Alfabeta - anno VIII - n. 85 - giugno 1986

Edoardo Sanguineti Faust. Un travestimento Genova, Costa & Nolan, 1985 pp. 68, lire 12.000 Novissimum testamentum Lecce,Manni, 1986 pp. 61. lire 10.000 Jolanda Insana Il collettame Milano, Società di poesia, 1985 pp. 50, lire 10.000 Patrizia Valduga La tentazione Milano, Crocetti, 1985 pp. 70, s.i.p. 11 tempo, ad ascoltare Norbert Elias, è un problema che attende ancora una risposta. Perché è invisibile, difficilmente schematizzabile, misterioso, enigmatico. Unica certezza, la forza coercitiva che la nozione ha subito nell'evolversi del processo di civilizzazione, in risposta a ben precise esigenze sociali. Assente, nel suo studio recentissimo (Saggio sul tempo, Bologna, il Mulino, 1986) il termine di postmodernità, e assente ancora, lacuna lodevole, l'idea che si parli oggi di tempo a traino di un'occasione storica finesecolare. Il che lo esime, di conseguenza, dal livellare ottimisticamente secoli e culture: come se le fini di secolo - lo si sente affermare troppo spesso - fossero proprio assimilàbili, e quasi intercambiabili, e sovrapponibili, e coincidenti, soltanto perché disposte a crinale di cifre arrotondate. Non ho mai condiviso le generalizzazioni da sindrome millenaria, o centenaria, o anniversaria: difendo l'autenticità di questo novecentesco autunno, cresciuto tra crisi della razionalità, caso e stupore, flusso e riflusso, impegnato, in arte, in negazioni e riconquiste della forma, in modi contraddittori ma dissimili dalle tradizionali categorie di estetismo, in una osmosi di generi irriducibili, in ogni caso, a prospettive di arte totale. Ogni scrittore, in ogni epoca, fissa il proprio tempo trasferendolo nel tempo «altro» della pagina. Ed è creativo se attuale, se nella pluralità e stratificazione delle culture esprime la temporalità precisa e ritagliata di una cultura, la propria, sdoppiata e metaforica, ma presente a sé, interna al testo, alla responsabilità storica della sua tradizione. Ci sono tempi che scorrono nella prospettiva lineare orientata verso un futuro che attualizzi o superi il passato (dimensione romantica, idealistica, positivistica ... ) e tempi che si confrontano con l'immobilità, la dilatazione dell'istante. Da Baudelaire in poi il tempo del moderno è la presentificazione dell'effimero, del ti;-ansitorioe contingente, che si avvolge circolarmente su di sé, ripetendo la propria diversità e inconsistenza. Un tempo plurimo senza sviluppo, che favorisce travestimenti e stilizzazioni: perché la memoria del presente richiede esercizi acrobatici, giochi e artifizi, nel confine fluido che confonde autenticità e inautentico. Può capitare che nell'impatto col presente lo sguardo del poeta si faccia ·esterno, e recuperi, nella dissociazione o sospensione del tempo, una voce spaziale insieme trasfigurata e intricata nelle cose (Porta); o si lasci sorprendere dall'imprevedibilità della parola, che rende inattendibile la decisione di fronte all'apparire violento, irreparabile, degli indizi, delle cellule g~nerative (le «poetiche-lampo» dell'ultimo Zanzotto ). Una sorta di travestimento verbale nell'allegoria di idiomi che «adocchiano solitudini» riconsegnate a se stesse, nel riverbero cosmico della «distrazione». E c'è anche, di contro, il travestimento operato da una scrittura che si interroga sulle forme dello scrivere e inventa, quasi senza darlo a vedere, un nuovo manierismo della modernità, il cui singolare statuto mi preme ora indagare. Un manierismo, è bene precisarlo subito, disarmonico, lacerato, trasgressivo: eccedente dunque la «maniera» e la continuità con la tradizione, fino a trasformare l'imitazione in straniamento, la complicazione formale in allegoria e la