aperta la seguente questione: di fronte ad ogni sistematica delle teorie filosofiche e scientifiche, non sussiste, in linea di principio, un primato del destino [Geschick] a-razionale della costituzione storica del senso? Quest'ultima, nella misura in cui si basa sulle evidenze fenomeniche interne al mondo, non rim!lne forse, per quanto riguarda la selezione e l'interpretazione dei fenomeni, in fin dei conti dipendente da uno svelamento storico-destinale di senso che è sempre nello stesso tempo nascondimento del senso? In tal senso, l'idea del progresso della verità non deve forse veniF ridotto entro orizzonti di senso delimitati - per esempio entro· la, «scienza normale», dipendente dal paradigma, come nella teoria di Thomas Kuhn? E il pensiero del progresso morale rilevante da un punto di vista etico, ad .esempio, non deve forse venir del tutto abbandonato, tanto quanto l'ipotesi di principi etici universali? La risposta a queste proposte - caratteristiche per il Postmodernismo-dev'essere, a mio parere, duplice: 1. Innanzitutto va richiamata l'attenzione sul fatto che il rapporto di dipendenza fra verità in quanto correttezza (e coerenza!) del giudizio), da un lato, e apertura di senso del mondo dall'altro, non è per nulla così unilaterale come quello che è stato suggerito da Heidegger - e che in forma analoga è stato ripreso dalle teorie del framework post-wittgensteiniane. Tutti i processi di apprendimento, infatti, ' basantisi sulla conferma di congetture, costituiscono un contrappeso rispetto all'a-razionalità ed alla fatalità degli svelamenti di senso: è vero che, da un lato, essi sono resi possibili soltanto attraverso gli orizzonti linguistici di un'apertura epocale di senso del mondo, e tuttavia, dall'altro, sono in grado - sulla base della conferma delle evidenze ontiche accessibili alla luce dell'apertura di senso del mondo - di contribuire a determinar.e anche da parte loro un'ulteriore apertura di senso del mondo nel linguaggio. In questo senso risulta ingannevole il fatto che l'ultimo Heidegger interpreti unilateralmente il fenomeno dell'apertura di senso del mondo in quanto «invio» [Zuschickung] dell'essere temporale, proprio cç>mese l'accadere della maturazione del tempo [Zeitigung der Zeit] - da noi esperita infatti come a-razionale - fosse identico all'accadere dell'origine del senso - se non addirittura della verità in quanto «a-letheia». A mio avviso Heidegger era molto più vicino alla verità quando - in Essere e tempo - cercava di determinare la struttura dell'apertura di senso del mondo nel senso del «circolo ermeneutico» dove basta che il filosofo entri in modo corretto. Anche allora, però - come in seguito nella «filosofia ermeneutica» di Gadamer- rimase senza risposta la domanda su come dunque il filosofo si introduca correttamente nel circolo proficuo del comprendere esplicativo dell'apertura di senso del mondo, se si possa ancora dare a questo proposito - all'infuori del progetto arbitrario o del destino temporale - un qualche criterio normativo. È a questo punto che, secondo me, deve prender forma la seconda, complementare risposta all'ultimo problema sollevato: 2. Anche se si prendono lo mosse dal fenomeno della conferma delle conoscenze nei processi di apprendimento, rimane la questione relativa ai criteri della conferma - per così dire della selezione di innovazioni cognitive sul piano dell'evoluzione culturale. Come è noto, vi sono teorie dell'apprendimento che suggeriscono che in questo caso si ha a che fare, in fondo, semplicemente con una prosecuzione del processo biologico di adattamento nell'interesse della sopravvivenza di una popolazione (più precisamente: nell'interesse della «proliferazione genetica»). In questo caso verità e conferma si potrebbero ridurre - in un senso socialdarwinistico - ad adattamento e selezione, e non ci sarebbero criteri normativi, ·specifici di una cultura, per la conferma del conoscere - per non parlare di criteri normativi di selezione delle regole del comportamento nel senso di processi morali di apprendimento. I cinici potrebbero essere inclini ad affermare che, per uno sguardo disilluso, ciò non sia