Alfabeta - anno VIII - n. 85 - giugno 1986

Cf è già una piccola bibliografia sui rapporti tra il sistema informativo e gli eventi inaugurati dall'esplosione del reattore in Ukraina. L'elenco è senza dubbio destinato ad allungarsi. Qui vorremmo segnalare l'analisi della stampa italiana pubblicata «a caldo» da SE - Scienza Esperienza e l'articolo di Roberto Grandi su quarantacinque, riguardante le teorie «normative» circa il comportamento dei media in circostanze del tipo Chernobyl. Sarebbe necessaria una ricerca sistematica e completa sull'informazione, scritta e audiovisiva, del dopo Chernobyl, possibilmente a livello internazionale. In massmediologia (ammesso che questa disciplina esista) le ricerche condotte in modo sistematico sono purtroppo una rarità. Non siamo molto ottimisti al riguardo, e ancor meno su una ricerca svolta rapidamente (cioè prima della prossima catastrofe). Offriamo ai nostri lettori qualche spunto per una eventuale, e poco probabile, ricerca di questo genere; in alternativa;per loro uso personale. Non abbiamo nascosto il nostro punto di vista in materia di energia nucleare. Abbiamo invece tralasciato quanto è stato largamente dibattuto (anche se non risolto dall'osservazione e dall'analisi): il ritardo e le reticenze dell'informazione sovietica; le lacunosità delle notizie ufficiali in Italia; i tatticismi e i silenzi delle fonti, ufficiali e ufficiose, in altri paesi occidentali; etc. Messo tra parentesi ciò che appariva scontato, abbiamo provato a riconsiderarlo da un'altra angolazione. 1. In fondo, non è successo niente, o quasi. In un dibattito televisivo di Canale 5, un eminente fisico dell'università di Milano ha spiegato che non solo è difficile o quasi impossibile sapere se qualcuno in Italia morirà nei prossimi anni a causa della nube radioattiva di Chernobyl, ma sarà pressochè impossibile saperlo anche a posteriori. Si tratterebbe, infatti, di un numero abbastanza piccolo da non poter essere sceverato dalle fluttuazioni statistiche annuali dei morti di cancro nel nostro paese. Certo, in Unione Sovietica è successo qualcosa di più. Ma, finora, i morti accertati sono una ventina. Quanti ne ha fatti il metanolo in Italia. Per il resto, bisognerà attendere le statistiche sovietiche ... 2. Dire «non è successo niente» è provocatorio. Ma non mancano, eventualmente, gli argomenti per chi volesse cimentarsi in sofismi nutriti di dati e di premesse «scientifiche». Bisogna prendere atto, d'altra parte, che, intorno al 20 maggio, l'eccitazione e la preoccupazione con cui l'opinione pubblica aveva seguito l'effetto Chernobyl hanno dato luogo a un clima di vago disinteresse e di noia. Bisogna pur fare i conti con il fatto che è difficile occuparsi di fantasmi statistici, di qualcosa di inafferrabile, sfuggente ... Ippolito rischia di avere qualche ragione quando invita - abbastanza a sproposito - a confrontare gli esiti di Chernobyl con quelli di Bhopal: 2000 morti, immediati, osservabili (Quella nube avvelenata, la Repubblica, 1°maggio). Magia delle cifre: 2000 era anche la prima stima diffusa da fonti americane circa il numero delle vittime dell'esplosione del reattore di Chernobyl. 3. La percezione collettiva di un Giornale dei giornali pun~i-~.~~o~~w,rnob rischio collettivo: come si forma storicamente? come si applica e si modifica in conseguenza di eventi «di attualità»? Ecco un altro dei temi «striscianti», non affrontati alla radice, nella sterminata, convulsa, disordinata informazione italiana post Chernobyl. Qualcuno si è ricordato che il numero di cancri provocati (probabilmente) dal fumo è molto maggiore del numero dei cancri che potrebbero conseguire alla nube radioattiva. Il ministro Degan ha varato con clamore un apposito disegno di legge. Sempre in Italia, si stimano in 18.000 le vittime annuali dell'alcool. Bisognerà provvedere, prima o poi; ma la produzione vinicola non è componente trascurabile dell'economia italiana. Così come non lo è l'automobile. È improbabile che il ministro Degan faccia chiudere la Fiato l'Alfa Romeo. O, più modestamente, che sbarri l'ingresso delle auto nelle città. Ci sono rischi che accettiamo, noncuranti delle statistiche. Altri invece no. È poi così facile dar torto ai francesi che vivono noncuranti all'ombra di una selva di centrali nucleari? Il fatto è che, a nostra volta, conviviamo all'ombra delle centrali nucleari francesi, ed anzi ne importiamo l'energia elettrica. 