variazione stilistica in cronaca amplificata ed enigmatica del vissuto. Muoviamo dal recentissimo testamento di un Faust dépaysé, imborghesito e domestico: sarà intanto da chiarire che la reductio ad unum di due testi ottimamente predisposti al tiro incrociato (Novissimum testamentum, Lecce, Manni, 1986 e Faust. Un travestimento, Genova, Costa & Nolan, 1985) può fungere da pretesto per esemdopo gli stringeri e i leccari,/ e dopo ancora i succhiari e i pompari,/dopo i fellari e dopo gli irrumari,/e, in tutte pose, tutti quanti i fotteri,/e, finalmente, tutti gli orgsmari,/ [... ]». Un mondo «alla rovescia rovesciato» che rappresenta, metaforicamente e carnalmente, un oggi in vita e in morte, ipostatizzando e protocollando il vissuto, con tutte le sue date, i suoi matrimoni, le sue nascite, schedati e archiviati, documenti esemplari di un vivere in citazione, intemporale, sostitutivo sino alla morte («ma una cosa ci lascio a quella donna/che l'ho incontrata nel cinquanta e tre [... ] lascio, a chi resta, aurore boreali [... ] io vado, ormai, che mi aspetta il mio niente:»). In contrapposizione, la canzone carnascialesca che fa morire in strambotto e in rispetto la parola e la scrittura, travolgendo e deturpando il manichinouomo sino alla consunzione, è, con le sue patenti autenticate di attendibilità storica e formale, allegoria vera di una reale e vitale perdita di orizzonte, spazio polivalente, insieme figurale e verbale, per una Rivista trimestrale fondata da Adelio Ferrero dal 15 giugno in edicola e in libreria il numeo 45 nel nuovo formato a colori 100 pagine Lire 10.000 In questo numero: Il fantasma del bello Le vocazioni estetiche del cinema italiano Conversazione con Gilles Deleuze Almansi, Annaud, Chatman, Jarman, Kluge1 von Praunheim, Roth, Sengelaja Abbonamento a quattro numeri Lire 35.000 Inviare l'importo a Cooperativa Intrapresa Via Caposile 2, 20137 Milano Conto Corrente Postale 15431208 Edizioni Intrapresa plificare una davvero straordinaria poetica di travestimenti e citazioni. Nel poemetto in ottave che apre la raccolta di Sanguineti, come nella libera riduzione goethiana, analoga è la tendenza a invertire tra loro registro esistenziale e formale: se il primo riduce l'io a pantomima verbale, lo mette in mostra, cartaceo e deperibile, il secondo opera il capovolgimento parodico, duplicando le visualizzazioni prospettiche del segno nella planimetria di un presente intricato e metamorfico. Manieristico è insomma, di fatto, il corpo-marionetta frantumato in parti non riconsegnabili all'essere vivo, l'inventario monotonale redatto dal giullare scarnificato, jacoponico elogiatore del deforme e del corroso, paladino donchisciottesco, logorroico e paranoico. E ccede invece il manierismo, nel poemetto testamentario, la stilizzazione dell'oggi in lasse armoniosamente cantilenose, ottave compitamente ridefinite e regolari, e tuttavia parodiche, trasgressive. Come quando la parola s'impenna e scatta su un'occasione sillabica, articolando una sequenza liberatoria di vaneggiamenti verbali in linguaggio basso, materico, infernale, da rito capovolto, cerimoniale anomalo: «quando è finito ogni gestd d'amore,/dopo i baciari e dopo i carezzari,/e dopo gli abbracciari e gli avvinghiari,/e poi, rappresentazione senza centro, più vera del vero, paradossale e inafferrabile come l'esistenza. Accade così anche nel Faust, altro emporio di vita e morte, ove un io disarticolato e tradotto si traveste senza essersi mai appropriato di sé: ne consegue che proprio il travestimento smascheri, non implicando distanza ma rivelando piuttosto un dissociato coesistere (di voci, stili, gesti), un amalgamato crogiolo di tempi e tradizioni, nel non luogo di un presente