altro, appunto, che il lato scientifico esterno dell'accadere, accadere che i Postmodernisti, con Heidegger, hanno esperito in quanto svelamento e velamento destinati del senso dell'essere. E in cosa dovrebbe allora consistere anche il criterio obbiettivo e praticamente rilevante per · distinguere i due modi di vedere? Non sono forse entrambi espressione di un nichilismo culturale e storico-filosofico? A questo punto della discussione vorrei mettere in risalto i criteri normativi del comprendere, vale a dire della ricostruzione razionale di processi culturali di apprendimento, criteri che sono «già sempre» contenuti nel logos della razionalità discorsiva. A mio avviso si tratta, in questo caso, di quegli elementi costitutivi (trascendentali) della pre-struttura dell' «esserci» - e cioè: dell' «essere-nel-mondo» che comprende sé e il mondo nel1' «essere-con» gli altri - , che Heidegger, in Essere e tempo, non ha analizzato: elementi costitutivi che egli, a quel tempo, nella sua analisi quasi riflessiva nel senso dell'oblio del Iogos, ha saltato a favore di un'analisi della dipendenza del comprendere dall' «essere-gettato» dell'esserci, la cui contingenza è stata in seguito da lui compresa come «invio» [Zuschickung] nel senso del destino dell'essere [Seinsgeschick]. I criteri normativi in questione della ricostruzione razionale di processi di apprendimento relativi ad una cultura sono contenuti, a mio parere, in quei costituenti non-contingenti della pre-struttura dell'essere-nel-mondo comprendente, i quali stabiliscono le condizioni di possibilità e validità dell' analisi filosofica dell'essere-nel-mondo comprendente. A ciò appartengoAo in primo luogo le precedentemente già menzionate quattro pretese universali di validità di ogni argomentazione: la pretesa del senso, la pretesa della verità, la pretesa della veridicità, e quella, eticamente rilevante, della correttezza degli atti linguistici comunicativi nel senso delle norme, sempre già riconosciute, di una comunità ideale della comunicazione. A ciò appartiene inoltre la preM. Oppenheim, Steinfrau, 1938 supposizione secondo la quale le quattro pretese di validità, in linea di principio (anche se raramente da un punto di vista empirico-fattuale), possono essere soddisfatte razionalmente, nel senso della razionalità discorsiva. Quest'ultima presupposizione deve addirittura assumere, nell'argomentare attuale, il carattere di un'anticipazione contro/attuale dell'ideale della formazione del consenso. Chiunque partecipi alla discussione lo attesta volente o nolente - anche se asserisce il contrario. Ora, tali condizioni necessarie dell'argomentare contengono i criteri normativi della ricostruzione razionale di processi di apprendimento nella misura in cui esse - in un'indicazione formale - assegnano un fine a tutti i processi culturali di apprendimento: un fine che, nella dimensione ontogenetica e filogenetica dei processi culturali di apprendimento dell'uomo, deve svolgere un ruolo, accanto a qualsiasi strategia di sopravvivenza e di autoaffermazione, per lo meno come principio regolativo dell'apprendimento stesso. Non si tratta, in questo caso, di un telos sostanziale nel senso dell'antica metafisica del buon vivere o della filosofia speculativa della storia; però si tratta pur sempre di un principio teleologico che ogni tentativo di ricostruzione razionale del processo dell'evoluzione umana deve presupporre: un tentativo che per comprendersi in quanto risultato dell'evoluzione, deve in verità ammettere le necessarie presupposizioni della propria competenza di ricostruzione - costituenti il logos della razionalità discorsiva - anche come possibile telos dei processi di apprendimento che vanno ricostruiti. Ho definito tutto ciò come postulato dell'auto-recupero [Selbsteinholung] delle scienze ricostruttive. Un'impostazione estremamente feconda e molto promettente nel senso di una realizzazione del concetto or ora accennato della ricostruzione dei processi di apprendimento è rappresentata, a mio avviso, dalla psicologia déllo sviluppo cognitivo di Jean Piaget, e inoltre, su questa base, dalla ricostruzione dello sviluppo