Mario Lavagetto Freud la letteratura e altro Torino, Einaudi, 1985 pp. 442, lire 32.000 D i interferenze fra letteratura e psicoanalisi, ne sono state prese in esame fin troppe: dalla lettura di vita ed opera sovradeterminate da strutture inconsce ai cataloghi più o meno diffusi di simboli e miti. Non c'è testo che non abbia patito di una lettura edipica, ma i più scaltri non si sono attenuti alle semplici triangolazioni ed hanno voluto destreggiarsi nell'usare la negazione, il significante o il coinema. Affetti insospettati e urgenze di ordine sessuale, promossi a necessità critica, hanno reintrodotto in qualche romanzo meravigliosi sottintesi e singolari appendici. E non di rado un severo richiamo all'opera di Freud è intervenuto per sospendere gli abbandoni troppo facili al fascino del pene e della castrazione. Anche Freud la letteratura e altro di Mario Lavagetto è un severo richiamo al dettato originario del maestro. Ma risponde ~nzitutto ad un quesito serpeggiante, o meglio ad una di quelle constatazioni che, pur inevitabili, hanno il pregio di ribadire una priorità occulta. Ce lo siamo - tutti - sentito dire. - Non credete che certi sogni di Freud sono meravigliosi romanzi? - Non trovi che quel caso clinico si legge quasi come un racconto? Tutti interrogativi, prudenzialmente in forma negativa, i quali finiscono per lasciare una convinzione, non motivata, presuntiva, che Egli sia stato un grande letterato, oltre che medico. Detto questo, nella bocca dei più l'argomentazione s'impoverisce. E, invece, viene in soccorso il libro di Lavagetto con le sue inesauribili glosse, dall'uno all'altro capo dell'opera, seguendo piste sottili sottili, scendendo e risalendo la china infernale per il gusto di misurarne frutto e fatica. Un Freud che, fin dalla prima pagina, presta «orecchio alle tentazioni letterarie» e poi pazientemente le ' E di recente uscito un libro di poesie del poeta romeno Marin Mincu, In agguato, «a cura e con una glossa di Alfredo Giuliani, con una nota di Mario Luzi» (Scheiwiller 1986, pp. 94). Un primo aspetto sollecitante del volumetto è dato da una singolare esperienza del suo autore, che ha tradotto egli stesso in italiano i propri testi, provenienti dal libro romeno Prada realului, edito a Bucarest nel 1980. Veniamo a sapere che Giuliani ha collaborato al lavoro traduttorio, rivedendo, forse suggerendo qualcosa che andava anche al di là della pura resa in italiano del messaggio poetico romeno, se entrambi i poeti alludono a un «muoversi» dei testi e Mincu scrive proprio nel primo poemetto Falso trattato sull'agnello: «Mi stupisce ilpoema I che si muove I e siferma I nell'intervallo tra due parole». Nel passaggio dalla dimora linguistica romena, resa disabitata dalla traslazione in lingua italiana, qualcosa perdette la sua necessità, altro forse richiese un intervento attivo, un adattamento. Marin Mincu è una ricca e complessa figura di giovane scrittore, oltre che vivacissimo, irrequieto Freud la letteratura e l'arte/3 lnterfereae realizza quasi tutte, potrebbe sembrare il nume tutelare di una critica dai facili entusiasmi, e forse lo è, purché si abbia l'infinita pazienza di seguirne i pensieri, le riflessioni, i silenzi, per anni e anni, fino a leggere il suo testo come labbra che articolano mute. Dopo tale fatica disarmano anche i malevoli, e se pure non concedono partita vinta al maestro, loderanno lo scoliaste. Ma troppo onore all'acribia, potrebbe suonare encomio per una sorta di culturismo psicoanalitico. E invece - con Lavagetto- assistiamo ad un processo contrario a quello della formazione di una didattica interpretativa: quel Freud che ragiona sui propri esercizi di narratore, e ancor più sulle condizioni in cui si trova a fare della letteratura, trasmette costantemente ai propri enunciati critici il potere di emettere messaggi nell'ambito immaginario, quasi la sua riflessione sui sogni lo avesse portato a dover parlare anche la lingua dei sogni. Il letterato, cioè, perfeziona o stravolge, e comunque finisce il lavoro iniziato dallo psichiatra; con fantasie e ricordi infantili, edifica palazzi barocchi a cui concorrono pietre squadrate e colonne antiche. Costruzioni, facciate, puzzles, architetture senza il nome di un mastro d'opera: la traversata degli spazi fantastici e analogici comincia forse in una camera nuziale ma difficile è dire dove si si consideri esaurita, perché, nel migliore dei casi, conduce «a una grande casa, con molte moltissime stanze: davanti ad ogni stanza c'è una chiave, ma non è quella giusta» (cfr. p. 387 e p. 388). Su questa citazione di un dotto ebreo, Scholem, stornata a Freud, ed eventualmente rivolta ad altri interpreti, si chiude questo saggio. Tante chiavi, troppe stanze, infiniti lettori. A voler fare il percorso a rovescio, dal centro del labirinto ad una delle sue uscite, si finirebbe