le una cosa. Per quanto io sia più giovane di Brandi, ho sempre avuto nei suoi confronti un atteggiamento protettivo dovuto al fatto che Brandi era religioso quando lo conobbi. Si. allontanò completamente dalla Chiesa non voglio dire soltanto per aver frequentato me ma certo anche per la mia influenza. Capirà, quando si contribuisce ad allontanare una persona da un qualcosa che costituisce un grosso appoggio si prova un certo senso di responsabilità. Poi ... ma io credo davvero di avere molti amici. Lei sa bene di essere molto amato? Lo so, lo so ... Lo meriterà poi questo amore di cui è circondato? Questa è una .domanda da birba! Non lo so. Diciamo che ho cercato di meritarlo. Guardi, nella mia vita mi sono dato una norma, quella di alimentare coscientemente il sentimento della generosità. Posso averlo, non volendo, tradito qualche volta. So che me lo sono sempre proposto come una condizione della mia vita intellettuale. Odio tutte le forme di grettezza e sono persuaso che un gretto non può essere intelligente. Scrissi una boutade che le ripe_to:«Per fortuna le idee son di facili costumi e vanno con tutti. Guai se f assero castel». Per fortuna vanno con tu(ti!A me è capitato tante volte di trovare q~lcuna delle mie idee a braccetto di un altro! Ma cre~o che la gelosia sia un pessimo sentimento e quindi ... Agli allievi ho voluto molto bene, ai miei tre allievi che si chiamano Maurizio ... Facciamolo un breve cenno su quanto accadé oggi, sul far pittura dei tanto chiacchierati giovani tornati al pennello e alla trementina, perché no?! Non mi faccia però il numero del vegliatdo non·più informato - non ci crede nessuno! - che orm,ai si as~iene.da giudizi sull'attualità che non segue più, delegando ad una generazione più giovane di critici tali competenze! , No, no, non dico questo. È ch'iaroche )n quesrapittura che si fa oggi c'è chi è migliore e chi è peggiore. Ma non è questo il punto. Io sono su uha posizio~e completamente opposta. Perché rimango legato all'idea che ·l'.qrt~.sia un modo di determinazione di valori. A separare if ·concetto di arte da quello di valore, non riesco. Perciò. quando io parlo - riprendendo un concetto di Hegel, di A;</.orno,della scuola di Francoforte - della morte del 'arte non.lo façcio-per amore di apocalissi, lo faccio nel senso che· oggi :non vedo più l'attività artistica come una componente-_delJistema culturale in atto. Una disciplina morta è u.nad~ciplina che ha perduto i contatti col sistema culturale in att,o. Non è che con questo scompare dalla nostra coscienza a, più ancora dal nostro inconscio; noi, l'arte morta ce la ritroveremo senza dubbio nell'inconscio, come Duchamp si è ritrovato l'alchimia che era una scienza morta, no?, come Jung. Sono perfettamente sicuro che questo passaggio dalfesperienza conscia all'inconscia, ·cioè· ques.to passaggio dal mondo della vita al mondo della morte riporterà l'arte come una diversa presenza della morte nel contesto del 'esistenza. Si ripresenterà quando verrà un artista che vivrà questo problema. Il concetto di morte del 'arte poi, per me, si connette con tutto un ordine di pensieri che non ho ancora scritto, perché non ne sono sicuro, devo ancora pensarci molto e ci sto pensando anche attraverso Michelangelo. Io mi vado persuadendo che l'arte in tutta la sua storia è la sola metafora della morte che consente una presenza positiva, nàn terrorizzante, anzi, costruttiva nella vita. E infatti l'arte (questo è soltanto il primo germe del pensiero) fin dal primo momento si è presentata come artificialità. Ora la morte è quanto di più costituzionalmente artificiale sia nella nostra esperienza; perché, siccome nessuno di noi ha vissuto e raccontato quel/'esperienza di compimento del 'esistenza che è la morte, qualsiasi immagine che noi abbiamo o formuliamo della morte, è una metafora, ed ha tutta l'artificialità della metafora. L'arte ha tutta la metaforicità