effimero, _sincretico, versatile, fluttuante. Fittizia la ricerca, il tarlo del conoscere: reale l'ironia formale, ritmica, sintattica, che decostruisce la rigidità e la presunzione logica di chi vuole possedere un gioco di parole («il segreto dell'essere dell'esserci/ il mistero dell'esserci dell'essere»). Tra filastrocche e cantilene, rime facili e baciate, il divertissement straniato e straniante si sviluppa all'interno di una trasmutazione in forma, in un universo di eventi verbale, ove i «casi massimi» provocano abbuffate di parole, fittissime sonorità alienate da menestrello stranito, capace anche di intonare, sulla caotiça polifonia del quotidiano, ludiche tregue foniche, stacchi contemplativi da poeta «innamorato»: «O dolce luna, tu, caro chiarore,/ guarda, una volta ancora, il mio dolore:». Introducendo un'altra, diversa scrittura, neoespressionistica ed «etica» (il Leonetti di Palla di filo, Lecce, Manni, 1986), Bettini e Luperini parlano di nuova svolta, con argomentazioni che, a guardar bene, non divergono da quanto stiamo rilevando. Il confronto critico, di segno mutato, con la tematica del «vissuto» e il riattivamento di «funzioni analitiche, gnoseologiche e riflessive» della parola, misurato soprattutto sulla sua tenuta opportunamente straniata rispetto ai «sedimenti stratificati della tradizione», sono subito verificabili · nel travestimento faustiano: basta scorrerne i recitativi disseminati di frizioni apparentemente armoniche, sottoposti di fatto alla convergenza corrosiva del testo che preesiste, del contesto attualizzato, della citazione di gesti e sentimenti operata da una verbalità mai «innocente», tra afasia e asfissia, poetica del consumo e insofferenza di ogni possibile durata. Un manierismo, dunque, decisamente inconsueto e ironico (come rilevava Antonio Porta in Alfabeta n. 84, maggio 1985), un critico inventario delle sedimentazioni del moderno: lo confermano ancora, nella raccolta, i rebus linguistici, (Re-spira, Astro lapsus), letterali enigmi segnici e allegorici resoconti di enigmi fattuali, ove gli oggetti si «disvenano» in tracce di scrittura, respirando e spirando sul foglio tra ubiquità e nitore, matericità e impermanenza («per le spente suture si disvenano / a strati i soffi soffici dei segni»). Di una «maniera» sperimentale e conoscitiva, capace di connotazioni plurime, offrono un variegato campionario altri due testi che introduco appaiati, Il collettame di J olanda Insana (Milano, Società di poesia, 1985) e La tentazione di Patrizia Valduga (Milano, Crocetti, 1985). L'espressionismo lucido di Collettame espone una parola ubriaca e infistolita da stratificazioni plurisecolari, che sfiorano dimensioni magiche e archetipiche: l'effimero, il residuo, il nulla si trovano investiti da un formulario privatissimo, aggrediti da malocchi verbali, che dalla citazione derivano pathos e concretezza etica, terrore e straniamento parodico. Una parola fattucchiera e stregata, violentemente tenera, insulare e periferica e insieme raddensata per amore di travasi e infusi verbali, di intrugli sillabici praticati su ricettari alchemici: «Il mio è un cuore infardato di gramuffa / che nessun fottiverso raschia e sgraffia con il suo litterume». Grecità (la Saffo così fedelmente tradotta ... ) e sicilianità, echi colti e richiami terragni, si decantano sulla pagina-scena, ove un «moncherino di plastilina», sostituto di un io espropriato, distribuisce presenze e assenze, figura sembianze larvali, evoca allucinazioni («con volto sparuto e disturboso / mordo e pizzico nessuno mischiato con niente»). Un realismo espressionistico che si fa strada fra lapsus semantici e etimologiche filiazioni verbali, a un passo dal nonsense: ma ogni