Alfabeta - anno VIII - n. 85 - giugno 1986

che molto prossimo alla terra della memoria delle intermittenze del cuore proustiane. Lf interrogazione, _a!lora, a questo punto, d1v1enenecessario strumento di scavo: non sono forse tutti questi mondi, così vicini e al tempo lontani alla nostra terra di oggi, prodotti fantasmatici della memoria? non sono forse un modo di ancorarsi con certezza a questa terra d'esilio? non sono, forse, ancora, prodotti di una ricerca pur tranquilla, senza angosce, condotta per ritrovare il tempo perduto? Titoli spie, a questo proposito, e che potrebbero favorire risposte affrettate, nei lavori di Enrico Morovich, non mancano: per esempio Cronache vicine e lontane (cit.); una raccolta nella quale la narrazione corre senza precisi binari cronologici, e ciò che è lontano sembra presente ora, pronto sempre a ritornare, pronto a confondersi col vicino; oppure, il prossimo Storie di Fiume ed altre cose ( ed. Compagnia dei librai per Creativa, Genova 1985), dove le memorie dell'infanzia, dell'adolescenza o della giovinezza sono narrate dentro un tempo e uno spazio indeterminati, e l'io narrante pare senza età, senza storia. Tuttavia, per cogliere appieno il senso di queste interrogazioni, il senso della presenza d'altri universi, il significato della terra della memoria, è necessario attraversare il territorio del fantastico. Un territorio al quale Enrico Morovich è fedele da molti anni. E data la sua peculiarità di «autore solitario» (come lo definì Bruno Maier nella prefazione a La nostalgia del mare, cit.), di autore consegnato da anni ad edizioni semiclandestine, a pochi lettori aristocratici; non sarà inutile qualche cenno storico-biografico (anche se incompleto) che ci permetta di collocare lo scrittore nell'oggi. Enrico Morovich (nato a Fiume nel 1906) esordì trentenne con L'osteria sul torrente pubblicato per i tipi di So/aria: «Aver raccolto, fra tanti segnali, anche quello discreto e perentorio dello scrittore fiumano è certamente da ascriversi fra gli investimenti a lungo termine più sicuri, nel già cospicuo bilancio della rivista, anche se vocazione alla solitudine e orgoglio per la propria indipendenza rischiano di non pagare nel panorama della letteratura dei nostri gionri». Così, Enrico Ghidetti a proposito di questo esordio ormai lontano e che forse pochi ricordano (in Ghidetti, L'altra realtà, Materiali n. 12, Galleria Libreria Einaudi, Mantova 1985). Come pochi, ancora, ricorderanno l'attenzione che Giaime Pintor, nel 1940, dedicò a Morovich,.recensendo un suo libro. Il suo sguardo cadde in particolare su di un raccontino breve breve, una folgore si potrebbe forse dire, d'una misura aurea, che varrà la pena di rileggere se si vuole considerare i contenuti del fantastico in Morovich. «Antonio si svegliò bruscamente, disturbato da un rumore come di zoccoli. Accese la lampadina e vide che era la Morte, la quale passeggiava in su e in giù per la stanza, e che, vedendosi osservata, si fermò e indicò col dito il cassetto del tavolino da notte. Poi riprese a t-.. c::s · camminare sempre in su e in giù -5 sempre con quel passo rumoroso ~ c::i.. dovuto ai suoi piedi scarni. Anto- ~ ...... e:, t! nio si preoccupò che nella stanza attigua la potessero udire. Nuovamente la Morte si fermò ad indica- -~ re col dito il cassetto del tavolino e eo di nuovo riprese a pass~ggiare. Ma ~ faceva troppo rumore. · - Se vuoi-'cheprenda la rivoltella ~ dal cassetto, - le disse Antonio in- ~ dicando le ciabatte sur tappeto, - ~ mi devi fare il piacere di_<:,al~arele ' mie pantofole. - Sta bene, - rispose la Morte, e subito le calzò. Ora passeggiava senza alcun rumore. Antonio spense la luce. Pareva proprio che nella stanza non ci fosse più nessuno. Si guardò bene dal prendere dal cassetto la rivoltella e dopo un poco dormiva di nuovo profondamente» («La morte in pantofole», da/ ritratti del bosco; Parenti, Firenze 1939). P intor, come sottolinea Ghidetti, si soffermò, allora, a · considerare la· «maniera» di raccontare dello scrittore, ammettendo poi la difficoltà di collocare l'opera di Morovich nel contesto della narrativa a lui contemporanea e concludeva: «I racconti di Morovich sono scritti c.ome quegli intrecci di opere insigni che si leggono nei libri di testo, sono canovacci, riassunti. Sono in certo senso il racconto essenziale e lo scheletro del racconto». Lo scrittore fiumano, in questo giudizio «scontava così le sue eccéntricità di narratore fantastico rispetto ad una tradizione narrativa di impianto realistico (e sia pur assetata di liri~moe incrinata dalla tentazione del framrntnto)» (Ghidetti, cit.). In realtà, in questo racconto, come nella raccolta che lo contiene, emerge già un disegno, una fedeltà al fantastico che differenzierà Mo- . . rovich da alcuni scrittori come Bontempelli, Savinio, Landolfi, ma anche da un certo Buzzati, per molti versi anch'essi fedeli a questo genere. Sappiamo che il testo fantastico di Bontempelli nasceva da una sorta di «realismo magico» come egli stesso lo definì; oggetti, situazioni comuni, quotidiane si trasformano nella pagina di Bontempelli evocando il loro lato nascosto, surrealista, allentando i legami sensibili e razionali che avvolgono le cose. Non vi sono in questa esperienza del fantastico visioni, forti stravolgimenti fantasiosi: e basterà rileggere la raccolta Miracoli o La scacchiera davanti allo specchio per rendersene conto. W. Paalen, La housse, 1936 