che invece continua sempre è la condizione della possibilità di ogni successo: la ricerca di una perfezione interiore intesa come «ambito incomprensibile tra l'essere e il nulla». Andrea Battistini nella sua lucida introduzione al libro di Maravali giustamente rileva che i teorici secenteschi della ragion di stato e della dissimulazione onesta sono abituati a riflettere «negli interstizi che si aprono tra accidente e sostanza, finzione e verità, fugacità illusoria dell'esistere e stabilità di · un sistema che si rafforza proprio assecondando il senso di caducità» e che essi sono estranei alla pretesa di cogliere la nuda verità, comune al Machiavelli e ali'Alfieri. Un aspetto che accomuna questi tre libri è il rifiuto della concezione prometeica dell'uomo visto come padrone e signore del mondo. Per Kracauer, l'attività storiografica richiede un «autoannullamento>>, un porsi in ascolto, una specie di «passività attiva»: lo storico è paragonabile ad uno straniero che deve Aldo Palazzeschi Difetti 1905 a c. di Fabrizio Bagatti · Milano, All'insegna del pesce d'oro, 1985 pp. 124, lire 15.000 Miria Carpaneto «Sulle varianti delle poesie del primo Palazzeschi» in Studi di filologia e letteratura, VI, 1984 Università degli studi di Genova Istituto di letteratura italiana pp. 343-359 L'immaginazione, n.s., n. 1-21 gennaio-febbraio 1985 Lecce, P. Manni editore pp. 16, lire 3.000 Bibliografia degli scritti di Aldo Palazzeschi a c. di Anna Grazia D'Oria Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1982 pp. IX+113 Il Bisogna pubblicare tutto», '' soleva dire Apollinaire. E Mallarmé aveva raccomandato riguardo alle sue carte: «Bruciate tutto». Tra questi due poli sembra svolgersi il destino delle opere letterarie che nel moderno trova dimensione e ambientamento nuovi, ma le cui radici affondano in epoche remote. La Vita di Elio Donato, che dalla biografia di Svetonio. su Virgilio riprende ampiamente materiali e notizie, riporta che il poeta in punto.di morte intendesse bruciare l'Eneide, però nessuno acconsentì a dargli le cassette che custodivano il-manoscrit: to. Virgilio fu allora costretto a desistere dal suo proposito, non senza aver prima strappato a Vario e a Tucca, ai quali affidò tutte le sue carte, la promessa di non pubblicare niente che non fosse stato già pubblicato con il suo consenso. . Ciò che importa sot!glineare di questo episodio, non e tanto la disobbedienza di Vario, perpetrata del resto dietro le pressioni politiche dell'imperatore Ottaviano, quanto piuttosto la «clausola» del fuoco insita nel testamento morale di Virgilio. Ogni epoca letteraria si troya inevitabilmente a fare i conti con questo elemento primordiale" dove in gioco è una «morte cosmi- .ca»., per dire col Bachelard della lasciarsi trasportare ed accogliere dalle situazioni in cui si imbatte: «La saggezza spesso- dice un verso di Wordsworth-è più vicina quando ci abbassiamo che quando ci libriamo in volo». L'antologia di Poulet offre un'amplissima fenomenologia di questo stato di spossessamento. Ma l'esito di tali processi spirituali non è l'abbandono: al contrario - dice Maravall- il Barocco in tanto è una cultura diretta ·· in quanto è una cultura di alienazione e di possessione (p. 354). Ciò che desta sorpresa è il fatto che in questo modo di essere intermedio e indeterminato si combinano la più sottile abilità pratica in presa diretta col mondo e la familiarità con gli stati di transe e di delirio, l'esprit de finesse di un saperfare astuto che scivola tra gli impicci e le difficoltà e l'esercizio delle più complesse avventure spirituali. Si diceva a proposito di Erasmo da Rotterdam: «Nessuno ha avuto il privilegio di vedere nel suo cuore, e tuttavia esso è pieno di un contenuto eloquente». Non c'è da meravigliarsi - commenta Kracauer - che un simile uomo insieme invisibile e visibilissimo, marginale e centralissimo, venisse attaccato da tutte le parti e risultasse ambiguo e sospetto tanto ai cattolici quanto ai protestanti. E ppure la nostra età ha bisogno proprio di questi uomini interstiziali e indefinibili, perché essi sono coloro che stendono le reti, i networks attraverso cui. scorre, transita il sapere. Kracauer paragona il loro lavoro alla fotografia e al cinema: essi· aiutano a pensare attraverso le cose e non al di sopra di esse.Come la fotografia e il cinema sottopongono il reale ad un processo di trasformazione che va dallo stesso allo stesso. Perciò hanno, come il Socrate platonico, qualcosa di demonico: i demoni infatti