4. Una delle lezioni dell'effetto Chernobyl è che, nella società dell'informazione, cosiddetta, le informazioni sono maledettamente difficili da avere. Sono sempre troppe (contraddittorie, malcerte, irrilevanti) o troppo poche (incomplete, prive di termini di confronto, dilazionate). Le due cose possono anche andare insieme. L'abbondanza e la scarsità di informazioni non solo possono convivere, ma sostenersi l'una con l'altra. 5. Quando si parla, in questo caso, di informazione non si vuole alludere tanto e soltanto ai mezzi di informazione. Il dopo Chernobyl è stato contrassegnato anche e soprattutto da un problema di fonti: fonti politiche e scientifiche soprattutto. In Italia, l'informazione sull'effetto Chernobyi è,stata la risultante di una compléssa interazione, di un «gioco» fra tre soggetti principali: autorità politiche, autorità scientifiche, mass media. Decidendo di diffondere dati sulla radioattività (seppure secondo propri criteci), le autorità politiche italiane hanno portato sulla scena i soggetti scientifici, lasciando che questi mettessero in pubblico le proprie difficoltà e contraddizioni. Su tutto c?ò si sono innestati i media. Con risultati interessanti per quanto riguarda la possibilità dell'opinione pubblica di accedere- in qualche misura - ai penetrali del Dato e della Scienza. Ma anche con un esito probabile del tipo «non ci si capisce niente». Diversamente è accaduto in Francia, dove il potere politico - decidendo di tacere - ha coperto in toto le responsabilità tecnico-scientifiche. Quando si hanno in casa decine di centrali nucleari, il capotribù non si può permettere il lusso di esporre lo stregone al ludibrio della plebe. 6. Se dovessimo indicare uno degli oggetti centrali di una possibile ricerca sull'informazione riguardante Chernobyl,. non avremmo esitazione a mettere in primo piano il rapporto fra scienza e opinione pubblica. «Scienza e tecnologia hanno dovuto pub~licamente confessare la loro ignoranza per quanto riguarda il controllo delle forze che si sprigionano dalla scissione dell'atomo e i loro effetti sulla natura circostante. Abbiamo assistito in questi giorni ad una specie di balbettamento da parte di scienziati, tecnici, medici, agrimensori ... » Così Eugenio Scalfari nell'editoriale della Repubblica dell'll maggio (Fatti non foste a viver come bruti ... ). Si può pensare ciò che si vuole di Scalfari e del suo giornale, ma è difficile negarne l'influenza sull'opinione pubblica italiana. Nè l'editoriale di Scalfari è un caso isolato. A torto o a ragione, l'immagine della scienza, in Italia, è uscita malconcia dalla vicenda di Chernobyl. La cosa è tanto più singolare ed impressionante se si considera che . una delle discipline maggiormente coinvolte è proprio la fisica, vale a dire la scienza in cui il nostro paese può vantare non solo una tradizione illustre, ma uno standard attuale di rilievo mondiale. Che cosa è dunque accaduto? I fisici italiani sono diventati tutti incompetenti? La comunità scientifica è priva della capacità di affrontare a viso aperto le proprie difficoltà, di dire con chiarezza ciò che sa e ciò che non sa? Probabilmente non si tratta di questo. Dovendo azzardare un'ipotesi, metteremmo in evidenza da una parte le compartimentazioni burocratiche fra le diverse strutture tecnico-scientifiche, dall'altra la totale impreparazione della comunità scientifica a instaurare un canale di comunicazione funzionante con l'opinione pubblica. L'interviR. Rauschenberg, Canyon, 1959 sta, o la partecipazione a un dibattito televisivo, di questa o quella «stella» del firmamento scientifico è solo un povero surrogato di una comunicazione efficace.