me ne intendo, non mi chiedete pareri, perché, tu non ci crederai, ma io non capisco assolutamente niente di poesia». Era sempre molto cortese nel drib!Jlare l'ostacolo, però aveva sempre insistito nel dite questo. Comunque io pensavo: «Qua non ce la facciamo, qua non ce la facciamo». M a ad un certo punto penso che nella carriera di ogni poeta venga il momento in cui si scioglie o si recidé quel «nodo» di cui parla Bonagiunta nel Purgatorio; penso che ogni poeta abbia il suo stil novo, cioè un momento di scoperta di un suo proprio linguaggio. Ecco, alla scoperta di questo linguaggio, non so se il mio linguaggio, pervenni dopo questa descritta catena di fallimenti e proprio al centro dell'elaborazione di quella che sarebbe stata La vita in versi. Mi capitò una volta, nel 1958, di fare delle poesie molto differenti da quelle che facevo di solito. Ce n'era una di una serie, un frammento di pochi versi, che diceva: «Avevi una gonna rossa/ Dove ti porterà?/ Non spero che tu possa/ Restare come sei nella diversa/ Vita in cui torni senza le tue care/ Menzogne/ Mi ripeto che non è/ Amore incontro alla.fortuna avversa/ Immaginare te». Allora la novità che sentivo per me, ciò.che·mi piacéva e che senti- . vo più mio, era quella rima, del resto molto povera, tra diversa e av- • versa e poi l'uso di una locuzione così trita e così antica, quasi otto- ·centesca, come fortuna avversa e ,•un enjambement locutivo come quel. Amore incontro alla fortuna avversa. Ad un certo punto inconsciamente avevo obbedito a una mia sotterranea vocazione «ottocentesca» e, nello stesso tempo, avevo capito di dover cercare la poesia attraverso quello che vivevo, attraverso i materiali apparentemente meno poetici. Il cosiddetto poetico non nutre infatti la poesia: uno che voglia ingrassare (come diceva il Leopardi) non è che debba mangiare soltanto grassi; uno che voglia fare poesia non è detto che debba leggere soltanto poesie. Certe letture anche extraletterarie diventano come provocazione di un mondo «altro». Nello stesso modo un certo impoetico della vita quotidiana, un certo impoetico di impegno politico -che stava affiorando in me in quegli anni, in quei tardi anni Cinquanta, si ricollegava a un riçordo dell'impoetico che era alle origini della mia formazione, della mia cultura, e del mio ceto. E allora mi dissi: «Parliamo di queste cose che eravamo costretti ad imparare, l'educazione cattolica, la dottrina mandata a memoria, il catechismo illustrato ... ». E scrissi una nuova sequenza di poesie che si ispiravano a quelle remote esperienze e altre ancora a certi temi di immediato impegno politico e sociale. Per cui sono stato rappresentato, nei luoghi comuni di certi critici, come un poeta «neocrepuscolare», che discorre blandamente della quotidianità, e che sarebbe così, per quasi trent'anni, rimasto immobile su se stesso. Invece io credo di essere diventato un poeta (a modo mio) romantico e popolare. [... ] Intanto, verso l'ottobre 1963, il mio primo libro riassuntivo era pronto. Passeggiavo una sera per via Caracciolo, dove io abito, con un amico qui di Roma, qui presen- . te, e che voglio nominare perché è l'amico più antico che ho e si chiama Mario Picchi- dico: «Mario, io; voglio dare un titolo a questo libro e non so che titolo dare», e lui: «Ma che cosa vuoi fare, questo è un libro che parla della vita, delle cose che succedono ... ». lo rispondo: «Beh, la "vita" è una parola, non si può intitolare La vita, poi c'è già La vita di un uomo di Ungaretti ... ». E allora in tanta incertezza io pensai improvvisamente a un libro, che ai tempj del mio liceo aveva avuto molta fortuna ed era la famosa Chimica in versi di Alberto Cavaliere. Allora dissi: «Mah, si potrebbe chiamare La vita in versi». E così fu. Un percorso di ricerca nella scrittura: dai concetti alle immagini Aldo G. Gargani S e si tenta di illuminare il percorso restrospettivo di un'esperienza di scrittura, si incontrano inevitabilmente modelli di cultura, vocabolari di idee e di espressioni predisposti per dare forma alle tendenze, agli interessi, agli orientamenti della comunità sintattica alla quale si appartiene. Ma questo è soltanto l'inizio della vicenda che si vuole delineare, perché prima o dopo comincia a profilarsi una seconda storia nel corso della quale la ricostruzione dovrà precipitare sul terreno smosso, attraversato da lacune e salti, degli eventi nudi che sono stati le ragioni del disordine il quale, sotto la pressione del caso e delle contingenze, tracciava quel destino che si potrebbe chiamare il principio della narrazione. Il principio della narrazione si anticipa rispetto al proprio compimento: e in qùesto senso esso traccia un appuntamento vago eh~ è come un destino sotto il quale si svolge la condotta di un'esistenza. Si potrebbe dire che uno scrittore è colui che non ha mai voluto nulla, che non ha cercato una visione possessiva delle cose e delle persone, in quanto scene influenti di senso e di verità lo hanno predisposto all'ascolto anziché all'affermazione, alla percezione e all'interrogazione anziché all'appropriazione e al possesso. La narrazione è sorta· anche da una peculiare incapacità rispetto alla comprensione ordinaria, che