stanno tra gli uomini e gli dei e garantiscono i loro rapporti. Ma tutelano altresì la loro differenza, impedendo che gli uomini si mescolino con gli dei. L'ostilità che suscitano è dunque a sua volta complessa: apertamente si rimprovera loro di non schierarsi, di non prendere posizione, ma occultamente sono detestati proprio perché impediscono che tutto si mescoli con tutto, proprio perché ricordano che esistono differenze incolmabili, opposizioni insormontabili, che «una cosa è la schiatta degli uomini, un'altra quella degli dei», proprio perché mostram> che ciò che viene spacciato per armonia è spesso «un concerto di sconcerti» (Gracian) e viceversa ciò che viene spacciato per opposizione è una discordia segretamente concors. «Tutto è novità in questo mondo; solo è vecchio averle»: così dice uno scrittore barocco citato da Maravall. Che l'unica novità consista ormai paradossalmente nel pre- • scindere dalla categoria del novum, sembra anche l'opinione d~ Kracauer, il quale polemizza con Croce e con Collingwood per il primato da loro attribuito al punto di vista dello s'torico rispetto alla cosa stessa, all'oscura ed opaca realtà L'incendiario Psicoanalisi del fuoco, che annulla «un intero universo» testuale (non a caso Pascoli nel suo stupendo poemetto Il ciocco paragona la scomparsa della vita sulla Terra divorata dal fuoco all'ardere e scomparire della «carta scritta con le sue parole»), mentre dall'opzione radicale tra il piombo tipografico e il rogo distruttivo che l'autore è chiamato a compiere (e sottrarre l'opera allo splendore della fiamma per consegnarla al consumo della storia e della conoscenza non è operazione che si possa compiere a cuor leggero) dipende la sorte, sempre incerta, del testo. Ma, nonostante il convincimento dell'autore sull'impubblicabilità della sua opera, spesso le sue idee si dimostrano infondate e le incompiutezze o i difetti formali, «fatte le somme», rappresentano «non più di un neo in un viso perfetto, esaltazione anziché difetto della bellezza», come scrive Rosa Calzecchi Onesti riferendosi all'incompiutezza dell'Eneide. Così se_mbra pensarla anche Genette allorché, a proposito di Flaubert, sostiene (ne,Il'articolo «Silenzi di Flaubert» compreso in Figure): «Egli stesso trovava L'éducation sentimentale esteticamente mancata, per difetto d'azione, di prospettiva, di costruzione [... ] egli sentiva come difetto Roberto Bugliani quella che è per noi la qualità maggiore». Non sappiamo se qualcosa del genere sospettasse Palazzeschi quando, cedendo all'esortazione «apollinairiana» dell'amico Falqui che lo invitava a riunire in volume le liriche «difettose» rimaste escluse dalle raccolte palazzeschiane delle Poesie per «ripubblicarle tali e quali furono scritte», diede alle stampe nel 1947 i Difetti 1905 nei quali egli ha incluso quel capolavoro che è il poemetto L'incendiario che fu da lui fortemente purgato in occasione della seconda edizione (1913) del libro omonimo lasciandone solo 36 versi «a mo' di epigrafe», come ha scritto Sanguineti. «Pubblicare tutto»: e da maestro dell'ironia qual è, Palazzeschi avverte nella nota all'edizione garzantiana dei Difetti datata luglio 1947 (e integralmente riportata nell'edizione curata da Fabrizio Bagatti) che sua prima preoccupazione nel rileggere le bozze di stampa fu di prestare la massima attenzione a che il caso non avesse fatto sparire o mutato alcun difetto, così che il lettore non ne venisse defraudato, né l'autore cedette per contro alla «satanica» tentazione di aggiungervene dei nuovi, di modo che «quelli che vi si trovano sono genuini, autentici, di assoluta sincerità», anche se, fa notare Bagatti nell' «Introduzione», egli corresse, «seppure minimamente», le poesie del libretto confondendo il lettore «con una pioggia di "difetti al quadrato"». O ra, la scelta «apollinairiana» non annulla o nega quella, opposta ma complementa- ' re, «mallarméana», giacché l'istanza del fuoco si trova nel cuore stesso dell'Incendiario e «del poeta che (gli] rende omaggio», portata da versi come questi: «Là sopra il mio banco ove nacque, / il mio libro, come per benedizione I io brucio il primo esemplare, / e guardo avido quella fiamma,/ e godo, e mi ravvivo, / e sento salirmi il calore alla testa/ come se bruciasse il mio cervello». Il fuoco brucia il libro (magari il libro come mondo, impedendone la leggibilità), il desiderio di scrivere brucia la scrittura (la quale sconta, per riprendere Bachelard, il carattere sessuale delle tendenze di