Argan,lamiavita Commentavamo il ritratto di sua madre. Cominciamo da lei. Era torinese? Sì. Anche mio padre. Da mia madre ho ereditato un'atteggiamento positivo ed ironico allo stesso tempo nei confronti dell'esistere. · Lei era un figlio obbediente e ligio? Tutt'altro. Mi è accaduto, durante gli anni scolastici, di dare ai miei due genitori dolci e miti più di una preoccupazione perché volevo, a tutti i costi, fare il pittore. Naturalmente questo li angustiava un po' perché allora la vita del/'artista non era delle migliori. Poi, dopo un'ottima licenza liceale - per quanto fossi un cattivo studente! - iniziai l'università e presto accadde che i miei genitori invece di consigliarmi nelle decisioni per la mia vita mi chiedevano consiglio per la loro. Quali rapporti ha avuto con la sua città? Come lei sa, abitavo nel manicomio. Abitare in un manicomio, in un manicomio funzionante come a quei tempi, è un'esperienza di vita molto pesante per un bambino. Non so se lei conosce il manicomio di Torino, è un edificio neoclassico molto bello... La maggior parte dell'architettura neoclassica ha prodotto molte tipologie ma due sono le più importanti: il cimitero e il manicomio. Due conquiste della cultura illuministica: il cimitero è la sepoltura fuori dalla Chiesa; il manicomio è considerare il sofferente psichico come un malato e.non più come un dannato; un indemoniato, un peccatore, ecc. Dicevo ... sì, si aveva l'alloggio interno, mio padre era·un impiegato del/'amministrazione. La finestra della mia camera dava su un lungo cortile alberato dove passeggiavano le ricoverate (era un manicomio solo . femminile). Pensi che ne vidi una incendiarsi le vesti, improvvisamente vidi una donna in fiamme. Ecco, un'esperienza d'un bambino di cinque anni ...· È uno dei suoi primi·ricordi? Sì. Ce ne sono degli altri... La mia camera confinava proprio con la sezione di paranoiche periodiche per cui, duran- . te la notte, ed ogni ventisette secondi, si sentiva un «aaaahhhoooh!». Riuscì ad aiutarmi uno psichiatra, anche lui un po' matto, come capita sovente agli psichiatri. Siccome io alla domanda «cosafarai da grande?» rispondevo «il medico», questi' mi disse: «Bene, intanto comincia a tenere in ordine le schede delle ammalate». Un giorno che ero intento a questo lavoro, lo psichiatra dice tranquillamente a un'infermiera: «Dia un camice anche a lui, andiamo a fare una autopsia». Era laprima volta che vedevo un cadavere. C'era una poveretta morta per un tumore al cervello, con la calotta cranica rovesciata, e lui mi dice: « Vedi questo grano nero? Era la causa della malattia di questa donna. La gente impazzisce perché c'è una causa oggettiva». Allora la medicina era positivista per cui tutto era oggettivo. Fatto sta che quel camice non me lo sono più tolto di dosso e mi è servito molto nella vita. Poteva anche farmi andare dall'altraparte, tra i ricoverati, però l'esperienza del manicomio mi è stata utile, molto. In che senso? Spiega il mio bisogno di razionalismo. Esorcizzare tutto il mondo della follia attraverso la ragione? Appunto. Torniamo ancora a Torino. Torino, quando ero ragazzo, era molto Lubecca dei Buddenbrook. Ho vissuto assai presto i momenti drammatici di Torino, quelli degli scontri per le strade, con i fascisti. Intanto cominciavo l'esperienza universitaria con Pavese, Ginzburg, Mila, Bobbio,- Sturani, Monferini. Fin dopo la guerra non ho saputo niente di Gramsci... leggevo invece Gobetti, i cui libri si trovavano non più in libreria ma sui carrettini. Torino si legò ad una concezione gobettiana, Torino non aveva motivazioni ideologiche profonde ma fu antifascistaper il disgusto verso la grossolanità culturale del fascismo. D'altra parte, ricordo che in quegli anni.avvicinai Benedetto Croce. Quando gli chiedevamo cosa fare per combattere la situazione politica, Croce rispondeva: « Volete fare dell'antifascismo? Scrivete un bel saggio sul Tasso». Ha lasciato presto Torino? A ventuno anni, subito dopo la laurea con Lionello Venturi che si allontanò dall'Italia. Dal 1931 sono a Roma. Ho sempre follemente amato questa città. L'ha molto amata nel senso che le è piaciuta molto? Conversazione di Lea Vergine con Giulio Carlo Argan Sì. Oggi, dopo l'amministrazione fascista e quella democristiana, la città è rovinata, dalla speculazione immobiliare. Ma nel '31 Roma era ancora una città che aveva uno spazio tra barocco e neoclassico; e dove ançhe il modo di vivere era estremamente aperto e cordiale. Verso sera, quando uscivamo dalla Bibliotèèa, si artdàva alla· Enciclopedia