Alfabeta - anno VIII - n. 85 - giugno 1986

Storiografi9P•~'-'ella Sicilia Francesco Renda Storiadella Sicilia dal 1860al 1970 Palermo, Sellerio, 1984 voi. I, pp. 292, lire 35.000 D. Pompejano, I. Fazio, G. Raffaele Controllosociale e criminalità Milano, Angeli, 1985 pp. 282, lire 20.000 L a storiografia siciliana si sta arricchendo in questi anni in modo notevole, sia dal punto di vista contenutistico che da quello metodologico. Numerosi studiosi locali, soprattutto nel campo della contemporanea, stanno cominciando a praticare piste interpretative nuove ed interessanti che vengono al medesimo tempo supportate e confortate dai risultati di altre ricerche condotte a livello di «microstoria». Credo che possiamo prendere spunto da due testi, uno - diciamo - di macrostoria (il primo voi. della Storia della Sicilia di F. Renda), l'altro di microstoria (il voi. di Pompejano, Fazio e Raffaele, Controllo sociale e criminalità), per cominciare a vedere alcune caratteristiche sociali, storiche e politiche degli esordi della contemporaneità in Sicilia secondo queste nuove ottiche interpretative. Il primo punto senz'altro essenziale è il conflitto fra modernismo e passatismo. Giustamente, il Renda si rifà, per affrontare le radici di questo complesso nodo, all'indomani del 1820, cioè dei primi moti costituzionalisti. Il problema lo si deve fare risalire ancora più indietro al tempo dell'illuminista Caracciolo, colui il quale abolì ilpotere gesuitico in Sicilia (si consideri che la Chiesa siciliana era probabilmente la più ricca del mondo - cfr. Renda, p. 69), rendendo possibile la confisca dei beni ecclesiastici a vantaggio dello Stato. Non sfugge la rilevanza di questo evento, specie se inquadrato nella politica interna dei Borboni tesa al rinforzamento dell'apparato burocratico dello Stato (cfr. anche Pompejano et al, pp. 71-73). Come sappiamo da Max Weber, una società che si voglia caratterizzare come moderna si deve distinguere infatti da una società antica per l'accentuata presenza sociale e statale del «corpo burocratico». Il corpo burocratico, il cui avvento ha un po' dappertutto caratterizzato l'inizio della contemporaneità nella storia delle società europee e mondiali in genere, si fa portatore di una mentalità che oggi definiamo ormai tranquillamente statalista tout court. Con questo si vuol dire che mentre da un lato il corpo burocratico si fa attivo sostenitore e interprete di un modo di svolgere la vita della società secondo i principi della impersonalità (e quindi della eguaglianza del trattamento per tutti i cittadini) e dell'adeguamento dei mezzi ai fini (e quindi, secondo Weber, razionale), dall'altro è pur vero che esso è frutto di una società i cui conflitti di classe tendenzialmente vanno a ricomporsi a latere delle lotte palesi ed eclatanti. LJ illuminismo prima, il costituzionalismo poi, hanno segnato i binari lungo i quali fare assumere forma a questi conflitti: e sia dall'alto che dal basso della società si è verificato un adeguamento a questo stile di mediazione sociale. Come dice Renda (anche all'inizio del II voi. della sua Storia), ricordando il motto gattopardiano, il secondo Ottocento vede morire l'età delle rivoluzioni, e quindi della politica, e nascere quella dell'amministrazione. Non è vero, quindi, che «si cambia tutto perché nulla cambi», solo che i cambiamenti non sono manifesti, «rivoluzioni». Essi, comunque, non sono indolori neanche in Sicilia, dove, con la decisione borbonica di incrementare il potere statale centrale (con sede quindi Napoli)- è la cosiddetta età delle riforme di Ferdinando· II - si attua in diverse forme, dalle più diplomatiche a quelle più violente, lo scontro col vetusto potere nobiliare siciliano, il cui tradizionale strumento d'espressione era il Parlamento palermitano. Renda ha magistralmente messo in evidenza il diverso atteggiamento nei riguardi del Parlamento siciliano da parte dei Borboni e da parte dei Savoia (pp. 58-58). Mentre i Borboni, non rendendosi conto del fatto che il Parlamento aveva ormai acquisito, nel bene e nel male, forme di consenso popolare ben consolidate, vollero a tutti i costi schiacciare e sopprimere ogni forma di separatismo e di autonomia