quell'incendiario particolare che è il poeta), il poeta brucia l'io narrante e sfugge al rogo distruttore perché è anche qualcun altro: è lo spettatore che assiste, compromesso, allo spettacolo dell'incendio. «Vorrei scrivere soltanto per bruciare»: con questa suprema dichiarazione d'amore si conclude la strofa palazzeschiana nella quale il «contagio» della fiamma raggiunge . i suoi massimi livelli. Allora può capitare che l'ultimo desiderio dello scrittore sia appunto quello di raddoppiare la morte del proprio corpo con la morte della scrittura, disponendo che tutti i suoi manoscritti vadano in pasto alla fiamma perché la scrittura è denso alimento. Ma può anche succedere che la vita del verso non abbia termine con le sue ceneri (né, per contro, la cenere è «ciò che resta del fuoco» come crede Derrida, perlomeno del fuoco di un verso): è quanto dice Valéry attraverso questa metafora «mediatrice» densa di implicazioni concettuali: «Un bel verso rinasce indefinitamente dalle sue ceneri». E parallela all'identificazione poeta=incendiario è l'impotenza del primo («incendiario mancato», «da poesia» appunto, lo definisce Palazzeschi) rispetto al secondo, quantunque la sua azione, !'.incendio «non vero» che scrive, non sia meno «dolosa»; questione che tuttavia lasciamo nel luogo del passato: «Il futuro è il futuro del passato: la storia» (p. 5). Il passato è portatore di un messaggio importante ed elusivo che è nascosto negli interstizi, nelle pieghe di quella che passa come la strada maestra della cultura occidentale (metafisica, umanismo e scienza). L'interrogazione sul non-pensato dell'Occidente diventa così imprescindibile: questo non pensato è certo annidato nell'esperienza poetica, nella religione, nel sogno, come dice Georges Poulet. Ma forse in una misura ancor più essenziale è annidato nella quotidianità, nel saper fare, dalla sapienza pratica di decine di generazioni che si sono formate sui libri sapienziali della Bibbia e sullo stoicismo assai più che sul profetismo utopistico e sulla metafisica, che hanno considerato la prudenza come una virtù primaria, che hanno avuto più dimestichezza con le tecniche che con le astratte costruzioni scientifiche. preciso dove sorge: la poetica di un'epoca o di un autore. Al lettore che dopo aver visto «l'illecito» (Bagatti), vale a dire i difetti della sua poesia messi in piazza da Palazzeschi con sincerità e generosità, voglia conoscere quell'altro aspetto dei «difetti» celato dagli interventi correttori delle varianti, segnaliamo tra i più recenti l'interessante studio dì Miria Carpaneto che ha per oggetto il lavoro correttorio apportato dall'autore sulle poesie del primo periodo raccolte in / cavalli bianchi (1905) e Lanterna (1907). Nota la Carpaneto che l'intervento correttorio più frequente in Palazzeschi è costituito dalla «frantumazione del verso in unità di minore estensione», cosa che risponde all'esigenza, per dire con Mengaldo che ha studiato anni fa il fenomeno in un importante saggio, di introdurre misure metriche «diverse rispetto alla seriazione di misure uguali». Ma tale ridistribuzione metrica comporta «ulteriori e molteplici implicazioni» individuate dalla Carpaneto come l'isolamento di parole tematiche, di forme verbali o delle determinazioni spazio-temporali evidenziando nel contempo procedimenti allitterativi che intensificano o instaurano nel testo una trama di relazioni simmetriche, e ciò in specie nelle poesie dei Cavalli bianchi la cui struttura compositiva (la «sintassi a blocchi contrapposti») contraddistingue anche le poesie «rifiutate» e non soggette a correzione dei Difetti, caratterizzando dunque il primo · Palazzeschi. Per quanto attiene alle poesie di Lanterna il processo di revisione testuale risulta invece «meno lineare», soprattutto per la «maggiore eterogeneità della silloge»; tuttavia, le linee portanti di questa «seconda» serie di interventi testuali che interessano «in modo esclusi- ""'° vo» la sfera del significante si pos- c::s sono riassumere da un lato nell'ac- -5 ~ centuazione del clima liberty del Cl.. periodo e dall'altro nella pròduzio- 'O ~ ne, talvolta già presente nel primo -. stadio evolutivo, di «una vera e ~ propria intensificazione tonale di .?f soluzioni consapevolmente adotta- oo te in origine», mentre opera una :Q tendenza ad «allentare le maglie i.: chiuse della sintassi a blocchi giu- ~ stapposti in una struttura quasi pa- ;g_ ratattica». E, volendo dare una di- ~
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