· Sarebbe interessante sentire, in proposito, ciò che pensano gli scienziati stessi. 7. Da questo punto di vista, uno dei prodotti informativi che più ci hanno impressionato, è stato lo Speciale Tg 1 di Alberto La Volpe. A nostro parere, si è trattato di uno dei migliori prodotti informativi italiani in argomento. Ma questo è abbastanza irrilevante, di per sé. Più interessanti, invece, alcune caratteristiche del prodotto. Il mezzo televisivo, opportunamente usato, · consente di mettere in scena una dialettica autentica, se gli interlocutori possono e vogliono dare effettivamente luogo a un confronto diretto di informazioni e di punti di vista. Nel caso della trasmissione di cui parliamo, quel che ci ha colpito di più è stato il confronto fra due fisici: l'insigne e anziano Amaldi, il giovane e «impegnato» Mattioli. Il punto cruciale è stato raggiunto quando Mattioli ha ridicolizzato le affermazioni della Protezione Civile, mettendo in contraddizione, mediante un calcolo «elementare», i dati ufficiali sui livelli di radioattività raggiunti dopo Chernobyl con i parametri «tranquillizzanti» stabiliti per la centrale nucleare di Montalto di Castro. O i dati sono fasulli-era l'argomentazione_:_ oppure i parametri per Montalto sono tutt'altro che «tranquillizzanti», come si pretende. Amaldi ha respinto prima l'argomentazione, poi il calcolo «elementare». Mattioli ha allora offerto di «ripetere il calcolo», secondo la norma del procedere scientifico. Lo confessiamo, per un attimo ci siamo emozionati. Era uno dei rarissimi casi in cui, affacciandosi nella comunicazione di massa, un'autorità scientifica doveva spendersi non tanto per il primo termine, l'essere autorità, ma per il secondo, l'essere scientifica. Ed è scientifico solo ciò che si basa su un procedimento, ripetibile e controllabile pubblicamente. Di solito, nei mass media gli scienziati, gli esperti in genere, si giocano in termini di ipse dixit, si limitano ad argomentare, illustrare o «divulgare» i propri risultati; non giungono a mostrare il procedimento, il metodo che li ha portati a quei risultati. Nei media, lo scienziato è un sostituto dell'oracolo o dello stregone; le battaglie scientifiche si svolgono a colpi di titoli (docente di ... a ... , premio Nobel per ... , scopritore di ... ). Amaldi, nel corso del vivace contraddittorio con Mattioli, è giunto a pronunciare un tagliente «lei che si definisce fisico». Il momento magico è passato presto. Quando Mattioli ha offerto di ripetere pubblicamente il calcolo, la tensione si è spezzata. Non ricordiamo con esattezza ciò che è accaduto in quel momento. In ogni caso, il discorso ha superato il punto critico ed ha proseguito rientrando nell'alveo del normale «dibattito». Sarebbe invece stato di grande interesse se Amaldi e Mattioli avessero proseguito la contesa davanti a una lavagna. Una volta tanto la superficie spettacolare sarebbe caduta, poiché lo spettatore televisivo avrebbe dovuto prendereparte attiva ad un procedimento, anziché limitarsi ad ascoltare comodamente e passivamente il verbo dell'autorità scientifica. 8. Ci rendiamo conto di quanto sia difficile usare un mezzo di comunicazione di massa per entrare nell'interno di un procedimento scientifico. Vedere due persone che tracciano segni su una lavagna - stando ai canoni invalsi - non è spettacolare, è anzi noioso. In secondo luogo, c'è il fattore tempo. Alla televisione manca sempre il tempo per dire qualcosa di più di lapidarie stupidaggini o sentenziose verità. La inveterata abitudine di invitare ai dibattiti un numero spropositato di interlocutori, cui tocca ciascuno una manciata di secondi, rende la difficoltà quasi insormontabile. La trasmissione di La Volpe, a