Alfabeta - anno VIII - n. 86/87 - lug./ago. 1986

Discussione sullaricerca I Q uesta discussione si è svolta cqme seguito del «Colloquio francese italiano sulla ricerca letteraria» che per la prima parte, appunto, è·stato già pubblicato con gli interventi di tutti gli scrittori nel Sùpplemento letterario di maggio (Alfabeta n. 84, col titolo «lo parlo di un certo mio libro»). Le due riviste organizzatrici del convegno, Alfabeta e La Quinzaine littéraire, avevano inoltre invitato alcuni critici italiani per un dibattito nel pomeriggio del 14 dicembre 1985; e diamo .tutti gli interventi (così come sono stati detti dagli autori, senza rivederli poi). Nella domenica 15mattina si è tenuta una ulteriore e più estesa e articolata conversazione, col pubblico, a Villa Medici, e-di questa diamo un ampio riassunto utile. Essendo il primo Renato Barilli E ssendo il primo di una sfilata di critici puri, diciamo così, o almeno di persone che normalmente non danno testi creativi, vorrei fare qualche brevissima riflessione su questa caratteristicanostra professionale, non so come chiamarla, e dico subito che questa distinzione non mi offende, non mi sento menomato, anzi credo che corrisponda ad un'utile divisione del lavoro. Non si tratta certo di una differenza di natura, ma di una differenza. di specializzazione e in un certo senso credo che il critico debba avere il coraggio di essere schematico. A differenza dell'autore, del creatore di testi. Ricorriamo ad una metafora un po' abusata: diciamo che il primo si deve preoccupare della carne e il secondo delle ossa. Quindi io con voi traccerò degli scheletri, ecco, lo dico nel modo più brutale, avrò il coraggio di darvi degli scheletri, certamente delle ossature ci sono anche nei testi creativi. I testi creativi però possono permettersi di nasconderle. Io invece le evidenzierò al massimo, anche perché il tempo è poco, ma lo farò con un'ambizione, l'ambizione di rendermi utile. Più che uno scheletro diciamo che vorrei costruire un attaccapanni in cui appendere i vari frammenti degli interventi degli scrittori. Questa mia schematicità passa anche attraverso un po' di autobiografia, però si tratta di autobiografia pubblica. Se penso ai quasi trent'anni della mia pres_enzanel campo della cosiddetta critica militante, vorrei appunto schematizzare telegraficamente tre decenni: anni Sessanta, anni Settanta e anni Ottanta, quelli che stiamo vivendo. Vorrei cercare di chiarire come mi sono collocato, e insieme a me altri, indubbiamente, per ciascuno di questi decenni. Quindi partiamo pure dal primo: anni Sessanta, con un grosso inizio negli anni Cinquanta. Ecco, vorrei ricordare rapidamente un libro mio uscito proprio al termine di questafase e che si chiamava L'azione e l'estasi. Lo devo ricordareperché sono termini che ritengo utili come attaccapanni. Cosa intendevo, per esempio, per estasi? Intendevo in sostanza una teoria effettuata sui tropismi della Sarraute. Noi qui abbiamo avuto il piacere di udire la lettura di un testo della Sarraute, quindi la Sarraute è stata tra di noi. Non dimentichiamo che la Sarraute e gli altri autori del nouveau roman, costituiscono la base degli anni Cinquanta, un punto di arrivo importantissimo e, non a caso, gli altri che come me hanno trattato un po' di storia autobiografica, penso a Pontiggia o a Thibaudeau, hanno ammesso che per noi, generazione nata intorno agli anni '30/'35, il nouveau roman è stato importantissimo e non perché fosse anti-romanzo. A suo tempo io avevo cercato di dissipare questo equivoco, perché c'era uno spessore psicologico, nel nouveau roman, ma a_livello basso, a livello appunto di tropismi. Non di formazioni psicologiche banali, care al romanzo ben fatto tradizionale, ma le minime formazioni, diciamo quei movimenti estrememente ombrati, sottili, profondi, che normalmente il romanzo comune aveva trascurato e che d'altra parte erano già stati affrontati dal primo romanzo dell'avanguardia, dalla corrente di coscienza di Joyce. In fondo io allora sostenevo molto il concetto di normalizzazione quantitativa e continuo a credere che sia prezioso, che sia centrale, cioè l'avanguardia del nouveau roman, Sarraute, eccetera, hanno normalizzato la prima avanguardia storica. Stranamente qui non è ancora comparso il termine del post-moderno, forse ciò è un bene, ma se lo vogliamo introdurre, credo che sia un po' inevitabile, ecco, io saréi anche per darne un'interpretazione molto semplice, molto comoda. Il post-moderno è il tardo-moderno, in sostqriza, o il tardo-contemporaneo, come preferirei dire io. Per cui già il nouveau roman è la tarda fase aperta dalla corrente di coscienza di Joyce, o dai giochi di Proust sulla memoria, o da Kafka eccetera. Ma contemporaneamente, era chiaro che occorreva giocare su un altro tasto ed era quello che io