della competenza di giudizio morale intrapresa da L. Kohlberg e dai suoi collaboratori. In tali teorie viene presa in considerazione per così dire una mediazione fra il telos ideale della soddisfazione razionale delle pretese universali di validità del logos ed il telos biologico dell'adattamento degli individui necessario alla vita: vale a dire, nello schema di una gerarchia di gradi di sviluppo nel senso della realizzazione progressiva dell'equilibrio tra la formazione razionale del giudizio e l' adattamento, necessario alla vita, ali'ambiente naturale e sociale. Ora, dal momento che i processi di apprendimento analizzati da Piaget e Kohlberg ne~ senso dell'ontogenesi della coscienza umana non dipendono nella loro realizzazione concreta soltanto da condizioni ambientali naturali, ma anche da quelle socio-culturali, così, anche riguardo alla dimensione filogenetica dell'evoluzione culturale, risulta necessario supporre la possibilità di un progresso attraverso processi di apprendimento - nel senso della progressiva realizzazione del telos - alla soddisfazione razionale di pretese universali di validità. Anche in questa dim~nsione, intanto, vi sono spunti per una teoria dei processi razionali di apprendimento. Detto ciò, posso riassumere e concludere la mia risposta alla tesi globale del Postmodernismo che si rifà ad Heidegger: 1. Il logos - o la ragione in generale - non può venir compreso come il risultato contingente, epocale della storia dell'essere, dal momento che una simile tesi sopprimerebbe le sue stesse pretese di validità. 2. Il logos della razionalità discorsiva, presupposto da ogni argomentazione, contiene anche il telos della ricostruzione razionale dei processi culturali di apprendimento. Questi ultimi rappresentano un argomento che si oppone all'idea della dipendenza di ogni conoscenza dagli svelamenti a-razionali e destinali, così come dai contemporanei velamenti del senso dell'essere. Non sussiste motivo alcuno per abbandonare del tutto l'i- ) dea del progresso - nel senso del progresso della verità e in quello del progresso della competenza di giudizio morale; essa, al contrario - certo in un senso diverso dalla teleologia speculativa della metafisica tradizionale - resta presupposta ad ogni ricostruzione dei processi di apprendimento umani. 11.2.2. Nel corso della discussione della seconda e terza tesi di Heidegger (relative al logos della metafisica e, rispettivamente, alla scienza e alla tecnica moderne), posso per la prima volta replicare alla critica della ragione del Postmodernismo - e precisamente nel -senso del programma di un'autodifferenziazione critica della ragione oggi possibile e necessaria. In effetti si può mostrare quanto segue: il logos apofantico della Metafisica classica, già in Platone e Aristotele, si ritrovò ridotto, nel senso dell'astrazione, da dimensione pragmatica del discorso a rappresentazione proposizionale di stati di cose. Le funzioni in questo senso non rappresentative del discorso nel dialogo - vale a dire: le funzioni comunicative ed autoespressive, nonché la funzione - con ciò internamente connessa - della riflessione sulle attuali pretese di validità dell'argomentazione -: tali funzioni (in un frammento riguardante il «logos» e attribuito a Teofrasto) vennero esplicitamente staccate dal logos apofantico della filosofia, per essere assegnate alla retorica e alla poetica. Tale successiva limitazione della «connotazione del linguaggio come logos» nella tradizione della filosofia del linguaggio logicamente orientata, riflette in realtà un corrispondente sviluppo del logos della metafisica in direzione del logos tecnico-scientifico del «com-posto» [Ge-stell] nel senso di Heidegger. Ciò si vede in particolare nella fondazione - anticipata speculativamente da Leibniz - della semantica logica in Frege e Tarski. In Frege, dal_concetto di asserzione proposizionale, non venne soltanto eliminato - come già nel concetto del «lekton» degli stoici - l'indicatore semantico dell' affermazione in quanto momento psicologico-soggettivo; con ciò, in pari tempo, l'asserzione venne qui
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