Alfabeta - anno VIII - n. 85 - giugno 1986

que messo in circolazione come il problema del pensiero dell'Altro. Questa problematica del pensiero dell'Altro implica che l'Altro non sia al di là del Medesimo: questo Altro, genericamente ed astrattamente preso, contiene in sé e richiama, addirittura si costituisce in riferimento al Medesimo e viceversa. Ma l'Altro, come concetto, inaugura in Lévinas una strategia ed una concezione radicalmente etiche. Quando Lévinas parla di un Altro, parla di un elemento, di una x da cui il soggetto è interpellato prima di poterne essere cosciente a· livello di un sapere (è la questione e il senso del termine autrui, tradotto giustamente altri in italiano). Questo dinamismo significa concretamente la molteplicità degli altri in cui vive il rapporto con il «volto» del prossimo in quanto volto. Si tratta di una responsabilità etica che precede e attorno a cui si organizza «un intrigo che il sapere non potrebbe né esaurire né districare» (En decouvrant l'existence avec Husserl et Heidegger). Q uesto nucleo di pensiero è radicato nell'opera di Lévinas, è attivo già dal 1947, anche se in modo non dispiegato. Di recente è apparsa la traduzione italiana di Dal!'esistenza ali'esistente: qui la distanza da Heidegger è tematicamente posta, l'obiettivo del discorso non è la filosofia come comprensione, come problema della manifestatività di un pensiero. Nemmeno è in questione il tempo di Heidegger. Osserva Rovatti nella premessa: «Proprio là dove Emmanuel Lévinas Umanesimo dell'altro uomo intr. e trad. di Alberto Moscato Genova, Il melangolo, 1985 ~ pp. 160, lire 18.000 c::s .s ~ De Dieu qui vient à l'idée ~ Paris, Vrin, 1982 ~ pp. 272, ff. 72,00 ...., o ~ .è'o ~ e on la morte di Dio, il pensiero si scopre definitivamente segnato dalla perdita di ogni ragione fondativa, destinato ad una riflessione che eternamente lo riporta a se stesso. Tuttavia, da tale evento, quella volontà di conoscenza che rimane, al fondo, l'amHeidegger cerca il senso dell'essere, Lévinas scorge il pericolo che la filosofia di nuovo si rinchiuda in una totalità comprendente». Si tratta di superare il «carattere desertico, ossessivo, orribile dell'essere inteso nel senso dell'il y a» e la sua inumana neutralità (afferma Lévinas nella prefazione alla seconda edizione, 1978, di Dal!'esistenza ali'esistente). Superare questa neutralità implica il gesto filosofico di una ipostasi in cui l'essere possa vivere al di là del gioco della sua negazione. Ma in questo gioco c'è un venir meno, una sottile de-fezione, che non significa mero ritorno al carattere neutro, per così dire naturalistico e disumano del1 'essere, ma un senso nuovo, «un senso più sottile di quello dell' essentia dell'essente, nella prossimità degli altri strutturata come una dissimmetria: la mia relazione con il prossimo non è mai il reciproco di quello che lui ha con me, poiché io non sono mai sdebitato nei confronti dell'altro. La relazione è i'rreversibile. Ecco una de-neutralizzazione dell'essere che alla fine permette di intravedere il significato etico della parola bene». È in questione cioè un porsi che è insieme causa ed effetto in una trama di rapporti in cui l'io è originariamente immerso, in modo più originario rispetto al controllo cosciente che potrebbe averne. Su questa «passività» del soggetto ritornano vari contributi del numero 209-210 del settembre-dicembre scorso di aut aut (Rovatti, Petrosino, Dal Lago, Ronchi, Ciaramelli) oltre che sul tema del neutro nel suo rapporto a Blanchot (Rolland, A. Kircher, Paesaggio antropomorfico, 1646 Sossi). La questione della passività del soggetto, come nota Rolland, non riguarda una contrapposizione tra passività e attività ma «una passività più passiva di ogni passività». Si tratta di una passività che funziona nella sofferenza e nella capacità di assumere la sofferenza. Essa riguarda la presenza di un c'è per cui la soggettività si costituisce non tanto come capacità di assumere e ricevere un dato quanto come significato anteriore ad una coscienza che possa rispecchiarlo e padroneggiarlo (per lo sviluppo di questa tematica vedi Du Dieu qui vient à l'idée, di prossima pubblicazione presso Jaca Book). O ccorre fare attenzione al posto che l'analisi del c'è occupa all'interno del più recente pensiero di Lévinas nel quale soltanto si afferma il «per altri» dell'altrimenti che essere. «Il c'è - scrive Lévinas - è tutto il peso dell'alterità sopportata da una soggettività che non la fonda» (Altrimenti che essere, p. 205). In Altrimenti che essere il rapporto fra soggettività ed alterità è dispiegato fino alle estreme conseguenze come una struttura etica. L'etica indica una sorta di «struttura ultima» del reale e come tale essa precede la libera iniziativa del singolo soggetto. Petrosino scrive nell'introduzione: «L'io non ha scelto gli altri, esso si trova all'interno della molteplicità degli altri e all'interno di questa differenza si costituisce come soggetto». L'io è tale, si costituisce come tale nella non indifferenza, o responsabilità, verso questa differenza. Diceva Lévinas in Totalità ed infinito: «L'etica, al di là della visione e della certezza, delinea la struttura dell'esteriorità come tale. La morale non è un ramo della filosofia, m;i la filosofia prima» (p. 313). Lo sforzo di imboccare una via che