materiali dell'esperienza e che le opere ultime uscite denunciano con l'extralinguistico un rapporto più franco. Ovviamente l'espetienza che il mondo oggi ci concede di fare è l'esperienza dell'ambiguità e della doppiezza; della violenza, dell'orrore e del terrore; della morte (definitiva); è l'esperienza della vita vissuta come una sopravvivenza. Se questa è lafascia del vissuto cui apparteniamo ed è con questa che quando operiamo dobbiamo fare i conti allora non stupisce che il rapporto che lo scrittore (italiano e, più in generale, europeo) ha con i materiali del vissuto è insieme di attrazione e di repulsione; egli infatti, quei materiali, evita di affrontarli direttamente e, piuttosto, li sfiora e lambisce con la memoria o, meglio, non rifiuta di contrarli ma garantendosene la presa col farlo passare attraverso il filtro de.Ilapropria esperienza autobiografica o, comunque, di un percorso biografico oggettivamente verificabile: di qui la recente fioritura, tanto in Italia che in Francia, di autobiografie e biografie, con al centro personaggi segnati dalle grandi contraddizioni del tempo, specchio e riflesso insieme delle nostre incomprensioni e delle nostre rivolte. e erto che questa escogitata dal nostro scrittore (che è lo scrittore europeo) ci appare come una semplice trovata. E il suo modo di fare quello che in fondo non sa fare. E cosa non sa fare? Non sa fare i conti direttamente con la realtà del mondo. Deve ricorrere a vie traverse, in ombra e meno esposte; ha bisogno di disporre di mediazione e filtri e se sa raggiungereanche mete impervie è solo per la strada della memoria. Occorre saltare l'Oceano e trasferirsi in America per trovare scrittori (ma anche registi)più duri, capaci di scontrarsi frontalmente con i grandi temi (le terribili tragedie) che travagliano la società moderna. Forse èperché l'autore d'oltreoceano, erede di una tradizione recente, è più coriaceo, la sa meno lunga, è meno sfinito dell'autore europeo; fatto sta che solo lo scrittore yankee sa superare i limiti di una materia che resta in fondo intimista e guardare oltre la propri(! esperienza autobiografi'c' verso il mondo della Storia. E proprio di qualche mese la pubblicazione nella Bur di un romanzo (già uscito in edizione normale molti anni fa) di Kurt Vonnegut che sembra darci ragione. Il romanzo è Madre notte, di lettura appassionante come da molto tempo non ci capitava; la qualità del romanzo è di riuscire, mischiando simulazione e travestimento, commedia (nera) e burla (sinistra), a costringere il lettore a schiacciare il naso contro la realtà in cui, non più come lettore ma come protagonista, vive e opera e della cui brutalità èparimenti (al pari dell'autore) vittima e facitore. Ma se Vonnegut è diverso da Robbe-Grillet, Todorov dalla Sarraute e Sollers dal nostro Vassalii e la Duras da Celati pure qualcosa li unisce: ed è che oggi si trovano tutti con il mondo addosso, incapaci di liberarsene se non scendendo dentro di esso in un affondo che è tantopiù cor1~promettente quanto più energico. Discorso e realtà Aldo Gargani A ttraverso processi molto sofisticati, di indagini sui linguaggi, sui linguaggi letterari, di poetiche che sono consegnate ai testi e alle tradizioni culturali e poi anche qui, ho avuto l'impressione che si ritorni ad alcune<'dicotomie che sono basiche, di fondo, per esempio se venivano prima le parole o prima le cose. Queste vicissitudini sono anche in parallelo un po' vissute dall'epistemologia linguistica,·dall'epistemologia della scienza. Il fatto è che a questi livelli di riflessione le cose sono un po' complicate, nel senso che anche nella filosofia l'analisi del linguaggio ha avuto dei regimi che erano puramente linguisticì per cui nel significato di un'espressione la cosa era solo nell'impiego di un linguaggio, non c'è qualcosa dietro. Lo stesso Wittgenstein ha legittimato in pieno un'operazione che ha un'importanza epocale. Questa operazione nel senso che ciò di cui non si può dire nulla è un nulla e così via, quindi negare persino gli oggetti interiori, sporgendosi anche un po' troppo in questa direzione. Oggi, per esempio, negli Stati