non è ridurne la differenza ma piuttosto portare questa stessa differenza in sé, ossia in definitiva raddoppiare il ,proprio genere e riconoscere che siamo sempre uomo e donna, padrone e schiavo... Per quanto riguarda il genere letterario, come ho detto Naitre è finzione. Dovendo scegliere tra romanzo e poesia mi sarei censurato. Non-avrei potuto manipolare così . liberamente la lingua (e perciò anche il bambino), né .inoltre soffermarmi sul lato «gemelli». La distinzione romanzo/poesia a mio modo di vedere non vale più perché ognuno dei due poli, preso da solo, non vale più, non regge più. Da romanzo che si presenta come romanzo, in fondo, non mi aspetto più niente, tanto il genere mi sembra svuotato. Non la narrazione. Che sia dalla parte del romanzo o dalla parte della poesia, è proprio là dove supera il genere che oggimi pare sia interessante come scrittura. Là dove circola liberamente nella lingua, confusi i generi. Se c'è invece una distinzione da formulare è tra la prosa e la poesia. Tra un funzionamento orizzontale della lingua e uno verticale. Personalmente mi sento più a mio agio in questo spazio della prosa perché mi sembra offra più possibilità ritmiche e acustiche. La prosa è più adatta alla materia del mio libro che prende corpo lentamente, e passando attraverso diversi stati. Il verso, per contro, non permette il pressappoco: arriva nella sua estrema concisione, nella sua perfezione, o non viene del tutto. La prosa permette di suonare sbagliato, come con gli strumenti a corde, e questo significa che lavora verso un punto giusto, che si muove. Il verso, il segmento, come il martelletto del piano, colpisce sempre giusto. Oppure batte accanto. Una volta giù, non si muove più. Portando il discorso più in là dirò che paradossalmente la prosa sta dalla parte dell'orecchio e il verso dalla parte dell'occhio. Naftre, è vero, è più l'esplorazione di un -mondo sonoro che quel lavoro dell'occhio così caro alla poesia francese di oggi. Il libro perciò usa delle sintassi molto diverse a seconda dei registri del testo: la scrittura del ventre si espande fino a diventare rotonda, mentre le sequenze del Sabei sono un lavoro di cesello. Il testo in basso, in caratteri italici, è praticamente una respirazione sessuale. Se i poeti contemporanei parlano tanto della pittura, e così poco invece della musica, è perché la loro tensione creativa è legata allo sguardo. Il lavoro poetico oggi si basa in gran parte sul mettere in pagina, la poesia è per essere vista, non più per essere sentita. Il poeta contemporaneo è il poeta che vede il suo testo. Là sta la perfezione ma anche il limite di una scrittura che dal mio punto di vista, stavo per dire dal mio punto di vista acustico, manca d'orecchio. Cioè di carne. In Naitre ho cercato di portare la lingua il più vicino possibile al suo oggetto - che è anche il suo soggetto - in modo che si confondesse interamente con la pasta del ventre, con il suo rumore, e che raggiungesse la sua più grande realtà fisica. Iò è un altro Renaud Camus ,, S arò forse il solo a prendere alla lettera il titolo di questo. convegno, «lo parlo di un cer- • to mio libro».-Ma tranquillizzatevi, • . nel prendere alla lettera il titolo ho subit0 incontrato un gran numero 'di problemi. • . Io, anzitutto. Ovviamente, «io è un altro» - e questo è facilissimoda pensare per chi, come me, porta il nome di un altro scrittore. Non mi sento proprietario di un senso, e non vorrei essere un autore, ma piuttosto, come Pessoa, tutta una letteratura. I miei libri sono diari di viaggio, l'io della letteratura è viaggio, erranza, e mai l'immediatezza del «prendetemi come sono». parlo. Anche questo è un problema. Molta teoria della letteratura negli ultimi anni ha sottolineato la specificità della scrittura rispetto alla parola. C'è una formula famosa che dice «scrivoperché non ho nulla da dire»; ilmio caso è piuttosto «scrivo perché faccio fatica a parlare». di un. Dovrei scegliere un libro. Altro problema. Ho scritto una dozzina di libri, uno diverso dall' altro, che interessano di volta in volta lettori diversi. Se dovessi sceglierne uno, indicherei Travers, che occupa uno spazio cronologicamente centrale all'interno della mia produzione, e anche uno spaMa questo no, in fondo, che significato aveva? Era una sorta di rifiuto nei confronti del romanzo tradizionale, nei confronti dei compromessi narrativi a cui mi sembrava che l'opera dovesse sottrarsi. L'antiromanzo della Sarraute e di Robbe-Grillet aveva esercitato una profonda influenza sul gruppo che operava all'interno de il verri e che comprendeva scrittori e critici quali Guglielmi e Barilli. Questa suggestione non era solo legata ai risultati qualitativi ed espressivi, quanto all'idea di antiromanzo, di romanzo che rifiutava appunto certe rese che sembravano inaccettabili: in primo luogo la connessione spazio-temporale