volte, consegue buoni risultati proprio per la sua lentezza, per il suo soffermarsi sulle spiegazioni, non accontentandosi della prima dichiarazione dei partecipanti. È così che si è giunti ai limiti del calcolo alla lavagna. Ma il limite non è stato valicato. Si giunge così a uno degli argomenti più spinosi. Un calcolo alla lavagna, per quanto «elementare», avrebbe messo a dura prova non solo la pazienza degli spettatori televisivi, ma la loro attenzione e il loro sapere. Una delle grandi regole non scritte, ma più ferreamente rispettate, del galateo massmediologico è quella che il lettore/spettatore non deve essere messo in imbarazzo ponendolo di fronte alla propria incapacità di comprendere o alla propria ignoranza. Il messaggio dei media, come si suol dire, deve essere «alla portata di tutti». Bisogna ammettere che, partendo da questa premessa, è difficile instaurare con le fonti scientifiche un rapporto diverso da quello che si instaura con una qualsivoglia «autorità» depositaria di un qualche sapere, si tratti di una chiromante, di un enologo o di un fisico. 9. Il rapporto che ne deriva fra autorità scientifica, media e pubblico è simmetrico. Laddove non si vuole mettere in gioco l'incompetenza (o supposta tale) del pubblico, sarà difficile sceverare competenza e incompetenza dell'esperto. Al massimo, si potrà giungere a una contrapposizione di opinioni, anticamera di una dialettica o di una eventuale analisi,,ma pur sempre anticamera. Non esente, peraltro, da possibili esiti qualunquistici del genere «non si capisce niente, non lo sanno nemmeno loro». Precisamente, ciò che è accaduto dopo Chernobyl. 10. Forse per il lettore italiano - o per la maggioranza dei lettori - non è facile farsi un'immagine di quanto si è svolto nei media degli altri paesi. Una esemplificazione può essere utile. Le Monde, per il suo prestigio (per quanto appannato) e per la sua tradizionale (per quanto attenuata) vocazione internazionale, può costituire un buon campione di confronto. È noto il comportamento che le autorità francesi hanno assunto nei giorni seguenti la sciagura di Chernobyl. È stata scelta la via di un tranquillizzante silenzio. Ciò, naturalmente, non ha potuto che condizionare pesantemente anche la condotta di un giornale come Le Monde, se non altro per quanto riguarda l'informazione sulla Francia medesima. Ciò non esaurisce però il capitolo. Rimanevano perlomeno le informazioni provenienti dall'Unione Sovietica e - soprattutto-dagli altri paesi dell'Europa occidentale. Qui ci aspetta qualche sorpresa. 11. Grossolanamente, è possibile suddividere l'informazione pubblica da Le Monde in relazione a Chernobyl in tre periodi: quello immediatamente successivo all'incidente, nel quale le notizie sulla nube radioattiva vagante sull'Europa sono piuttosto scarse; un periodo intermedio, durante il quale il tema quasi scompare dalla prima pagina, mentre il «tono» del giornale è generalmente rassicurante, malgrado le notizie provenienti dagli altri paesi europei, peraltro pubblicate con ambiguità; un terzo periodo in cui Le Monde, assieme ad altri giornali francesi, ha infine denunciato che in Francia è manca: ta una vera informazione sui rischi conseguenti a Chernobyl. 12. La prima notizia del disastro russo compare sull'edizione di Le Monde datata 30 aprile. A pagina 8 si legge testualmente: «A Parigi, gli esperti si dicono d'accordo con i ~ _loro colleghi svedesi e americani ~ nel considerare l'incidente "serio". .s Essi insistono tuttavia sul fatto che l "non vi è alcun rischio di ricaduta 'O radioattivain Francia"». Il corsivo è nel testo. Il 1°maggio il giornale non esce. Il 2 maggio i servizi sono quasi tutti dedicati all'Unione Sovietica. Nes- ~ """' e ~ ~ .ÒQ ~ sun titolo fa pensare a una nube i;: radioattiva sull'Europa. Come ~ spesso è accaduto negli stessi giorni ;g. anche in Italia, i dati più precisi so- ~

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