Alfabeta - anno VIII - n. 85 - giugno 1986

Par-;yson, • ermene~~i~~ -etragico Luigi Pareyson Esistenzae persona Genova, Il melangolo, 19854 pp. 296, lire 30.000 «Filosofiaed esperienzareligiosa» Annuario filosofico I, 1985, pp. 7-52 «La sofferenzainutile in Dostoevskij» Giornale di metafisica IV, 1982, n. 1 pp. 123-170 «Lo stuporedella ragione in ScheUing» inAA.VV. Romanticismo.Esistenzialismo. Ontologiadella libertà Milano, Mursia, 1979 pp. 376, lire 20.000 L uigi Pareyson ha pubblicato recentemente la quarta edizione di Esistenza e persona (I ed. 1950), suscitando un'attenzione che certo non si spiega solo come l'omaggio reso a un maestro del pensiero contemporaneo. Dalla presentazione del libro a Torino con Gadamer e con Eco, agli interventi di Del Noce sul Corriere della Sera, di Mathieu sul Giornale e di Vattimo sulla Stampa, e senza dimenticare un significativo e vigoroso richiamo di Cacciari ad alcune tesi pareysoniane, s'è trattato d'un ventaglio di reazioni e di prese di posizione tutt'altro che occasionali. Da esse· infatti è emerso come questo libro apra ad una problematica il confronto con la quale appare sempre più incalzante. Sicuramente il pensiero di Pareyson, tanto più se considerato a partire dai suoi ultimi sviluppi (di cui quest'edizione di Esistenza e persona presenta nell'introduzione e nella conclusione una lucidissima messa a punto) viene attualmente incontro ad una situazione filosofica assai favorevole alla sua ricezione. L'ermeneutica, che è l'anima di quella «ontologia della libertà» cui Pareyson è approdato sulla base d'una filosofia dell'interpretazione da lui proposta fin dai primi anni Cinquanta, appare decisamente come una delle prospettive filosofiche più interessanti, data la crisi sia della metafisica e d'ogni sapere fondativo sia dello storicismo e dello scientismo. Inoltre quello che era potuto sembrare il grande rimosso della filosofia più recente (ma solo di questa?), ossia il problema del male, ha rappresentato la pietra d'inciampo di nichilismo e di pensiero negativo, per la loro impossibilità di render conto del carattere insieme ultimo (non superabile, non strumentalizzabile, non riducibile a funzione produttiva di senso) e dialettico ( concepibile religiosamente in termini di espiazione e di redenzione) della negatività; ma per l'appunto contro le tendenze esorcizzanti, consolatorie, evasive Pareyson fa valere perentoriamente l'urgenza d'un pensiero eh' egli non esita a definire tragico. Ermeneutica e pensiero tragico, dunque, come lo sfondo e anzi la struttura portante d'un discorso filosofico che si richiama all'esistenzialismo per radicalizzarne la tematica. Ma, detto questo, la questione è appena sfiorata. Non più che presupposti, benché necessari, sono sia il riconoscimento che il sapere filosofico è originariamente interpretativo e dunque non solo si affida all'ermeneutica ma in definitiva s'identifica con essa, sia la consapevolezza che l'epoca in cui vi-. viamo emerge da un tale abisso di atrocità che il solo pensiero che non la tradisca vistosamente eludendone i più aspri e impietosi in- • tan:i~nte ·da quello dei pensatori (Gadamer e Ricouer, principalmente) cui egli è spesso affrettatamepte associato. . -;Ebbene, su che cosa si basa il ne,sso di- ermeneutica e pensiero tragico? Precisamente su ciò che -l'ermeneutica in alcune sue espressioni di punta (ma che di fatto la dissolvono in senso decostruzionista) tende a occulture o a rimuovesul libero assenso o sul rifiuto della verità, è tutt'uno con la libertà: ne derivano dubbi, conflitti e contraddizioni non risolvibili da una superiore strategia giustificatrice, ma tragicamente conficcati nel cuore sfingeo, ancipite del reale. Q uesto non significa assolutamente che il pensiero di Pareyson, mentre si sottrae alM. Broodthaers, Armadio e tavolo di uova, 1965 terrogativi è appunto il pensiero tragico. Decisivo, per Pareyson, è il nesso che lega ermeneutica e pensiero tragico; decisivo è il fatto che l'ermeneutica, coerentemente e compiutamente ~viluppata, sbocca senza soluzione di continuità nel pensiero