italiana, dove c'erano i professori universitari che lavoravano a quel- /' opera indubbiamente notevole che'è stata l'Encièlopedia; e si passava il tempo a raccontarci storielle antifasciste, poi si andava a cena, magari in latteria, ·e poi in birreria dove si rimaneva fin verso le tre del mattino con i nostri professori. Infine si usciva in una Roma dèserta, dallo spazio bellissimo. Inoltre c'è il fascino che esercita su ·uno storico della arte... ancora adesso, durante la bella stagione, quando vien chiaro presto, esco e giro per le chiese minori, guardo i quadri che vi sono, cerco di attribuirli e poi a casaguardo la guida per vedere di quanto ho sbagliato (quasi sempre sbaglio perché sono opere minori). E poi sa cos'ha di bello Roma? Che la gente non s'impiccia dei fatti altrui. Se io, anche quando ero sindaco, fossi uscito di casa in.pigiama, per attraversare la città ed andare a imbucàre una letteraalla stazione, nessuno lo avrebbe rilevato. Riparliamo dégli affetti nella sua vita. Abbiamo principiato con sua madre, quali so'nole.altre donne che hanno contato? Beh, parecchie. Mia moglie, Anna Maria Mazzucchelli, milanese, collaboratrice di Persico_e Pagano, una studiosa di architettura di grande intelligenza. Fu redattrice di Casabella. Indubbiamente ha avuto molta influenza· su di me. L'ho amata molto a'nche'Seno.iisono' stato quel che ·si dice un marito esemplare. Credo éhe sia· possibile · amare due donne in una volta, perché non deve ess~repossibile? Quando altri affetti sono subentrati' nèlla inia ·vita ho trovdto in mia moglie una comprensione profonda pér tui si ·è éontinuato a vivere insieme, ad avere interessi ·di ·studlo, ·di lavoro, di pensiero comuni. Essendo ormai altafùie della vita le posso assicurare che muoio nutrendo un sentimento di prof onda gratitudine verso tutte le donne che ho conosciuto augurandomi che per loro l'incontro con nie sia stato altrettanto positivo. Ma, professore, penso che sarà stato anche colpevole di qualche massacto, che abbia molto ferito, suppongo, o no? · Questa è una cosa che altre donn'emi'hannd detto... . . La fatidica frase «Hai distrutto la mia vita» le sarà ben stata rivolta! A un'amica, alla quale ho parlato come adesso parlo con lei, dissi «io veramente mi sono proposto di non far mai soffrire le donne perché le amo» e questa mi ha risposto «e credi davvero di non averle fatte soffrire?». Mi accorsi, a quel punto, di essere stato un grande egoista perché non mi ero mai posto il problema ... Lei mi diceva prima d'aver scelto la razionalità anche per esorcizzare il mondo di ansie e di follia, entro cui si è mosso nell'infanzia e nella prima gioventù. Ma spesso, e per fortuna di coloro che l'amano e continuano ad ammirarla, ha dato più volte dimostrazione di non essere un campione di razionalità, voglio dire che non si è negato, grazie al cielo, una serie di fragilità ... La mia razionalità è nata come difesa da una grande paura, una paura di tipo esistenziale, tutta timore e tremore, che ci era comunicata anche dalle letture che facevamo. Dopo Croce - non mi dispiace d'aver soggiaciuto al /ascino di Croce perché, soprattutto per un giovane, è sempre una grande lezione di civiltà - ci siamo trovati presi tra Marx e la letteratura del socialismo da un lato e dalla lettura del/'esistenzialismo dall'altra. Rispetto a quel tardo hegeliano che era Croce ci siamo trovati a combattere tra una sinistra e una destra hegeli(!;,na,tra Marx e Kierkegaard. Ora, per chi non faceva professione di filoso/ o ma cercava nella filosofia un indirizzo alla propria ricerca lei capisce che si sentiva più la drammaticità del conflitto che non la necessità di scegliere. L'obbligo della scelta io non l'ho mai sentito; nel mio pensiero vi sono forti elementi di fenomenologismo e anche di esistenzialismo, così come ci sono elementi di razionalismo e di marxismo. Lei deve pensare che per uno che ha fatto i miei studi la scelta della razionalità è stata anche la scelta della razionalità che si affermava con l'architettura razionale, per esempio. Era la razionalità che opponevamo all'irrazionalismo brutale del fascismo prima, più tardi all'irrazionalismo atroce del nazismo, della guerra e dell'occupazione tedesca. Ricordo il suo schierarsi, tutt'altro che algido, dalla parte di quei ricercatori visivi, detti programmati o gestaltici, negli anni dal '62 al '66 all'incirca. Lei si batté- erano i momenti caldi dell'informale che pure aveva esaltato - per la nuova concezione del far arte da questi avanzata, si batté accanto a coloro che propugnavano, con