che si dà al pensiero della morte. Questo è un ordine di pensieri filosofici che sto approfondendo, elaborando (se non farò in tempo a raccontarlo niente di male). L'accadere della morte dell'arte, prima di tutto non significa affatto la sua scomparsa definitiva, la scomparsa definitiva di un'attività artistica che può essere benissimo ripresa, come, appunto, è stata ripresa su un piano diverso l'attività alchemica. lo credo che tra arte e alchimia un'analogia esista perché indubbiamente l'alchimia è il tipico casò della scienza che muore per taglio dei collegamenti con le altre discipline del sistema culturale. Siccome, da un punto di vista agnostico, l'alchimia materializza il processo di trascendenza, cioè il processo per cui tutto ciò che è nel mondo tende a sublimarsi nel divino (di qui la sublimazione della materia che è un principio fondamentale dell'alchimia) quando la cultura del tempo ha rinunciato a questa finalità, a questo essere puramente teologico, ecco . che l'alchimia è precipitata, è diventata una scienza morta. ~ Si potrebbe dire che una scienza morta cessa di essere viva, c::s ma non cessa-diessere scienza . .s ~ .~ 'O ~ ~ Lei 'mi diceva prima del suo ultimo lavoro, un approccio diverso a Michelangelo. . ;_ Michelangelo è il grande manierista, colui che ha rovesciato .. la· concezione conoscitiva del 'arte in una condizione esibo ~ stenziale. Michelangelo è andato continuamente riducendo la sua esperienza estetica e l'ultima sua opera, quella che per s:: me è il culmine, è Santa Maria degli Angeli (è anche crono- § -è logicamente la sua ultima opera). Lui fa proprio il gesto alla Diocleziano e dice: «L'asse (che era poi l'asse longitudinale, poteva andare benissimo per la éhiesa) che è così, la facciamo così; qui chiudiamo per limitare lo spazio, si ricostruiscono le volte perché non ci piova dentro» e poi scrive «erat idulum nunc est templum virginis». E se ne va. Tipico· gesto alla Duchamp! Per me questo è un momento assoluto di morte dell'arte, di morte in un processo di sublimazione, di morte in un momènto di conoscenza teoretica di che cosa è l'arte. E nel momento in cui si acquista la coscienza teoretica si perde ovviamente la pratica (ed è quello che hanno capito alcuni artisti, soprattutto i concettuali). Nell'attualità del far arte io vedo u~ indl!,bbioproc_e,ssodi regressione,.ma , di una regressio,neche non è recupero, di una regressione senza recupero. E una volta lo dissi in una tavola rotonda: «Il discorso che oggi fanno questi artisti, che fate voi giova-. ni critici, è quellp di dire come!, ·voi dite che l'arte è morta? Non è vero, eccone il cadavere». Mi diceva del rapporto tra l'architettura e la p9esia, in Michelangelo, scoperto nello studio che st,t conducendo. Ho accennato al fatto che la sua poesia è collegata col problema della lingua. In che senso è collegata? Nel senso che Michelange!o è. il primo a intuire la genesi poetica del linguaggio; cioè la poesia come momento creativo e non comunicativo del linguaggio (infatti le poesie di Michelangelo sono assolutamente oscure, non si capisce che cosa sono, ed è inutile cercare di capirlo), si. deve leggere come si legge Joyce. Joyce l'hÒ sempre letto in inglese, perché così non diretto tra nome e concetto-forma comi! avviene in poesia. Perché nel 'architettura? Perché lui ha il suo latino, che è l'architettura classica. Le forme del 'architettura di Michelangelo sono forme del 'architettura classicache si trasmutano, trasmutandosi da parola in concetto, nella diversa struttura della sua architettura, come la parola poetica è diversa dalla stessa parola prosastica perché inserita in una struttura metrica e in una struttura di immagine poetica invece che in una struttura logico-sintattica. Cos'è, professore, la cosa che le fa più paura? Che succeda qualche cosa alle persone a cui voglio bene, prima che succeda a me. E la cosa che la diverte