degli eventi, la descrittività psicologica, gli indugi informativi, le recensioni sentimentali, che erano lontani dalla ricerca che intendevamo compiere. A distanza di tempo direi che anche l'antiromanzo di Robbe-Grillet rivela i suoi limiti; in TRANSIZIONE 5-6/86 bimestrale L'ECONOMIA DEGLI STATI UNITI: RAGIONI E LIMITI DI UN SUCCESSO / Rudiger Dornbusch, Macroeconomia e occupazione I Michael J. Piore, Contro la tesi sulla flessibilità del mercato del lavoro I Commeniarii di Salvatore Biasco e Michele Salvati/ Massimo Ricottilli, Investimenti e produttività negli Stati Uniti I Paolo Pettenati, Occupazione e inflazione nei paesi industriali I Michele Bruni e Franco B. Franciosi, Occupazione e disoccupazione negli Stati Uniti e in Italia I Gabriele Pastrello, Il- <<miraco{od»ei servizi negli Stati Uniti I Repliche di Rudiger Dombusch e Michael J. Pio re Redazione: Via San Vitale 13, 40125 Bologna,Tel. (051) 231377/275449 zio centrale in una trilogia intitolata Éclogues - di estratti dal discorso, in cui l'io è messo in gioco attraverso un sistema di citazioni, al punto che l'io stesso sembra presentarsi come una citazione. mio. Il fatto è che molti miei libri sono fatti con altri, Denise Camus, Denis du Pare - una folla, un io in erranza. fondo, il suo rifiuto della psicologia, che lo porta ad una sorta di visibilità asettica, dà i suoi risultati più convincenti laddove risponde ad una motivazione psicologica, a una sorta di allegoria indiretta. Per esempio nella Gelosia, la pura visibilità, l'indugio sui dettagli rispondono ad una concentrazione maniacale che è tipica della gelosia, ma che funziona meno in altri romanzi dove manca questa tensione emotiva. Quindi direi che la nostra ammirazione per Robbemento. Allora, rifiutando la connessione spazio-temporale della trama, avevo composto nell'Arte dellafuga sequenze in cui valevano associazioni fantastiche-intuitive, che risultavano a volte indecifrabili al lettore. Oggi, fingo di accettare dei compromessi; in realtà cerco assolutamente di eluderli, cioè sono convinto che in un romanzo non devono sussistere compromessi narrativi, non devono sussistere parti di raccordo strutturale in cui l'autore debba rinunciare alla tensione espressiva, alla scoperta e all'invenzione di nuovi modi, per informare il lettore su determinati eventi. Non ho cioè abbandonato l'idea che avevo allora, che il romanzo non deve cedere ai luoghi comuni. E allora che cosa deve fare? Deve, ogni volta che si prospetta l'occasione di nessi apparentemente convenzionali, in realtà eluderli e reinventarli, allo stesso modo che deve riscoprire il valore e il senso di ogni frase. Per questo è stato importante per me, non solo la lettura di Daumal, ma soprattutto l'orizzonte delle sue idee. Daumal dice: un senso ad ogni frase, ad ogni parola un senso. Cioè il narratore non può, come dire, indulgere a passi che servono da esplicazione, da commento, da informazione. Ogni frase deve avere la sua tensione, la sua validità, la sua autonomia. Le frasi collegate tra di loro costituiscono la pagina, ma non può essere accettata la resa alla convenzione narrativa. I n questo senso, il mio atteggiamento non è cambiato; certo è cambiato il modo in cui risolvo o cerco di risolvere questo problema. Allora lo affrontavo in modi radicali, attraverso sequenze fantastiche, in cui i nessi erano a volte difficilmente percepibili. Per questo anche lettori molto intelligenti, molto penetranti sono rimasti a volte sconcertati e disorientati. Ora cerco una connessione che è in realtà apparente, sotto la quale cerco invece nessi sotterranei, segreti, che di volta in volta scopro lavorando sul testo. Se faccio un confronto tra il trattamento del dialogo di allora e quello che poi ho attuato in opere successive quali Il giocatore invisibile, Il raggio d'ombra, noto che i dialoghi dell'Arte della fuga erano dialoghi per così dire ellittici, allusivi, in cui c'era un tono parlato, al servizio però di una tematica sfuglibro. Qui, invece, non ho alcun probleina. Amo il libro, nella sua materialità, nella partita di tennis che si istituisce tra due pagine, una di fronte all'altra, separate dal bianco centrale. E poi il libro è una affermazione dell'io, nonostante tutto; solo la letteratura permette di essere e di non essere nello stesso tempo. E anche di non essere più. per uno studio materialistico delìa letteratura Traduzione in compendio del/'intervento al Colloquio a cura della redazione italiana. Certi compromessi Giuseppe Pontiggia V orrei soffermarmi brevemente sull'Arte della fuga, romanzo che è uscito nel '68 e che ho scritto tra il '61 e il '67. Vorrei stabilire un raffronto tra la condizione in cui scrivevo allora e quella in cui scrivo oggi, per scoprire se ci sono analogie o divergenze, che riguardano evidentemente non solo il percorso mio personale, ma anche l'idea del