Per contro, il fantastico di Savinio scaturisce da situazioni grottesche, parodistiche in racconti che spesso sono frutto di invenzioni fantasiose, di paradossi intellettualistici e di meditazioni filosofiche. Siamo comunque e sempre di fronte ad un'altra realtà che in misura c. maggiore o minore pare essere separata da confini assai netti, che la demarcano e la indicano come distante dal mondo reale. In particolare, sul piano strutturale, sintattico, quando il salto nell'altro versante, dentro il fantastico è f~tto, non c'è più contaminazione tra reale e fantastico, se non quella sempre e comunque_ op~r~ta ?al !inguaggio, nella sua veste di Grande Mentitore. E se in Landolfi (che praticò il fantastico in tutte le .direzioni, compresa quella fantascientifica) pare emergere una filosofia in cui gli avvenimenti della vita sembrano guidati dal caso, sfuggendo alla capacità dell'uomo di razionalizzarli, di dominarli; è forse in Buzzati, nello scrittore già maturo, che possiamo ritrovare una somiglianza con il discorso di Morovich. I suoi racconti, come per Morovich, prendono il via da un esordio realistico, per sfociare ad un certo punto, senza avvertimenti (stilistici e contenutistici), nel fantastico; un insieme di eventi che paiono assurdi, paradossali, ma che sono vero- \ I bili, legati fra loro da una sorta di comunanza con la scena, il linguag- 1 gio del sogno, ma non certo spiegabili solo in quella direzione; oppure i Due racconti in forma di sogno pubblicati dalle edizioni del Piombino (Alessandria 1981). L'esitazione, dunque, non la incredulità, né la fede totale, scrive Todorov, dà vita al fantastico; e proprio questa esitazione testimonia della vicinanza ~ ii}siemedella lontananza degli universi possibili che dicevamo all'inizio; proprio questa esitazione unita alla sorpresa, che crea vertigine del tempo, perdita dell'orientamento spazio-temporale, avv1cma questi mondi allo scavo nel passato perduto, nella memoria. Tuttavia, v'è dell'altro: sappiamo ancora da Todorov che il soprannaturale, il fantastico «deriva spesso dal fatto di prendere alla lettera il senso figurato»; così che si slitta dall'iperbole, dall'esagerazione, dall'antitesi, nel discorso fantastico. E se il discorso fantastico si serve continuamente delle figure retoriche «è in quanto vi ha trovato la propria origine». Non soltanto i mostri, i vampiri, i popolatori di tutte le zoologie fantastiche non esistono se non nelle parole; «ma per di più il linguaggio solo consente di concepire ciò che è assente» (Todorov); e di concepirlo come prossimo a noi, come sotterraneo a noi, come parte nascosta, velata, ma emergente di noi. S e il fantastico di Morovich è in limine, sulla soglia del reale è perché lo scrittore fiumano ha saputo cogliere questa dimensione; se non c'è storia, non c'è tempo, non v'è luogo di vivenza che sia determinato, certo è perché. negli scritti di Morovièh alberga la convinzione che tutto è già dentro nel qui ed ora; in un presente che alberga in sé mille incertezze, infiniti tranelli, una molteplicità di facce e di bocche parlanti dello stesso io. Si prenda ad esempio / giganti marini (cit); al centro del romanzo che narra la vita quotidiana di alcuni amici giovani che vivono in una città in riva al mare, la graduale metamorfosi dei personaggi. Una metamorfosi che non è come per Gregorio Samsa mostruosa; ma · proprio per questo risulta essere più inquietante, perturbante. Morovich ha certamente colto la lezione di Kafka; sa che il mostruoso, il perturbante alberga già dentro noi,· nel famigliare, e che non vive come potenza inconoscibile esterna al soggetto. Per questo, ci pare, la arricchisce, umilmente, consegnandoci la convinzione che la metamorfosi ci appartiene, appartiene al nunc instans, all'oggi, al qui ed ora in quanto successione puntiforme di istanti, successione accumulazione non lineare del nostro passato. Allora, anche il tema della memoria rientra, in ·questo modo, a far parte del tessuto fantastico di Morovich; una memoria fatta di sogni, di luoghi inesplorati del nostro apparato psichico, di oggetti e di persone che si frangono continuamente nel tempo presente. C'è di che perdersi, di che smarrirsi; e il simili in sé. senso dell'essere continuamente Tuttavia, per Morovich, si può esiliato, ribadisce il pensiero che forse usare un termine di distinzio- l'esilio, la terra da cui siamo e ci ne assai più marcata: si può parlare siamo ·esiliati è la verità del soggetdi fantastico puro, di fantastico, to; terra perduta, forse, non più cioè, che non corre mai il rischio di trovabile. cadere nello strano o nel meravi- Eppure, Morovich, ha la convinglioso. Potremmo dire, ~eguen.do zione che solo colui che non sarà Todorov, che il fantastico di Moro- troppo affezionato alla bussola, vich «dura soltanto il tempo di noo rischierà di perdersi. In fondo, un'esitazione»; esitazione comune il viaggio, lo abbiamo sottolineato al lettore e al personaggio che deb- ·-i-fin dall'inizio, è necessario non sobono decidere, senza mai poterlo lo alla conoscenza, ma alla vita fare, se ciò che percepiscono fa stessa. E in Morovich, le figure del parte del campo della «realtà», viaggio (la.nave, il treno, l'auto- «quale essa esiste nell'opinione co- bus·, la passeggiata, l'automobile, mune». Si leggano a questo propo- la fuga... ) sono presenti ovunque. sito i racconti di Ascensori invisi-

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