dell'isola, i Savoia capirono bene che governare in Sicilia senza l'appoggio della nobiltà non era possibile. I Borboni giunsero fino all'esplicita abolizione nel 1836del feudalesimo - anche se questo non significò naturalmente la fine della mentalità feudale -; i Savoia, al momento della costituzione del primo senato del Regno unito, provvidero immediatamente ad inserire intellettuali e uomini rappresentativi della Sicilia nei ranghi più elevati dello Stato. Tuttavia, a dispetto del fatto che Cavour avesse compreso che la nobiltà in Sicilia costituiva non solo una realtà sociale e politica, bensì soprattutto culturale e di costume (e anche, sotto certi aspetti, civile), l'amministrazione piemontese in Sicilia si rivelò ben presto incapace di coglier~ la specificità del modus vivendi della popolazione siciliana, e quindi si inasprirono le reciproche posizioni antagoniste della gente da una parte e degli amministratori dall'altra (cfr. Renda, pp. 183-186, 191). E ciò, si badi bene, non fu a causa di una qualche particolare cattiveria da parte· degli amministratori piemontesi (né, d'altra parte, dei siciliani), bensì proprio perché i principi precipui dell'amministrazione statuale che ho sopra ricordato - e cioè, l'imparzialità e l'adeguamento dei mezzi ai fini - mal si confacevano alla cultura e alla civiltà siciliane. Fu questa incomprensione, come hanno messo in evidenza sia Renda che Pompejano, Fazio e Raffaele, che provocò i sempre maggiori allontanamenti fra governati e governanti, durati, attraverso le note e tristi vicende del Novecento, ancora fino ad oggi. Da questo punto di vista, si può dire che c'è continuità fra il governo borbonico e quello sabaudo - e ciò è inoltre coerente coll'interpre- ,, ,......., -~--f' La situazione era ancora più grave alla luce della considerazione del fatto che la politica finanziaria e industriale sabauda sembrava proseguire quella già avviata dai Borboni: la divisione fra area industriale (la parte continentale del Regno delle Due Sicilie) e area agricola (la parte insulare). T utta questa tensione, che ho appena abbozzato a grandi linee, si esprime, a livello della microsocialità, in modo abbastanza particolare. Conformemente all'ipotesi sopra esposta, Pompejano, Fazio e Raffaele sono andati a studiare negli archivi tutti gli incartamenti relativi a denunce e processi per apprezzare il fenomeno della criminalità in un piccolo distretto del Messinese - Mistretta - nel secondo Ottocento. Lo studio di queste carte, alla luce di questa ipotesi, assume parti- .,~ ... ~•~ .. '"'i,,._ · .... ~~· ,,.. ....... ... S. Dalì, Paesaggio antropomorfico, 1934-35 tazione storica che vede l'affermarsi continuo e progressivo del modo amministrativo-burocratico di vivere nella società in tutto il mondo a cominciare dalla fine del '700. Ma, nello specifico, il contrasto fra modo di vivere siciliano e ragioni della amministrazione sabauda finì per prendere l'aspetto di un contrasto fra due opposte ideologie: chi difendeva il modus vivendi siculo passava per passatista, antiquato, retrogrado, anti-civilizzatore; chi difendeva invece le ragioni e i principi del «razionale amministrare» veniva considerato filo-sabaudo, amante del progresso, e ammetteva i sacrifici che l'affermazione piemontese richiedeva al popolo siciliano come una necessaria fase dolorosa da superare lungo il cammino dell'innovazione. Dal momento che molti intellettuali aderirono poi al novello Stato (anche se questa adesione non fu massiccia: molti, come Emerico Amari, si ritirarono dalla scena politica già all'indomani dell'Unità), anche molti socialisti si trovarono nell'ambigua situazione di essere a favore del modernismo.pur desiderando il bene del popolo (non scordiamo, tra l'altro, che allora il socialismo si andava imparentando col positivismo, e quindi con i miti del progresso lineare dello sviluppo della società: cfr. Renda, p. 79). colare importanza: si tratta di inseguire attraverso i mille rivoli delle querele, esame delle prove, indagini, testimonianze, ritrattazioni, ricomposizioni dei conflitti in via bonaria, giudizi dei tribunali, ecc., le linee di una conflittualità che è «micro» in quanto è quotidiana, anche se preludente