romanzo che allora perseguivo non solamente io ma gli , amici con. i .quali avevo lavorato nella redazione. de il verri e con i quali ero- in contatto, sia diretto, sia·ideale: Per entrare subito in un dettaglio concreto, il primo capitolo dell'4rte della fuga doveva riassumersi in una parola sola: no. Poi ho cambiato idea e penso. di aver fatto bene, l'ho soppresso. è uscito il fascicolo doppio n. 5 - 6 con saggi e interventi tra gli altri - di Sanguineti, Ferretti, Masiel!o, La Penna, Luperini; un poemetto di Leonetti, un inedito di Vittorini. La Rivista è quadrimestrale, si riceve per abbonamento o si acquista nelle• migliori Librerie o presso ... tlliÌj MILELLA Editore Lecce C.P. 160 • Grillet, a distanza di tempo, si è , ridimensionata, per lo meno nel mio caso personale. Ma.valeva, diciamo, il suo rifiuto verso i com- .promessi narrativi. Se considero la situazione attuale in cui opero e mi .chiedo se ora io li accetto o no, direi che la risposta è sempre no. Solamente è cambiato l'atteggiagente, allegorica, spesse volte, tra . virgolette, metafisica. Rileggendoli, mi sono convinto che avevano un aspetto debole, cioè indulgeva-. . no talora a un intellettualismo un po' astratto. Non era quello che mi proponevo, ma era quello che di fatto risultava. Allora ho cercato e cerco tuttora dialoghi di intonazione molto parlata, apparentemente quotidiani, ma che in qualche modo coinvolgano esperienze parallele molto più complesse. Le battute, che hanno un significato preciso in rapporto ad un contesto emotivo, ad una situazione, vorrei avessero anche il potere di coinvolgere direttamente e soprattutto indirettamente altre' esperienze, altri mondi. In questo modo il dialogo acquista, o si propone -diacquistare, dilatazioni o amplificazioni che lo arricchiscono e oltrepassano l'immediatezza della scena. . In quegli anni, nei confronti della parola esisteva una condizione di disagio e di incertezza che non si è superata, e giustamente. Allora se ne davano spiegazioni sociologiche, di stretta osservanza, come dire, ideologica e teorica. Oggi l'atteggiamento ha acquistato connotazioni e sfumature più complesse, ma sostanzialmente la parola e il linguaggio sono sempre un soggetto malato che dobbiamo in qualche modo recupere. Kraus diceva: il linguaggio è una prostituta a cui dobbiamo restituire la verginità. Oggi il problema è ulteriormente aggravato dagli abusi e dalle distorsioni dei mezzi di informazione, dal dilagare dei gerghi, dalla bana-' lizzazione continua del linguaggio. Una fiducia difficile nel linguaggio l'ho recuperata attraverso lo studio dei classici, attraverso l'analisi di quanto un classico può ottenere con la massima economia espressiva; un lavoro sulle parole, un lavoro sui nessi sintattici, un lavoro sulla concisione. Al tempo stesso ho visto con un altro occhio problemi che negli anni '60 giudicavo in un'altra prospettiva. Faccio un esempio: Hillmann considera le parole come eredi di una potenza visionaria, capace di inquietare e sconvolgere, e ritiene che l'insistere sugli aspetti formali del linguaggio sia anche un modo per non affrontarle di nuovo in tutta la loro potenzialità espressiva, perché questo comporterebbe anche il coraggio di affrontare nuovamente temi che ci riguardano troppo· da vicino. lo non so fino a che punto questa teoria, questa interpretazione sia fondata, però mi ha incuriosito, mi ha interessato come un contributo, un apporto nuovo a un problema che in quegli anni eravamo abituati ad affrontare nei termini della linguistica strutturale e della sociologia. lfultimo punto riguarda l'attesa nei confronti del testo; attesa mia personale, e attesa che anche, in qualche modo, proietto sul lettore. Direi che l'atteggiamento più serio di fronte allo scrivere non sia quello di dire che si scrive per sé, nè di dire che si scrive per gli altri: li trovo sempre atteggiamenti inadeguati di fronte alla complessità del problema. Si scrive per quel sé che è diventato gli altri. Per quel sè che è diventato una sorta di proiezione in un vaglio critico, che poi è quello che decide della validità di quello che scriviamo. Scrivendo l'Arte della fuga avevo una specie di attesa mistica per quello che scrivevo. Rifiutavo, in un certo modo, tutto quello che sapevo, e pensavo che il testo dovesse superare ogni dato di partenza. Quest'idea la conservo ancora og- • gi:·p~nso che il fascino della narra- •zione, l'aspetto più importante sul piano speculativo sia di rivelare quello che l'autore stesso non sape- ""'t00 ' ,va di sapere; una sorta di viaggio, • ~ di cui si conosce il punto di parten- ~ za, ma non la meta, e la meta risul- ;g_ ta sempre un arricchimento, una ~ • scoperta, una sorpresa, rispetto al S punto di partenza. ~ . Trovo che sia anche l'esperienza ~ più importante che può fare il Jet- ~ ..,
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