innocenza certo, l'antico romantico sogno di mutare le strutture della società, il mondo, attraverso la ricercà estetica. Ecco l'anomalia della sua razionalità ... · Non fu mai razionalità astratta la mia, non fu razionalità nel senso della logica formale. In quegli anni - e seguita ancora oggi - nacque in me l'interesse per chi lavorava a scoprire la struttura della percezione (mi legai così d'amici- . zia con persone come Arnheim, e prima ci fu quella con Gropius, molto importante nella mia vita). Eravamo interessati a scoprire che la percezione non è un materiale confuso che si raccoglieper offrirlo poi all'intelletto affinché lo elabori ma che è un processo di pensiero. Per cui, in realtà, quel nostro razionalismo fu una ·analisi emessa in valore dell'immaginazione. Questo, se vuole, le spiega qualche cosa anche della mia vitapolitica; ad un certo momento, ho sentito il bisogno di ideologia essendo l'ideologia nient'altro che una immaginazione con un esito pragmatico, il cui esito pragmatico dovrebbe essere la rivoluzione. E io ero allora persuaso (oggi purtroppo molto meno), che dalla rivoluzione francese alla · rivoluzione di ottobre e ancora dopo, la dinamica del mondo fosse la rivoluzione, a cui naturalmente si alternavano processi controrivoluzionari come quelli che abbiamo visto del fascismo; del nazismo e franchismo. Noi abbiamo vissuto questo dramma, che la vostra generazione non ha vissuto perché voi avete cominciato una vita intellettuale dopo la guerra, che aveva risolto questi problemi. Noi, invece, in quel momento, ci trovavamo di fronte ad una scelta, tra una via storica, diciamo così, ·del progresso e una via storica dell'involuzione. Quindi. il nostro razionalismo è un razionalismo fortemente critico e ideologico. Questo porta al fatto della mia scelta professionale, di fare il critico d'arte. Cosa vuol dire fare il critico d'arte? Non portare avanti l'arte_,,che è semplicemente l'oggetto del nostro lavoro, ma portare avanti la critica, cioè garantirci che i processi di pensiero che si ·sviluppano nel mondo siano processi critici e non fideistici. Certo noi · adesso ci troviamo in posizione di sconfitta, di disfatta. Io ho sempre ·detto·«guaise non ce lo dicessimo»: siamo in una posizione di disfatta semplicemente perché è indubbio che la tecnologia è riuscita cambiare il mondo, riesce a cambiare il mondo molto più rapidamente che non l'ideologia. L'ideologia non farà mai più rivoluzioni, la tecnologia può ancora farne. Ecco, questa è la nostra sconfitta. Questa è la ragione per cui, quando io, nell'ambito del mio partito, il partito comunista, sento dire «dobbiamo metterci in rapporto con la tecnologia», penso che voglia dire mettersi in rapporto col capitalismo, perché Latecnologia è in mano del capitalismo. Quando mi sento dire questo, mi rendo conto che hanno ragione. Ma allora mi faccio scudo dei miei 77 anni e dico: «Cari miei, alla mia età non cambio più: sono stato per l'ideologia, seguito. Non importa, poveretta, l'ideologia è diventata vecchia: dovrei abbandonarla perché è invecchiata? Sarebbe ingeneroso». L'amicizia è stata una cosa molto importante nella sua vita? Estremamente importante. Quali sono i suoi amici più cari? C'è stata qualche persona verso cui lei si sente debitore di un insegnamento, di un esempio? Beh, Venturi... ma ancora prima di Lionello, suo padre Adolfo. Ho fatto in tempo a godère degli aspetti dolci della sua vecchiaia. Spesso, alla sera, andavo a .casa di Adolfo· Venturi, via Fabio Massimo, numero sessanta. Venturi nutriva per me la tenerezza che hanno i nonni per i nipoti, maggiore di quella che si ha verso i figli perché non si hanno responsabilità... E poi non ci sono aspettative ... Appunto. È un affetto che ricordo con grande rimpianto. Ho voluto molto bene anche a Pietro Toesca, il grande medioevalista. Nel campo delle idee il suo sostegno fu meno ricco di quello che mi diede Lionello Venturi ma maggiore forse nel campo della ricerca scientifica vera e propria. Poi c'è stata e c'è ancora l'amicizia molto prof onda con Cesare Brandi. Amicizia collegata con una divergenza altrettanto profonda ... Basata su cosa? L'amicizia o la divergenza? L'amicizia, meglio quella che, dal di fuori, sembrerebbe un'empatia. Prima di tutto Brandi è un grande studioso. Non ha mentalità di teorico anche se ha l'ambizione di esserlo ma ha una capacità di lettura dell'opera d'arte straordinaria. Parlare insieme di opere d'arte è anche molto istruttivo. Voglio dir-
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