Alfabeta - anno VIII - n. 86/87 - lug./ago. 1986

, , I'-.. ...... <:::I .s ~ ~ ~ ...... .9 i - ~ - I'-.. ~ ~ ~ ..(:) ~ Intervento Antonio Tabucchi I o dall'interno del discorso non vedrei tanto un ritorno a degli onesti tropismi. Intanto, sulla definizione onesti tropismi, già ali'epoca, avrei molti dubbi; i tropismi della Sarraute non mi sembrano molto onesti, nel senso buono del termine, mi paiono ambigui. lo direi che se c'è uno scavo o una ricerca (che non è comunque voluta, razionale e guidata, e che è in qualche modo autoguidante, come diceva Maria Corti questa ·mattina) dotato di una sua carburazione, c!J,ecomunque va poi al di là della volontà di ricerca, di chi fa ricer,ca,direi che lo scavo va in una direzione di ambiguità ulteriore e il frammento non è più soltanto un tropismo, ma è una presa di coscienza di uno stato di smarrimento che significa anche, per quanto mj .concerne, una dichiarazione molto onesta di perdita, diciamo così, di complesso .di.colpa. çamplesso di colpa anche nei confronti di un mestiere, un compito che, tutto sommato, una ·.tradizione aristotelico-cartesiana affida· ali'artistg, in ge.neràle,·e allo scrittore, nel caso specifico, di cellula fotoelettrica per scattare·/e sue fotografie. A questo punto il discorso di 'riéerca,di individuazione, eventualmente, si deve fiscoprire•non tqnto nel senso della chiarezza ma nel senso de~'ambiguità e direi nella sorta di un galleggiantenaufragio in cui ci troviamo. . p erché intervengo subito su Barilli? Perché ieri negando la possibilità o l'utilità di stabilire una tradizione, sia pure la tradizione del nuovo, del moderno, ho detto esattamente il contrario di quello che ha detto.adesso Bari/li. lo credo che la ricerca da oggi debba ricominciare daccapo, mentre lo sforzo di Bari/li mi sembra quello di rimetterci in prigione, cioè dentro una tradizione bene articolata. Lo schema di Barilli secondo me non funziona, non funziona per esempio nel giudicare l'ultimo Calvino. lo credo che Una notte d'inverno un viaggiatore sia dopotutto un romanzo di tipo conformistico, post-moderno, cioè ripetitivo. Se vogliamo dare al post-moderno il significato di ricalco della tradizione de~'avanguardia, allora Barilli non fa una grinza, forse però ne ha un altro. Preferisco assolutamente il Calvino più nuovo, anche quello di Palomar e di Collezione di sabbia ancheper saltare ancora una volta la barriera dei generi letterari. È molto più importante il Calvino di tipo saggistico, cioè la sua narrazione saggistica che non un romanzo come Una notte d'inverno un viaggiatore. Ma mi pare che Barilli riconosca che la gabbia del moderno non funziona perché non tiene conto del lettore. Se ilpost-moderno è la rincorsa verso lapiù grande, incredibile illeggibilità, sia pure armata da una grande capacità tecnica e linguistica, allora non ci serve assolutamente. Risposta Renato Barilli A Tabucchi rispondo una cosa molto semplice. Certo l'ambiguità fa parte integrante di questa operazione tropismi. I tropismi sono fondamentalmente ambigui, quando parlavo di avventura la intendevo in un senso un po' più tecnico; ebbem;, la poetica dei tropismi pone l'avventura sullo sfondo e non in primo piano. Ma in sostanza trame e Tabucchi si è manifestata la classica differenza tra autore di testi e osservatore. In fondo io mi pongo nelle vesti di un osservatore e quindi devo anche fotografare, come magari lamentava Tabucchi, mentre il creatore ritiene sempre di essere l'unico, di fare una cosa diversa da tutte le altre che sono esistiteprima e che esisteranno; l'osservatore colloca inevitabilmente, a meno che non partecipi di una critica eminentemente creativa e diventi il compagno di via de~'artista o di un gruppo di artisti e allora partecipa del medesimo sforzo creativo, altrimenti è un catalogatore. lo ho confessato onestamente, anche dal mio punto di vista, la fine dell'ideologia dell'andare sempre avanti, a cui ho dato l'ultimo contributo quando ho teorizzato la poesia intraverbale, la ricerca che avendo superato ogni barriera, allafine supera la barriera della parola e lavora con i frammenti dellaparola e ho ammesso che oggi, in presenza di un rigetto di questa via estrema, va all'aria l'ideologia del nuovo a tutti i costi, si è in una spirale, cioè in una logica diversa che non è più quella di un progresso rettilineo. Quanto ai due colleghi francesi, loro hanno dato un contributo al dibattito generale non tanto alla mia relazione... La mutatacondizionedellaricerca Gian Carlo Ferretti P iuttosto che parlare del libro che sto scrivendo, vorrei intervenire su due punti più generali. Il primo è questo: vorrei accogliere