di più, che le fa più piacere, che le.dà più gioia? Uscire la mattina pres~o per Roma? Forse sì, mi piace molto; sa che io vado tutti i giorni in Senato a piedi? Le piace camminare? Mi piace molto camminare per le viuzze di Trastevere. C'è uno storico dell'arte che sente vicino a lei?. Se pensiamo ad accostamenti puramente professionali, metodologici, colui al quale mi sento più vicino è Gombrich. M. Duchamp, Why not sneeze, 1921 Quello in cui non sono d'accordo con Gombrich è che Gombrich ama più la soluzione dei problemi e io più i problemi delle soluzioni. L'uomo che, dopo Venturi (con Venturi c'è un rapporto padre-figlio, rimane lo storico dell'arte cui sono stato più legato), ha avuto una grande influenza su di me è Panofski. Le dico brevemente come ci conoscemmo. Io ero studente di terz'anno in università quando feci un'esercitazione su Palladio, sulla critica neoclassica; quando portai questa esercitazione a Venturi, gli piacque molto e decise di pubblicarla subito nel 'Arte, la sua rivista, e fu pubblicata infatti nell'aprile del '30. Dopo un mese, io stavo lavorando alla mia tesi di laurea, in casa, nel manicomio di Torino; sento suonare il campanello, apro e vedo un ometto che mi chiede: «Lei è il signor Argan?». «Sì». «Lei è storico d'arte?». «Studio storia dell'arte con Venturi all'università». «Ma suo padre è storico d'arte?». «No». «Chi scritto articolo Palladio?». «Io». «Ah, piacere, Erwin Panofski». Guardi che civiltà c'era allora! Lo accompagnai in giro per Torino per un paio di giorni e siamo rimasti molto legati. Ho potuto ricambiare (questa cosa ha avuto una grande influenza sul mio sviluppo, perché era un idolo per me Panofski) e l'ho fatto dottore honoris causa dell'università di Roma, pochi mesi prima che morisse. Poi cominciavo la rivista Storia dell'arte, e allora gli scrissi se mi dava un articolo; mi giunge una risposta scritta a macchina, dettata a una segretaria, che dice: «/ am very ili, sorry, but impossible». Poi, scritto a mano, «Adieu, Pano- ~ Duchamp: entra in questo complesso antico delle terme di l:31---------------------------------------------------------------------------J sono tentato di capire. Michelangelo ha questo problema della lingua che nasce attraverso _lapoesia: è il -concettotipicamente fiorentino. Difatti ho trovato un rapporto, molto curioso, con Machiavelli: la fiorentinità della lingua che pensa Machiavelli, è un passaggio diretto al concetto. Machiavelli fa la storia in poesia trapassandola immediatamente in concetti: la pigrizia, l'intelligenza, la virtù, eccetera, ecc., che scrive con lettera maiuscola perché ciascuno capfsca che sono concetti. In Michelangelo si pone questo problema del linguaggio e si capisceperfettamente, perché si ricollega alle origini dell'umanesimo quattrocentesco, quindi è fortemente collegato al pensiero dell'Alberti oltre che del Brunelleschi, e attraverso /'A/berti al Brunelleschi. Ora Michelangelo - e ho trovato riscontri precisi - il trattato della pittura dell'Alberti se lo leggeva in continuazione. Il trattato dell'Alberti è del 1436; nel 1441 /'A/berti ha fatto il Certame Coronario per affermare il valore letterario del volgare. Questa lingua volgare che nasce con la poesia, si · oppone al latino, che è rettorica (Raffaello), cioè comunica- . zione (Raffaello). Qualunque espressione non può non-riferirsi al sedimento verbale che è in noi, a questo nominalismo, a questo passaggio dal nome al concetto, che è anche un fatto religioso, perché la stessa religione dice che in principio era il verbo, no? In Michelangelo, in tutta la sua arte, c'è qij,estobisogno di riferimento al nome; nome-forma è il suo rapporto. Nel 'architettura riesce ad eliminare quel riferimento al reale sensibile, al riferimento allafigura che invece c'è nella pittura e nella scultura; stabilisce il rapporto fski».
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