volta lo scarto, l'insubordinazione alle «figure d'ornamento» protrae, «semanticando», incertezze e incantamenti. La trama del vissuto è allora ripercorsa dagli «svanimenti di parole senza sesto», che conoscono la vita e la morte, la verità di atti simulati e l'inafferrabilità del senso: e si accampano senza cedimento, con la radicalità del provvisorio alleggerito da ogni complesso di risarcimento sentimentale. L'impatto con la crisi è così giocato sulla valenza di un tessuto verbale liberatorio più che esorcizzante, che non ricompone ma lacera, dissonante, contraddittorio: una iniziazione all'eticità, una pratica mirabilissima di resistenza «nel risucchio di parole sguantate», al limite della parcellizzazione («e il subito che mi agguanta non scavalca il minuto»). lf altrove - e quindi la perdita e il desiderio, il sogno utopico- esistono in poesia solo in quanto già incorporati nel linguaggio. Lo ribadiva recentemente Viviani (La scena. Prove di poetica): sulla pagina la distanza, il percorso metaforico vanno necessariamente ricondotti alla vitalità immediata, non sostitutiva della parola («Ogni cosa vicina e lontana vive nel linguaggio presente in quanto presente. Le parole non sono evocazioni o sostituti che rimandano all'assente, ma esistono tanto quanto sono qui nel testo presente»). Di fronte al «vuoto niente» che scandisce, con frequenza ossessiva e raggelata il ritmo della Tentazione, tra uno semorarsi in terzine alla ricerca di una improbabile rinascita e le alterne prove del possedere e dell'essere posseduti, vien fatto di interrogarsi proprio sul senso e la consistenza di quell'altrove immanente al testo. Se di manierismo ironico e trasgressivo si è prima parlato, questi endecasillabi che incapsulano un incubo tragico ritagliando su una scena muta foniche incarnazioni visionarie, allucinati sintagmi, erotiche allitterazioni e sensuali percorsi iterati".i, paiono sottrarsi alla definizione. Ma poi quella femminile voce gestuale, lamentosa e aspra, morbida e conflittuale, protagonista vera di uno sdoppiato monologare («perché non mi ricordo più chi sono»), che parla per versi citati, contaminati, rendendo «vivo l'estinto di cose che più non sono», mentre consuma il presente tra contrasti tonali, elegia e pathos, trasmette inquietanti «scaglie del moderno», enigmi che si sciolgono in parodico sberleffo. «Puro stile arcaico della modernità», è stato detto: se la vita è citazione di vissuti, quaresimali e barocchi, penitenziali e orgastici, la forma riesce a sforbiciare un'identità linguistica straniata, esasperatamente, patologicamente ripetitiva ma anche irrispettosamente insubordinata, sino alla deformazione cinica dei sentimenti «fatturati», nella società del consumismo («E adesso non ho più nulla e parlo sola: / degli anni morti in cuore io mi accuso, / schiusi e stesi così come lenzuola, // e del presente e uguale, cuore incluso.») Si è di nuovo abissalmente lontani da un conformismo restaurativo, da una gratuita prova di abilità: tradurre (sé stessi, e la scrittura) significa provocare, anche in questo caso, le probabilità del senso, confrontare l'intemporalità delle pronunce sedimentate, far scattare, sul deposito di tutte le tradizioni, compresa quella del moderno, CO un'identità flessibile e reversibile, c::s liberata, nel transfert, dal comples- -S ·~ so dell'assenza. 1::1, Una redenzione tutt'altro che 'O ~ parsifalizzata, anzi sperimentai- -. mente odierna, che fa convivere ~ compostezza metrica e patadosso ~ di una quotidianità non garantita, ·b<> riconquistando alla parola non solo ~ funzioni smascheranti e trasgressive, ma la capacità progettuale di una rifondazione.

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