l'invito di Maria Corti a discutere la sua ipotesi critica. La sintetizzo brevemente. In Italia c'è un'alternativa tra scrittori atipici, irregolari ed eccentrici e quindi lettori specialistici o futuri da una parte, e, dal/'altra scrittori tecnologici e quindi lettori consumatori. Ecco, questa è un'annotazione puntuale, che però a mio parere non esclude altrepossibilità. Ne accenno una. Credo, nonostante tutto, che ci sia. in Italia anche un romanzo, problematico, che ripropone di fatto un rapporto critico e non soltanto consumistico e diciamo corrivo con il lettore, anche con il lettore di massa, un romanzo che personalizza fortemente il rapporto autore-lettore, insomma, una letteratura di storie, di eventi, di significati, di idee e di messaggi. Tanto per fare qualche·nome, penso ad esperienze diversissime ma che rientrano in questo schema: Morante e Volponi, ma anche scrittori più giovani come Consolo e anche alcuni giovanissimi di oggi. Del resto questa ipotesi mi sembra in parte confortata da una elaborazione critica di questi ultimi anni che ha - con molta insistenza e anche in modo convincente - rivalutato proprio questo tipo di romanzo, l'intreccio, e il ruolo del lettore, anche del lettore di massa, del lettore impuro ma ricco che porta nella iettura tutte le sue esperienze di vita. Ancora un conforto che credo possa venire a questa ipotesi è la crescente (e se ne è avuta anche qualche eco oggi) difficoltà a riproporre un'alternativa tra ripetitività e tra- ~gressività. La trasgressivitànon è sempre innovativa (lo si può dire oggi e forse non si poteva dirlo o era impopolare dirlo qualche tempo fa), e non sempre la ripetitività è sinonimo di inerzia creativa. La seconda osservazione la vorrei fare partendo dall'andamento di queste giornate. Mi sembra che un po' tutti gli -~------ -- - -- Alchimisti al lavoro. Agricola, De re metallica, 1556. A pagina 19 l'altra metà dell'immagine interventi abbiano dato per acquisita una premessa che per altro era presente nel testo programmatico di Alfabeta. Cioè, per dirla in breve, la privatizzazione della ricerca, la fine dei gruppi, degli schieramenti, delle tendenze e la caduta della ricercaorganizzata che nasce da un lavoro collettivo, o comunque da forme di organizzazione intellettuale. Questo convegno, decisamente molto ricco di informazioni e di testimonianze personali, rischia, credo, di essere però solo una conferma di quella premessa. Sento pe;ciò un'insoddisfazione proprio per il fatto che si sia data per acquisita la crisi di fondo sottesa a quella privatizzazione della ricerca. Certo, Alfabeta aveva invitato ciascuno a parlare di sé. Il tema era questo. Ma c'era anche quella osservazione preliminare piuttosto importante e che tutti abbiamo letto. Ora questa mutata condizione della ricerca letteraria e non soltanto letteraria riguarda, richiama in causa alcuni fatti indagati, e noti, come la crisi delle grandi opzioni ideali, delle egemonie, la frantumazione e la polverizzazione dei ruoli e del lavoro intellettuale. P erò rimangono ancora molte cose da approfondire ed io accennerò soltanto ad alcuni punti che dicono già abbastanza da sé, come il '68, il '77, uno -sviluppo multimediale senza precedenti negli anni '70, un nuovo ruolo dell'insegnamento, e tutti i relativi problemi che riguardano l'intellettuale, come si forma, come si organizza e come porta avanti la propria ricerca e come si rapporta al mondo. Sono certamente aspetti che in modo più diretto e immediato si riferiscono alla ricerca non letteraria, scientifica, storiografica, sociologica e via dicendo. Però a mio parere essi coinvolgono la stessa ricerca letteraria per vie sottili. Qui un esempio lo porterei a proposito della rivista: si pone in questo quadro il problema della rivista letteraria o non letteraria. Quando dico rivista, penso alla rivista di cultura che non ha una periodicità settimanale, che è prevalentemente diffusa in libreria, anche se-in easi fortunati pU<J conquistare l'edicola. Anche questo problema era abbastanza presente nel testo di Alfabeta che indicava nella rivista un momento di possibile incontro e ricerca in qualche modo non soltanto individuale e privata. A mio parere la rivista in questo momento risente di quella frantumazione e crisi che dicevo, ma paradossalmente sembra che abbia delle possibilità di ricostruzione di un discorso dall'interno stesso di questo orizzonte frantumato. La premessa necessaria è quella, credo, di delineare brevemente l'universo multimediale in cui la rivista si colloca appunto. Ora, l'universo.multimediale in cui ci troviamo è un universo che tendenzialmente non dà notizie o