evada, che abbandoni il terreno della ontologia, afferma Petrosino, è in Lévinas tutt'uno con il tentativo "dicostruire un llnguaggio che, nella sua grammatica e nella sua sintassi, prescinda dal lessico e dalla struttura dell'ontologia. L'impresa si lega indissolubilmente alla rilettura levinassiana del concetto di creazione, come ha osservato Gavinia Alvarez ricordata nella citata introduzione ad Altrimenti che essere: «È così che, fin dal 1935, la filosofia dt Lévinas è marcata da uno sforzo di "evadere" da questo essere trasformato in Destino. Siamo qui in presenza di una delle ragioni tra le più decisive che hanno spinto Lévinas a rifiutare di trattare l'idea di creazione in termini di ontologia. È quanto egli afferma, in questa stessa epoca, in una delle prime allusioni all'idea di creazione (... ) Lévinas è dell'opinione che l'idea di creazione aveva come intenzionalità precisamente quella di trovare un senso alla vita dell'uomo al di fuori della fatticità dell'essere, ma che questa intenzionalità è stata sviata dall'interpretazione ontologica che se ne è data». Così si esprimeva Lévinas in De l'evasion: «Questo comportamento della creatura accantonata nel fatto compiuto della creazione non è restato estraneo ai tentativi di evasione. Lo slancio verso il CreaChevieneall'idea bito entro il quale il pensiero esercita i propri diritti, non sembrerebbe venir intaccata: se Dio è morto, non per questo rideale della presenza, punto di forza e fondamento del conoscere, è stato abbandonato dal pensiero. E, con Heidegger, si può addirittura leggere nella morte di Dio l'acquisizione di una maggiore, forse completa, autonomia del pensiero, ormai libero di sopprimere ogni fonte di legittimazione esterna ad esso. Nel prendere in considerazione questo processo di autofondazione del pensiero? può risultare quanto meno sorprendente prendere le mosse da un testo come De Dieu Fabio Polidori qui vient à l'idée che, già dal titolo, sembra riproporre una riflessione su un termine che la filosofia - ma meglio sarebbe dire la metafisica - ha abbandonato da tempo. Ma è bene precisare subito che le proposte che Emmanuel Lévinas avanza in questo testo - è prossima la sua pubblicazione in traduzione italiana, che affiancherà il recente Umanesimo del!'altro uomo - sono ben lontane dal prefiggersi di riesumare una dimensione teologica, ridando vita alle vestigia, chiese divenute ormai tombe e sepolcri, della defunta divinità, quasi a rincorrere un esito ultimo, una fondazione escatologica del pensiero. Così come nei due importanti libri che gli sono valsi una ragguardevole notorietà nel dibattito filosofico attuale, anche in De Dieu qui vient à l'idée - testo in cui è raccolta una serie di articoli, frutto di un lavoro decennale che va dai primi anni settanta all'inizio degli anni ottanta - e in Umanesimo del- !'altro uomo - i cui saggi furono composti nel decennio precedente - Lévinas muove la sua critica radicale all'ideale del conoscere, ovvero alla corrosione di ogni trascendenza attraverso la forza della rappresentazione. Si riaffacciano quindi anche in queste opere alcuni dei temi di fondo della sua riflessiotore traduceva un'uscita al di fuori dell'essere. Ma la filosofia o applicava a Dio la categoria dell'essere o lo considerava in quanto Creatore; come se si potesse superare l'essere avvicinandosi ad un'attività o imitando un'opera che consiste precisamente nel finire. Il romanticismo dell'attività creaturale è- animato da un bisogno profondo di uscire dall'essere, ma malgrado tutto esso manifesta un attaccamento alla sua essenza creata e i suoi occhi sono fissi sull'essere. Il problema di Dio è restato per esso il problema della sua esistenza» (De l'evasion, p. 97).. Il perno attorno a cui si costruisce l'idea di esistenza creata consiste invece per Lévinàs nella sua separazione, che non è semplicemente una negazione, nei confronti dell'Infinito. Questa affermazione, presente in Totalità ed infinito (p. 203) si articola ed assume la sua forma definitiva in Altrimenti che essere dove il concetto di creaturalità si annoda a quello di etica: «L'etica è il campo che disegna il paradosso di un Infinito in rapporto con il finito senza smentirsi in questo rapporto [... ] Testimoniato - non tematizzato - nel segno fatto ad altri, l'Infinito significa a partire dalla responsabilità per altri, dell'uno per l'altro, da un soggetto che sopporta tutto - soggetto a tutto - che soffre per tutto, ma responsabile di tutto: senza aver dovuto decidere di questa responsabilità che si ·amplifica gloriosamente nella misura in cui si impone. Obbedienza che precede ogni ascolto del comandamento» (Altrimenti che essere, p. 189). ne con cui egli prende di mira la riduzione del pensiero a ontologia - soprattutto nella sua formulazione heideggeriana - perseguendo il fine di scardinare quel nesso tra pensiero ed essere da cui prende vita un'idea di realtà fondata sul modello della presenza, ovvero della rappresentabilità dell'esistente . È questo il contesto da cui bisogna prendere le mosse per interpretare ad esempio ciò che Lévinas intende per il «ven~re all'idea» di · Dio: il venire all'idea non è un presentarsi, un manifestarsi nella presenza. Al contrario, il termine Dio sta ad indicare piuttosto l'impene-

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