compendiavo nell'espressione dell'azione, cioè di una narrativa che, diversamente da quella dei tropismi, ripropone l'intrigo. Però lo ripropone non come faceva e fa continuamente il romanzo ben fatto e cioè con un giusto equilibrio tra introspezione psicologica e intrigo o intreccio, ovvero con un intreccio tutto godibile come - non so - nel genere poliziesco. In questo caso si trattava di un'azione, di un intrigo decisamente artificiali, arbitrari, che si rifacevano a Roussel o per esempio anche nel nostro De Chirico che è stato un grande scrittore oltre che grande pittore. Cè tutto un filone che continua con Quenèau giunge a Calvino, e allora, appunto, io proponevo come sintesi in sostanza degli anni Sessanta e come chiusura, in un certo senso di questa fase del tardo moderno, del post-moderno, questi due modelli. D'altra parte, evidentemente, potevano esistere tante commistioni intermedie. Anni Settanta. Nel caso mio, ma credo anche in molti altri, gli anni Settanta sono stati estremamente confusi, recessivi, in sostanza. Ora, proprio per resisterea questa recessione, io ho alzato il tiro, se si può dire così, ho fatto delle proposte anche più audaci, in un certo senso, perché in qualche modo consideravo chiusa la fase della normalizzazione dei tropismi, cioè la fase del primo nouveau roman, confortato in questo dal fatto che il capofila, Robbe-Grillet, aveva proposto lui per primo un passaggio alla fase ulteriore, alla fase in cui l'eredità Roussel stava prevalendo sempre di più,,proprio intorno al 1960 e a partire dal romanzo Dans le labyrinthe Robbe-Grillet passa al cosiddetto nouveau-nouveau roman che è tutto basato sull'artificio, su tutti gli stereotipi possibili e immaginabili, sottoposti ad una operazione combinatoria. E eco, io credevo che gli anni Settanta fossero il grande momento di questo filone dell'artificio, di una specie di narrativa costruita quasi col computer, e in fondo, almeno per l'ambito italiano, abbiamo avuto delle grosse pezze d'appoggio a un'interpretazione di questo genere. Non dimentichiamo che sono gli anni in cui Calvino dà il meglio di sé. Stamattina la Sallenave ricordava proprio che il primo Calvino era partito molto convenzionale. Oggi si tende un po' a dimenticare questa sua partenza negli omaggi che gli vengono resi dopo la morte. Proprio negli anni Settanta egli va a risciacquare i suoi panni nella Senna, avviene l'incontro con Queneau e nasce, direi, il Calvino più interessante, il Calvino più internazionale che lega le sue fortune al concetto di post-moderno. Il quale post-moderno, da questo punto di vista, è una tarda fase del moderno o del contemporaneo in quanto appunto Roussel e Queneau, eccetera, avevano già anticipato ! ricerche di questo tipo e anche il nouveau roman. Anche Robbe-Grillet dal '60 in poi è venuto praticando questa narrativa di laboratorio che è qualcosa che vale anche per Eco: perfino il Nome della rosa si situa in questo settore. Resta un po' il problema di vedere se l'enorme intelligenza dell'uso dei materiali, operazione tipica di Eco, sia accompagnata anche da uno scatto a livello di scrittura, insomma, di valori un po' più profondi. Ma questo è un discorso più valutativo che qui non può entrare. Comunque di sicuro gli anni Settanta confermano questa ipotesi dell'azione, del filone che gioca sugli stereotipi e così via. Però, contemporaneamente io insistevo anche sull'altra via, ma sentivo il bisogno di darle un rilancio, che si dovesse andare oltre; è un problema su cui tornerò. Si poteva andare oltre? Era giusto? In quel momento mi sembrava che fosse possibile e anche qui avevo delle pezze d'appoggio notevoli. Come andare oltre? Portando i tropismi a livello interno delle parole. Perchéi tropismi della Sarraute, in fondo, sono molto classici, per certi aspetti, cioè si valgono del libro, di una scrittura molto tradizionale, rappresentativa,molto corretta sul piano semantico e sul piano sintattico. Sono figùrativi, potremmo dire, sono dentro alla pittura, se vogliamo fare un confronto con quanto avviene nelle arti visive. Si valgono della tela, in un certo senso, e l'equivalente della tela nel/'ambito della letteratura è il libro, la scrittura rappresentativa e così via. In quel momento era possibile fare un passo oltre, portare i tropismi dentro la scrittura e fare quella che io chiamo un'operazione intraverbale. Anche questa non è una novità perché lo aveva già fatto Joyce nell'operazione Finnegans Wake. P robabilmente gli anni Settanta e forse anche i nostri anni Ottanta, questo autunno di novecento che ancora ci resta da vivere, chissà, forse sarebbero adatti ali' operazione intraverbale, cioè ali'operazione Finnegans Wake. Siccome avevo promesso di sistemare nel mio attac- - rar1a capanni vari contributi, dico per esempio che qui si colloca molto bene