Uniti, ma anche in Europa, ci sono dei revival realistici nel senso che se uno dovesse dare un'impressione diretta, metaforica di queste filosofie realistichedovrebbe pensare a forme di iperrealismo americano; abbiamo forme di iperrealismo_.nonsolo in pittura ma anche in filosofia in cui improvvisamente una serie di filosofi che in Europa erano considerati realisti diventano idealisti perché per esempio caratterizzano gli oggetti con cose che avvengono nella testa, rappresentazioni, cose del genere. Invece questi filosofi americani vogliono andare sulla cosa stessa, con spiegazioni causali del significato, la cosa stessa che si abbranca. Ci sono dei filosofi americani oggi come Kripke il quale dice che il nome è un designatore rigido. Prima si riteneva che il referente venisse individuato attraverso le descrizioni, adesso invece, al contrario, per ragioni tecniche su cui si può anche sorvolare, diciamo che il nome è un designatore rigido, come lo chiama Kripke, che è un'etichetta, che è come un attaccapanni su cui poi si appoggiano le descrizioni. Questo per rendere conto di quello che anche in espressioni linguistiche si chiamano i contro[attuali: se un uomo fosse identificato dalle sue rappresentazioni è chiaro che tutte le rappresentazioni diventerebbero necessarie per identificarlo. Non potremmo dire se Nixon non fosse stato presidente degli Stati Uniti, perché se Nixon venisse identificato attraverso queste cose, queste cose dovrebbero essere necessarie. E invece no. Quindi abbiamo i designatori rigidi di questi referenti. Ora, la matassa è complicata nel senso che certamente non è così. Per quanto riguarda i filosofi molto brevemente se volessero stabilire che cosa c'è al di fuori di pratiche cognitive che siano in qualche modo controllabili, se non si vuole tornare ai vecchi sistemi metafisici in cui si definiva con la ragione che cosa c'era e cosa non c'era, è chiaro.che anche l'iperrealismo non potrà superare quello che""erail suo limite costitutivo, cioè pagare il suo debito alla scienza del giorno. M a è ·chiaro che questi meccanismi si potevano applicare anche a scienze sbagliate e questo è il limite di questo iperrealismo. Ragionevole è piuttosto, senza cadere in forme di idealismo linguistico, liberarcidi queste alternative, e in questo senso noi non possiamo risolvere • la realtà semplicemente in un decorso linguistico. Anche l'informatica, per esempio, crea degli equivoci: si discorre di macchine parlanti, ma siamo sicuri di parlare con le macchine? Si colloquiava con una macchina programmata in una certa maniera come l'Elisa di Weizenbaum al punto che uno di coloro che partecipavano a questa conversazione chiese di rimanere da solo nella stanza perché aveva dei problemi prettamente personali da trattarecon la macchina. Dopodiché Weizenbaum, che aveva ideato questa macchina, cominciava a preoccuparsi, del fatto di parlare con le macchine parlanti e a mobilitarsi contro la tecnopolitica, cioè di consegnare ai programmi del computer la soaluzione di problemi sociali eccetera. Ma perché questo? Ma è chiaro che se noi parliamo con un computer e se il computer supera il touring test e io non riesco a distinguere se·è un uomo o una macchina, avrebbe superato il test. Già, lo supera, perché io non riesco a distinguere se è una persona o una macchina. La macchina potrà parlare degli alberi, delle ·stelle, degli astri e dell'erba, ma tutti questi oggetti potrebbero anche non esisterepiù. Quindi non esiste questa referenza perché con quelli che si chiamano referenti noi abbiamo un rapporto molto complesso che non passa solo per il linguaggio ma passa anche per una serie di transazioni che non sono verbali, che sono tutto quel complesso di ingredienti che definirei la fioritura umana, la fioritura di una civiltà umana, che è fatta di atti simbolici e di atti non simbolici. A questo punto, per concludere, il refer:enteè un fatto. Ma anche per individuare che cosa è un fatto abbiamo bisogno di criteri. Perché per esempio io potrei dire: c'è un tavolo di color marrone perché lo tocco, ci sbatto contro, o cose del genere, ma se qualcuno mi dicesse che sa che