per trovare, al di là dell'ultima soglia, una sorpresa. Perché una lettura, avvincente o dotta, tenace e trasognata, di un testo, passi anche Alberto Capatti nella sua trascrizione, dentro un nuovo volume, ci vuole qualcosa di più di un interprete appollaiato sull'autore, ·qualcosa di meglio di un discepolo che pende dalle labbra del maestro. Questa è la sorpresa: per leggere ancora Freud, è necessaria questa guida che, sorreggendo il nostro sillabare, ci trasmetta tutta la sua sapienza e la sua passione. Amiamo, in fondo, solo gli autori scelti e commentati da altri, di cui sappiamo tutto fingendo di non condividerli con nessuno: dai tempi della scuola, nessuno ci ha persuaso che esiste un amore diverso, per i libri. A utori e critici, figure ed ombre, s'accoppiano sovente assai bene nella misura in cui inciampano nelle stesse difficoltà, " Nodo cardanico, silografia. In Gerolamo Cardano, De rebus factis et artificiis, in Opera, Lugduni 1658-63 falliscono sugli stessi progetti. Freud non fa eccezione, che se ne valuti il lavoro di sfaldamento e di puntellamento di una teoria in atto, che si misurino i suoi pensieri mancati, i suoi stessi lapsus. Fra lacune e correzioni, la sua opera ha infuso coraggio ai dottori sottili, molti dei quali si sono incuneati facilmente entro di essa. Viceversa, più di un discepolo ha visto, fra idee e testi diversi e nuovi, discrepanze tanto feconde da risultare provvidenziali. È il caso della torsione fortemente impressa alle costruzioni positivistiche dalla vocazione discorsiva e narrativa della psicanalisi. Una scienza che parla troppo per non risultare ambigua; un modello troppo specificamente costruito con il linguaggio e con il comunicare, da contentarsi di principi apodittici. Infatti, a prescindere dalla pazienza con cui, caso per caso, Freud procede a ridurre in frantumi e a distruggere un discorso, per rimodellarlo dal profondo, il suo scrupolo nel controllare e ricontrollare voce, posizione e punto di vista dei partners in terapia, ha qualcosa di straordinario. Come la tenacia con cui Lavagetto collauda ogni singola operazione analitica, per la sua dimostrazione: che ogni acquisizione «scientifica»comporti una riflessione sulla scrittura, che il lavoro in punta di penna sia stato almeno altrettanto creativo di quello a fior d'orecchio. È in giuoco forse meno la personalità di Freud - poco importa se scrittore mascherato o psichiatra di belle lettere- che non la natura della sua ricerca necessariamente orientata verso le forme narrative, dalla registrazione al verbale, dal diario analitico alla tecnica del resoconto. Se il problema dell'interpretazione dell'opera d'arte come un sogno resta, sino alla fine, oggetto di un inesausto dibattito, vi riconosciamo meno il cruccio del maestro che non la fecondità del suo magistero, devoluto a tutti gli psicanalisti e, ·senza ordine di subordinazione, ai critici letterari. Freud la letteratura e altro non facilita, anzi complica alquanto l'applicazione di una certa indagine psicologica al testo. Un dato confortante, vista la facilità riduttiva ed esemplificativa di molti interpreti. Un compito gravoso, per quanti accettano di rispondere non di uno schema di lettura sovraimpresso, ma di un metodo via via costruito con la propria e le altrui indagini. La strada di Freud, analogicamente esemplificata con filo, spola e tela, comporta più volte il ritorno alla prima riga e sempre un Ilpendolar1.JY1Mariincu intellettuale. Come romanziere ha pubblicato nel 1984 Intermezzo; come poeta non solo ha composto varie raccolte di liriche, edite in Romania, ma qui in Italia ha curato in collaborazione con Marco Cugno la bella antologia Poesia romena d'avanguardia (Feltrinelli 1980). Se da un lato Mincu è un benemerito divulgatore in Italia della letteratura romena, materia di cui è anche professore all'università di Firenze, d'altro lato è ben più vasta e feconda la sua opera di traduttore di testi italiani in romeno e la sua assidua attività di critico volta a far conoscere in Romania i prodotti più vivi e nuovi della cultura italiana di questi anni. In tale prospettiva egli ha tradotto e presentato in Romania sia poeti italiani del Novecento (fra cui Montale, Luzi, Zanzotto) sia critici semiologi delle scuole pavese e torinese, favorendo un processo di aggiornamento e rinnovamento della cultura del suo paese. Una particolare opera, che interessa tanto noi che i romeni, è il volume costituito a base di lunghe interviste e vaste bibliografie, curato da Mincu con intelligenza e acribia: La semiotica letteraria italiana (Feltrinelli 1982), in via di traduzione in Romania. Ma torniamo al poeta. Marin Mincu, che ha dedicato vari saggi ad alcuni poeti romeni di primo piano, fon Barbu, Mihai Eminescu, Lucian Blaga, e alle avanguardie, riesce ottimamente a fondere nella sua poesia laforza