il superamento dei generi. A livello di ricerca intraverbale, si tratta di spezzare l'unità della parola, far parlare le sillabe, i fonemi, i suoni e i mini-significati contenuti negli spezzÒni del materiale verbale, ecco, tutto questo vuol dire lavorare a livello di testo. Non ha più senso decidere se si tratta di un testo narrativo o di un testo poetico. Le due operazioni si rassomigliano, forse si differe~ziano quantitativamente. Comunque è un'operazione, diciamo microtestuale. Io credo che sia una pista importantissima e d'altra parte non inventavo nulla, mi. riferivo ancora una volta ad un. esempio francese, ali'esempio di Sollers, che non mi è sembrato particolarmente-travolgente negli anni Sessanta con le teorizzazioni di Tel Quel. Ma quando Sollers scrive L'infini Paradis mi sembra che abbia avuto il coraggio di capire che bisognava pure tentare la chiave Finnegans Wake e provare un terminale della ricerca. Credo che Sollers abbia avuto questo coraggio, seguito da pochissimi in Italia. Per esempio c'è stato un esempio di ricerche di questo tipo daparte di Gramigna. Questo, diciamo, il quadro degli anni Settanta, che poi nel caso mio corrispondeva anche ad un tentativo di raccordo con quanto avveniva nel settore delle arti visive. Infatti da un lato la via dell'azione, cioè, un ritorno all'intreccio e così viapuò far pensare alfilone della citazione che a partire dal '75/76 si è sviluppato appunto nelle arti visive, in pittori che rivisitano il museo. D'altra parte il revival, il remake, la riscrittura, eccetera, sono uno dei caratteri del nostro scorcio di seolo, di quello che si dice appunto post-moderno. Ma, ripeto, erano già iscritti all'origine di una certa modernità o contemporaneità quindi non è un fenomeno del tutto nuovo. Siamo adesso agli anni Ottanta. Siamo proprio qui, a queste ore, a questa sede dove ci stiamo interrogando. Qui devo ammettere che le due ipotesi che facevo sono rimaste un po' ferme e curiosamente l'ipotesi della riscrittura, il filone citazionista, Calvino, Eco per fare dei punti di riferimento nostrano, o il nouveau-nouveau roman, non sembrano raccogliere seguaci da parte dei giovani. Quanto alle ricerche microtestuali, credo che abbiano una lunga vita nel/'ambito della poesia. Ec<::oqui di nuovo una differenziazione di generi; chi fa il testo breve, e spende tutte le sue energie, forse continuerà ad usare queste tecniche·microtestuali, intraverbali ecc. Per il resto, chi invece ha ambizioni economiche di passo lungo, ed è il caso dello stesso Sollers, pare che non possa insistere in questa direzione perché è troppo parossistica, eccessiva e porta alla distruzione delle energie. Ecco che allora pare che si profili un arretramento tattico. I n questo momento la narrativa italiana sta vivendo una fase molto interessante con giovani che si chiamano De Carlo, Busi, Del Giudice e Tondelli, ecco, soprattutto con questi, probabilmente siamo in presenza di un arretramento tattico ripeto, non strategico. Io ho disprezzato la recessione e il ritorno ali'ordine che la letteratura italiana e soprattutto la narrativa ha avuto nel corso degli anni Settanta e del resto sono anni in cui sono rimasto pressoché emarginato dal/'ambito della critica letteraria perché non e'era un interesse reciproco. Io non potevo dare nessun contributo e gli altri, nel quadro generale, non avevano ragione di utilizzarmi. Oggi decisamente il laboratorio si riapre nel segno di questo equilibrio. Certamente è nata un'operazione moderata, cheperò è sempre meglio del cedimento totale. Era un po' l'interrogativo che si poneva stamattina Sallenave e che io non ho raccolto perché il quadro, appunto, era estremamente complesso ed è il problema che poneva Pontiggia. Vale a dire, insistere nella via del/'eccesso attraverso delle ricerche intraverbali vuol dire cadere nelÌ'iÌleggibilitJ--e-7'[: /ora bisogna aprire altri canali di funzione, il canale della performance, arrivare ad altri rapporti con il pubblico, sollecitare una collaborazione. Invece quel grado di leggibilità ancora connesso con l'esperienza di tipo narrativo forse ha bisogno di questo indietreggiamento tattico, però non dobbiamo nasconderci che in questo fatto noi ritroviamo i tropismi della Sarraute. Stamattina quando sentivo parlare Tabucchi, che parlava di frammenti, mi sono detto che siamo ali'onesta teoria dei tropismi. Vale a dire respingiamo i macrosentimenti, un quadro troppo ordinario di passioni, di sentimenti, di intrecci (lo diceva anche Pontiggia), e riprendiamo a scavare in una direzione che poi è stata ampiamente accertata. D' altra parte forse il nostro destino in questo scorcio di Novecento è proprio di tipo ripetitivo. • Noi dobbiamo rieditare periodicamente certe situazioni già attraversate.

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