le inventa, che quando affronta i fatti tende a occultarli in una nebulosa di opinioni: iÌ fenomeno della proli/ erazione degli opinion leader è sintomatico. C'è una proliferazione tale che anche • le opinioni finiscono per neutralizzarsi. Nel campo poi della rivista di cultura in senso lato, c'è una segmentazione molto forte che si manifesta almeno· in due modi. Da un lato il consumismo dell'informazione che è anche il consumismo dell'informazione politica non soltanto del- /' informazione ecologica o turistica; e dall'altro il microspecialismo, che in un certo senso mima e riflette quella condizione di frantumazione cui mi riferivo e che può riguardare l'informatica, la letteraturao altre discipline. Ora, in questa situazione generale per contrasto, appunto, c'è una crescente esigenza di sintesi critica, di ipotesi e stimoli problematici, di interpretazioni per così dire trasversali che rompano queste separatezze consumistiche e microspecialistiche, certamente di diversa valutazione, che si pongano problemi di scoperta e di ricerca reale. M o/te riviste nate in questi anni, pur risentendo della crisi generale, si pongono e rispondono a questa esigenza, e c'è una sorta di ritrovato ruolo della rivista, di ritrovata specificità. Quindi la rivfsta si trova in questa posizione di vivere da un lato questa crisi e dall'altro di avere però la possibilità di riorganizzare la ricerca e la riflessione e di aggregareforze anche diverse e di metterne in attrito tra loro, in attrito auspicabilmente fecondo, le esperienze. E poi è interessante che la rivista riesca talora ad esercitare un'influenza circoscrittasì, ma molto sicura anche in una situazione di difficoltà oggettive, ormai proverbiali: le difficoltà economiche, produttive e le difficoltà distributive. Anzi, in una recente inchiesta veniva documentato che la rivista, in ambiti specifici, esercita addirittura una influenza maggiore dei mass media nel favorire la lettura libraria. In certi casi addirittura sopravanza la lettura libraria stessa. In conclusione la rivista sembra che abbia la possibilità di diventare la diretta concorrente del libro. Esperienzerecenti Nadia Fusini I o raccolgo con piacere questo invito, e proprio nel senso di un testimoniare (di una serie di questioni non teoriche, ma pratiche), andrà il mio intervento. E parlerò di due esperienze recenti, che ho fatto, una conclusasi poche settimane fa - un libro - e una che durerà spero più a lungo, una rivista - di cui il phmo numero è appena uscito. E comincerò da questa: da Finisterre. Fare una rivista è un'avventura che molti dei presenti hanno già compiuto, o vi sono ancora immersi. Mi capiranno dunque almeno per certi tratti. Per parlarne a me viene in mente una metafora, ma per rifiutarla. Quella del viaggio. Questa rivista - che ha il titolo di un luogo che è alla fine, e segna della terra il punto dove cessa, se dovessi scegliere un gesto per indicarne il senso - direi che il suo gesto è lo stare. Le parole che compongono Finisterre, più che il «superare», e dunque il muoversi, l'andare, hanno di mira lo stare. Il luogo, e dunque la linea che lo circoscrive e lo delimita, è il loro problema. La rivista abbonda nei titoli delle varie parti che la compongono di indicazioni topografiche. Considerazioni sulla linea è una sezione, laprima. Ponte e porta è l'ultima. Il richiamo a una linea, su cui stare; a una soglia, su cui sostare; a una porta in cui entrare, per stare, è esplicito, e va nel senso tuttavia - sempre - del riconoscimento di una necessità del fermarsi, e sostare, e osservare. Non perché si sia trovato un vero luogo, la radice che radica, seppure questo desiderio è indubbio attraversa le parole che facciamo parlare - ma perché questo vogliamo indicare come ciò verso cui tendiamo - la scoperta, o l'affrontamento, o l'esercizio, la disciplina che conduca alla capacità di un gesto per noi essenziale, l'attenzione. Diceva anni fa un autore che abbiamo amato, Paul Nizan, «gli scopritori, dei quali ripassando la storia della loro vita si dice che erano nati per qualche cosa, si trovano tra gli uomini prudenti e sedentari, che restano appostati a lungo in qualche luogo, e cacciano con precauzione ... I viaggiatori sono condannati a non vedere che i muri delle case dove invecchiano gli uomini sedentari, muri di tutti i colori, con curiosità soltanto architettoniche... ». Chi conserva il luogo, chi lo abita - chi lo crea, di fatto - il che non vuol dire che sia il suo, che lì sia la sua radice - ma c:s-----------------------------------------------------------------------------'

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