dellagrande tradizione romena con le lezioni de~'avanguardia: i suoi poemifavole sono assai indicativi in questo senso. Il lettore vi trova una sottile vena narrativa, quasi fiabesca, su cui si sovraimprime l'atto poetico che subito mette in crisi la narrazione, offrendo un reale ambiguo e immaginario. Tipico in questo senso l'ultimo poemetto, Un pomeriggio in una stanza d'albergo: ilpoeta parla con una donna che non c'è, di cui è rimasta solo la traccia sul cuscino, ma una traccia forse rammemorata, non reale. Tutto sembra presente e tutto è passato o è addirittura un reale che sfocia nell'immaginario. Così la memoria, la cui funzione è di evocare colloqui, atti, gesti, scene, come il viaggio a Parigi dominato dal fantasma di un cigno, diviene lo strumento lirico principale per questa operazione ambigua e, tutto sommato, desolata: «sto qui immobile I col terzo occhio attento I al fruscio inavvertibile dei tuoi I passi calcando sulla brina della memoria I attendo che si rompa il muro I dell'oblio cresciuto I all'istante I tra noi». E il dialogo è sempre monologo, non è gioco di scherma, non è attesa di risposta. Oscillafra la lucidità dell'insonnia e la nebulosa calda del sogno. I poemetti sono costruiti con una certa sapienza: consistono di vari testi, forniti ciascuno di un sottotitolo, spesso parola chiave, e di una propria identità all'interno della breve collana che è il poemetto. Forse il nocciolo ideologico, se così si può dire, sta o meglio più chiaramente si esprime nel poemetto In preda al reale, a cui appartiene il testo In agguato, salito a titolo della raccolta: «il realesta in agguato I ai margini della poesia I la morte crescefolta dentro i sentimenti». È individuabile anche un filo di ironia che attraversa il poemetto, soprattutto il trittico dedicato a Venezia, la città più irreale d'Europa; uno dei tre testi ha un ottimo incipit: «il bello naturale non esiste I non ha spazio per esistere». esame· attento di un canovaccio senza sagoma acquisita. Più che una tela, dunque, una matassa bastante per la sua lunghezza e il suo compimento, ma tutta da ordire. Con quale modello di carta e di inchiostro? Possiamo intuire che se la relazione fra psicanalista e paziente è funzione dell'interesse dei loro rispettivi racconti, almeno altrettanto ricco dovrà risultare il dialogo del critico con l'opera di Freud, nel momento stesso in cui l'uno interroga l'altra per fissare la propria posizione. Non c'è autorità che definisca a priori il risultato di una esperienza ventura, ma tutta l'autorevolezza deriva dalla collazione delle esperienze passate. E nemmeno questo basta. La ricerca della forma letteraria, in Freud, ha prodotto alcuni racconti ineludibili, ha creato, accanto a testi già noti, alcuni sogni e alcune pagine interpretative, attraversate le quali, le condizioni stesse della nostra lettura non sono più le stesse, per non dir quelle dello scrivere. Dopo aver percorso il libro di Mario Lavagetto, impariamo finalmente a conoscere quella casa dalle moltissime stanze, esaminando le chiavi scompagnate e apprestandoci a individuare quella giusta. Ma forse c'è un trucco. L'unica che ci interessava, per capire il funzionamento delle molte altre, l'avevamo già in tasca. Tutto starà nel ricordarsene, ovvero, •nell'essere tanto distratti da evitare un atto mancato e da tirarla fuori, senza volerlo, quella chiave, al momento giusto. Anche a questo può servire la psicoanalisi, quando si fà letteratura: a sapere, quello che potremmo benissimo ignorare. E, in ogni caso, bisogna passare per Freud, la sua letteratura o altro. Questo scritto segue gli interventi di Mario Spinella («Freud e le lettere») e di Antonio Porta («Chiedilo al cavallo») che hanno avviato il tema sull'ultimo numero di Alfabeta. Altri interventi sono previsti. Forte, attivo e al di là di ogni ludo verbale appare il frequente intervento in chiave metapoetica, come spesso nei poeti molto colti e molto proiettati sulla scrittura: ecco la cavalcantianapresenza della mano, «sudata», «stanca», e della pagina «bianca», «nuda» in un'atmosfera di inutile attesa avantestuale (cfr. i testi Oppure, Madoror); e vi è addirittura un testo dedicato a lei, Mano: «mi stupisce la mano I che scrive ora I questo verso .I che si muove I pigramente I e». Ancora: «aspetto con la penna appesa allapunta I dell'unghia». Vi è un testo intitolato La parola, dove l'arcaica penna cede il passo alla macchina da scrivere, che minaccia il «corpo vivo» della parola. C'è come una minuscola scena teatrale, una piccola rappresentazione dietro la poesia: la mano, la penna, il foglio bianco ne sono gli attori. Con sollievo, con stupore, con terrore il poeta scopre che questa rappresentazione è per lui il reale. Mario Mincu In agguato Milano, Scheiwiller, 1986 pp. 94, s.i.p.
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