c'è questo tavolo perché ha delle percezioni extrasensoriali, non lo potrei credere. Quindi niente è un fatto per se stesso e niente, la parola da sola (facevo l'esempio del computer) può riferirsi alla referenza, può uncinare i pezzi della realtà:piuttosto noi viviamo questo rapporto complesso con la realtà. Complesso in questo senso: per riconoscere qualcosa come un fatto, noi abbiamo bisogno di criteri, per così dire, che siano propri di una comunità, che costituiscono una dimensione di razionalità, di accettabilità razionale, ma in cui convergono ragionamenti matematici, logici, pragmatici ed estetici. Intendo anche l'estetica scientifica, la semplicità, gli interessi, i valori. Per esempio - se io dico: c'è un gatto sul tavolo - io faccio una constatazione fattuale, sembrerebbe che io afferri pezzi di realtà. Però se ci si pensa bene, è ovvio, come è stato osservato, che per esempio per dire che c'è un gatto sul tavolo, io per esempio sono innanzitutto interessato alla differenza tra mondo animato e mondo inanimato; cioè attribuisco un· valore a questo, attribuisco anche. un valore alle distinzioni delle regioni dello spazio; è importante che il gatto sia sul tappeto anziché sul camino, su di una lastra di metallo o sia sul tetto e così via, o che non sia in bocca al cane. Cioè, c'è tutta una serie di valori che fanno parte appunto di una fioritura di cultura umana, che stabiliscono quello che sinteticamente si potrebbe definire un criterio di accettabilità rispetto a cui soltanto, qualcosa è un fatto; in rapporto appunto a questa complessità, nel senso che gli oggetti vengono riconosciuti dentro questa forma di vita, una comunità con tutte queste transazioni, in cui niente èper se stesso un fatto o in cui non siamo mica garantiti che il linguaggio per se-stesso afferri la realtà. Questo è stato un vecchio presupposto dell'ambito letterario, dell'ambito filosofico, cioè che esistesse quella che Putnam ormai chiama relazione magica tra linguaggio e mondo. Forse dobbiamo passare da una relazione tra linguaggio e mondo ad una relazione tra parlanti e mondo, è una transizione molto importante perché, passando dall'una ali'altra, noi passiamo ad una relazione che è mediata da tutti questi fattori, da questa matassa di ingredienti diversi, matematici, logici, valori, eccetera, che ci permettono di riconoscere qualcosa come un oggetto, qualcosa come un fatto. D abbiamo forse perlustrare questi processi attraverso cui, mediante una serie di transazioni in cui intervengono molti fattori, non ci riferiamo alla realtà e sono certamente impraticabili quelle teorie che perseguono, come dire, quel punto ideale, punto ideale anche della verità finale in cui la parola tace, perché ormai il linguaggio com, bacia con la ualtà, tace in presenza dell'ostensione della cosa stessa e piuttosto dobbiamo noi invece stabilire le nostre referenze e a questo punto potremo anche ristabilireun rapporto mediato con la realtà, attraverso questa serie di transazioni che io definirei espressioni di fioriture umane, di una comunità di vita, che sono anche i nostri criteri di riconoscimento. Per esempio, nell'ambito etico-giuridico attribuiamo la personalità giuridica ad un bambino. Lo facciamo indipendentemente dalle congetture e dalle ipotesi che possono essere state fatte sulla struttura dell'intelligenza dell'infante. Ma noi attribuiamo con assoluta sicurezza, indipendentemente dalle ipotesi della neuropsichiatria e della neurofisiologia, una personalità giuridica ad un bambino perché, appunto, un bambino ha due occhi, un naso e una bocca da cui momentaneamente escono suoni disarticolati, da cui un giorno usciranno parole. Cioè, lo riconosciamo come un partner della conversazione. In questo senso allora, come vedete, anche questo riconoscimento, come quegli altri cognitivi che vi dicevo, passano attraverso una serie di motivazioni che fanno parte, proprio in un senso anche letterale, di rapporti trapersone. In questo senso, e non lo dico non metaforicamente, la conoscenza consiste molto meno nel seguire il filo di una dimostrazione razionale di quanto sia invece un· far conoscè7rzà"con