a quella «macro» dei Fasci siciliani di fine seco~ lo, che non è però per nulla banale o trascurabile. Ne sono una prova le indicazioni che hanno tratto dalla loro ricerca gli autori del volume Controllo sociale e criminalità. Un circondario rurale nella Sicilia del 'Ottocento. Ne vien fuori un quadro abbastanza significativo dello stile di vita che si viene instaurando abbastanza significativo dello stile di vita che si viene instaurando in seguito al conflitto fra tradizioni e costumi siciliani e ragioni proprie dell'amministrazione piemontese. Innanzitutto, vediamo delinearsi delle spaccature verticali, interne quindi alla stessa classe sociale. Enorme è infatti la quantità di denunce tra gli appartenenti allo stesso ceto sociale. Dobbiamo allora annotare anche, a latere, che la giustizia italiana in Sicilia comincia coll'esercitarsi su queste questioni. Si tratta di piccoli furti per fame, o di rapimenti di donne per amore, o per dispetto (Pompejano et al., p. 248). Emerge quindi un disegno di «società litigiosa», come l'hanno definita gli autori del volume in argomento. Dalla risposta degli amministratori, che sono' uomini locali, ma spesso anche provenienti dal continente, possiamo sapere della loro percezione: dei siciliani come di estranei, o meglio, di persone strane. Bene a proposito, Pompejano parla di Stato pedagogo (pp. 60-61), ricollegando queste funzioni, che chiamerei più di addestramento che di pedagogia, all'istituzione delle cattedre universitarie di antropologia criminale e ai dibattiti sul reo (pp. 64-66). Il ricorso frequente al Tribunale fa giustamente ipotizzare la presenza di un diffuso modo di affrontare i problemi in chiave individualistica (p. 34); e non soltanto per quanto riguarda i conflitti d'interesse o le controversie d'opinioni, ma anche relativamente ai problemi di lavoro e di sistemazione familiare. Ciò testimonia di una grande disgregazione sociale o, che è lo stesso, di uno scarsissimo senso o coscienza di classe. Da un punto di vista ideologico, questa ricerca individualistica della soluzione a problemi della vita sociale fa il paio con la ricerca di una soluzione assoluta e definitiva, non storica né dialettizzabile, dei problemi sociali, familiari o comunque interpersonali. Constatiamo infatti un frequente ricorso alla medicina (e non solo quella del corpo: comincia a farsi luce anche quella dell'anima, p. 59), come a quella scienza deputata ad emettere l'ultima giustificazione dei fatti personali o familiari. Il malessere, che è un prodotto oggettivo dell'aumentata precarietà della vita nel periodo post-unitario (pp. 109-110, e Renda, p. 84), non riesce quindi a scaricarsi se non a livello orizzontale, quando addirittura non rimane all'interno del piccolo gruppo familiare (Pompejano et al., p. 117). . Il piccolo furto per fame e la criminalità orizzontale in genere ci danno uno spaccato abbastanza nitido del modo impiegato per risolvere questioni di pertinenza politica che cominciano a diventare di pertinenza amministrativa. Questa trasformazione è significativa come linea interpretativa storica; anche perché ci dà la possibilità di leggere più chiaramente gli incartamenti che troviamo negli archivi. Questi incartamenti ci indicano infatti come le ragioni amministrative e giudiziarie impongano a poco a poco di dividere un caso dall'illtro, pur e sempre, naturalmente, all'interno della stessa classe sociale. Ci saranno così i poveri bisognosi e meritevoli d'aiuto (comincia già dalla fine del '700 il periodo d'oro della «beneficenza», i malati - e tra questi i pazzi ( è importante ricordare che la prima «Real Casa de' Matti» si istituisce a Palermo nel 1824, e la seconda a Messina nel 1887) -, i briganti, ecc. "° (';j Certo, come scrive Renda, col i::s modernismo i contadini apparvero -S ~ idioti. E quando nel '60 tutti pensarono a rimodernare l'isola, si crea- "° ~ rono due mondi: uno legale e l'al- ,.,.. tro reale (Renda, pp. 213, 253), il o primo voluto dai modernisti ammi- .i nistratori, il secondo fatto dalla Cl<> gente comune, considerata pur- ~ troppo come sopra da chi invece s::! doveva amministrarne la vita. ~ ·-C ~ ~

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