tragico e finisce col coincidere con esso. Qui l'impegno speculativo di Pareyson si fa assolutamente originale e si distingue netre, ossia il radicamento ontologico dell'interpretazione nella libertà e nella verità. Secondo Pareyson non c'è interpretazione senza verità, anzi, non c'è interpretazione che della verità, perché è solo appellandomi ad essa che io posso pronunciarmi a nome mio su qu~lcosa. Né, d'altra parte, c'è verità che si dia altrimenti che nell'inter- · pretazione. Ma allora l'interpretazione,. in quanto non fondata che la deriva nichilistica, dove interpretare è differire, dislocare indefinitamente i significati e coglierli in una sorta di perpetuo estraniamento per cui essi sono «conosciuti» sempre e solo in rapporto al loro non essere più e in definitiva al loro non essere, però finisca con lo sprofondare nei gorghi d'una metafisica che di fronte ali' «insondabile mistero dell'essere» si rifugerebbe su posizioni fideistiche o peggio irrazionalistiche. Aiuta a comprendere l'audace veleggiare di questo pensiero tra scogli opposti il sempre più intenso, congeniale, rivelativo dialogo di Pareyson con i suoi autori: Schelling e Dostoevskij in particolare. In Schelling Pareyson vede il prodursi, dall'interno, d'una vasta e complessa rottura dell'orizzonte del razionalismo metafisico. La tesi schellinghiana del primato della categoria della realtà, per cui il «puro esistente» .sta di fronte al concetto in una sua irriducibilità mirabile e rabbrividente tanto da indurre una vera e propria estasi intellettuale, colpisce «non soltanto la ragione in generale, ma il principio stesso della ragione». Appunto perché colpita, anzi, tratta fuori di sé e messa a tacere, la ragione lascia essere l'essere stesso e per così dire ne è investita estaticamente: sicché l'essere, in luogo di trasparire alla ragione come identico ad essa, le si rivela nella sua trascendenz;i. Da questa prospettiva (all'illustrazione della quale Pareyson ha dedicato lo straordinario saggio su Lo stupore della ragione in Schelling, un vertice assoluto della storiografia schellinghiana) si comprende come la ragione possa liberare dal suo stesso «annichilimen-. to» il colpo d'ala che le p~rmette di «sorvolare il baratro». Il che non significa ritrovare nell'essere un rassicurante fondamento contro la possibilità del nulla. Anzi: «La vertigine della ragione non sorge tanto di fronte al nulla quanto di fronte all'essere "sublime e tremendo" insieme. Nella domanda suprema ed esistenziale "perché l'essere piuttosto che il nulla?" risuona sì l'orrore del vuoto, il terrore davanti al nulla da cui emerge l'essere e che continua a fasciarlo con la sua ombra, ma ancor più l'orrore dell'essere, in cui l'enigmaticità dell'universo, la contingenza del mondo, la gratuità del reale, il dolore dell'esistenza si congiungono inestricabilmente a costituire l'unico oggetto d'una reazione così profondamente rivelativa». ·È ben questa la via al pensiero tragico. Precisamente lo stesso pensiero che Pareyson svolge da quella sua lettura di Dostoevskij cui attende da anni avendone già consegnato i primi risultati ad alcuni saggi memorabili. Tra questi, bisogna ricordare almeno La sofferenza inutile in Dostoevskij, dove Pareyson introduce la figura del «Dio dialettico» come risposta i:eligiosa (tragicamente religiosa) al problema della negatività e del male dopo la dissoluzione nichilistica · della teodicea. Ma ben più radicalmente del nichilismo, lo stesso pensiero tràgico svuota la metafisica giustificazioni- ~ stica, fondante , «ontica» come la ~ chiama Pareyson. È il nichilismo. -S ~ che concepisce Dio come fonda- I:).. mento e come principio: così fa- 10 ~ cendo, congeda Dio, perché ne ...,. mostra implicitamente l'assurdità, e ~ ma congeda anche il problema che. :::i Dio è chiamato a risolvere, se è ve-• ·0<> ro che male e negatività sono vera-· ~ mente tali soltanto nella luce della s: loro redimibilità. Invece il pensie- ~ ro tragico introduce in Dio stesso la "§ contraddizione, l'opposizione, ilr ~

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