le persone. La domenicamattinaa VillaMedici Antonio Porta U n denominatore comune abbastanza prevedibile lo si è trovato nell'opposizione di principio al dominio della politica dei best-sellers e di conseguenza ai giudizi di tipo pubblicitario su opere troppo sostenute dal sistema dei media, sotto il segno della Tv, presunta «regina e arbitra» di ogni illusoria affermazione nel mercato. Nel momento del passaggio da una condanna teorica al successivo «che fare», sono emerse le divergenze sia in ambito italiano che francese e anche divergenze «incrociate» per così dire. Da una parte vi è chi imperterrito segue il proprio programma di scrittura, il proprio progetto di comunicazione, diretta o indiretta, a dispetto di tutto e di tutti, quasi che l'arte fosse autonoma rispetto alla storia; dall'altra c'è chi sostiene che l'idea stessa di ricercapuò aiutare la formazione di un ghetto di pochi «auto-eletti»mentre la realtà, con tutta la sua violenza, preme alle porte dell'espressione arti-· stica. Gli scrittori europei ci paiono meno decisi nel corpo.a corpo col reale di quanto non siano quelli americani. Ma il «successo» o l'insuccesso, che comunque penalizza l'opera, come si spiegano? La qualità non basta al successo, occorre accompagnarla con un tema forte (è il caso di L'amant della Duras: un'anziana signora racconta il suo primo amore, senza veli o pudori); eppure un tema forte può non avere successo a causa di una società troppo frivola (è il caso notissimo di «Moby Dick» di Me/ville, capolavoro non letto eppure fondamentale dal punto di vista antropologico e per questo arrivatofino ai nostri giorni). La «ricerca»può avere successo? O deve esserefinalizzata a qualcosa d'altro, a quello che un poeta o uno scrittore vuole davvero dire e che cerca di dire appunto per mezzo della «ricerca»? L'opera è un'avventura, si sa di dove si parte ma non si sa dove si va a finire, è stato sottolineato, cioè l'opera detta la sua volontà, come scoprì Goethe. L'opera è come una lunga, interminabile frase, difficilissimo pronosticare come il pubblico possa partecipare al suo farsi e trasformarsi nel tempo, a parte naturalmente un ristretto numero di lettori. Se lo scrittore si pone in un atteggiamento di «attesadel- /' opera», il pubblico che cosa si aspetta?Forse un best-seller di qualità, è stato detto (che èpoi la questione rilanciatadue anni fa da G. C. Ferretti). Sul best-sellerdi qualità lapolemica si è accesa anche tra i francesi e si è sottolineato che v'è una netta, incolmabile differenza tra uno scrittore di qualità e uno scrittore di best-sellers. Come fare a dimostrarlo? Per avere risposte sicure occorre molto tempo. In un lasso di tempo svincolato dalle leggi del rapido consumo agiscono due «borse valori» differenziate: quella legata al giudizio dell'intelligenza e quella legata al semplice profitto. A volte queste due «borse» si incontrano? Forse mai. E poi, mentre la «borsa» legataal profitto immediato poggia su un sistema oggettivo, quell'altra, legata al giudizio, soffre di paurose oscillazioni e viene attraversata, inquinata, da moda e capricci, malumori e risentimenti che si producono di continuo all'interno di quella «società» letteraria che dovrebbe strenuamente difendere i valori della ricerca che, in definitiva, la legittimano. Occorre tenereferma la distinzione tra spettacolo e cultura, un poco schematica ma utile: lo spettacolopuò piegare ai propri fini autentici valori mentre la ricerca del valore prescinde dall'esito spettacolare. Non può però prescindere da un progetto che, in quanto tale, si pone in un ambito di circolazione e comunicazione che ha valore obiettivo, non semplicemente narcisistico e autogratificante, dunque sociale. L'augurio formulato dagli scrittori della Quinzaine littéraire e di Alfabeta è stato quello di continuare la discussione sui valori in campo e di rincontrarsi appena possibile, allo scopo di verificare insieme la rotta percorsa e i miglioramenti o i deterioramenti di una situazione che non ha i caratteri dell'irreversibilità (almeno così pensano gli ottimisti...).

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