segna l'impossibilità o la difficoltà intrinseca di appartenere alla comunità sintattica degli uomini, al regime della maggioranza che dirige e regola i criteri del significato e del vero, secondo regole di formazione e trasformazione delle espressioni di un vocabolario. In questo scarto dalla comunità. sintattica, che impiega parole prive di immagini e di voci, in questo scarto sorge il principio della narrazione come reazione precisamente originata nell'incomprensione, nell'accettazione della propria cecità e anche nel riconoscimento che la comprensione esibita dalla comunità sintattica degli uomini è, in realtà, una forma di cecità rispetto alla propria incomprensione. Per quanto attiene al mio lavoro, potrei dire che esso si è precisamente estrinsecato in un lungo percorso che, muovendo dalle categorie della filosofia e della scienza e assumendole nella letteralità del loro statuto sintattico, ha proceduto da un certo punto in poi non più a svilupparle e ad accumularle una dopo l'altra nella direzione lineare di una complessità crescente, ma a rivisitarle incessantemente fino a riviverle in un nuovo ordine del diseorso e della scrittura. E il nuovo clima di scrittura si è formato come uno stato. di trasgressione nel quale le conforma-. zioni concettuali del vocabolario filosofico, anziché uncinare _pezzidi realtà, i referenti, come era alla loro origine, si sono accese come personaggi di una vicissitudine umana e di UQ destino, come volontà·esse stesse di dire e di fare, protagonisti di una narrazione. Nel corso di questo processo è come se pezzi, frammenti, intere facciate si staccassero dagli immensi quadroni delle teorie forti per andare a connettersi entro relazioni narrative di sènso che spostano le simmetrie originarie per andare a trovarsi dalla parte di ciò che è inverosimile e improbabile. Per_quanto concerne il mio lavoro, tra filosofia e narrazione, si pone in misura crescente il problema di assestare un nuovo livello di scrittura, nel quale i concetti siano carichi di immagini, di scene influenti, di voci. Storia dei miei romanzi Jean Thibaudeau V or_r~itraccia~e la storia dei m1e1romanzi. . Il mio primo ( Une Cérémonie royale, Éditions de Minuit, 1960)ha potuto passare come esercizio, nell'ambito di una scuola, parodia del Nouveau Roman. Oggi vi vedo la geografia più esatta, anche se molto fuori luogo, condensata, incosciente, enigmatic_a di quello che chiamerò (in modo metaforico) .ilmio paese natale (e mi sarebbe bastato l'aver scritto solo questo libro). Vengono poi i tre volumi di Ouverture (pubblicati da Seuil tra il '66 e il '74), cominciati nel 1959, cho ho messo a punto quando ho dovuto collaborare all'opera collettiva di Tel Quel intitolata Théorie d'ensemble (1968). «Il romanzo come autobiografia»: Michel Foucault aveva visto molto bene, e di questa seconda esperienza (1966) di romanzo - questa volta in prima persona - disse che era come il contrario della prima. In ogni caso non era legata a parole d'ordine, a ortodossie di gruppo. Anzi, quando ho mostrato le prime pagine mi aspettavo una reazione di scandalo e che I LO STORICO E L~IMPRESA I · Il 28 aprile scorso, nella sede centrale milanese di Montedison - in occàsione dell'uscita del volume Energia e Sviluppo. L'industria elettrica italiana e la Società Edison, per la collana Storica Einaudi, Montedison ha indetto un incontro su «Lo Storico e l'Impresa». La relazione è stata tenuta da Alfred D. Chandler Jr., docente di Business History presso l'Università Harvard. L'incontro è sta- . to presentato da Mario Schimberni, Presidente della Montedison, dal Senatore Leo Valiani e da Giulio Sapelli, Direttore dell'Associazione di Storia e Studi sull'Impresa. La presenza di Alfred D. Chandler Jr., per Montedison Progetto Cultura, sottolinea la rilevanza e il senso storico della realizzazione e della pubblicazione del primo lavoro di ricerca compiuto sugli archivi Montedisém, alla riscoperta delle radici Edison del Gruppo. Con Strategia e Struttura Alfred D. Chandler Jr. si impose all'attenzione come studioso «rivoluzionario» della storia contemporanea del capitalismo e delle sue strutture imprenditoriali. Si deve a lui l'interpretazione - oggi considerata classica-dello sviluppo della struttura organizzativa come risultato dello sviluppo della «strategia», attraverso l'alternarsi di fasi storiche di espansione delle risorse e di razionalizzazione del loro uso. E si deve a lui l'aver capitalizzato e svolto creativamente i contributi di J.K. Galbraith, E.S. Mason, W.J. Baumol, E.T. Penrose e d'altri, nella sua opera La Mano Visibile, il cui tema - sono parole dello stesso Chandler - è che «la moderna business enterprise ha preso il posto di meccanismi di mercato nel coordinamento delle attività dell'economia e nell'allocazione delle sue risorse. In molti settori dell'economia la mano · visibile del management ha sostituito ciò cui Adam Smith si riferiva col concetto di mano invisibile delle forze di mercato»: Alfred D. Chandler Jr. è attualmente «Isidor Straus ·Professorof Business History» all'Università Harvard, della quale è membro fin dal 1970. Prima di passare alla Harvard Business School, Chandler aveva insegnato al Mit e al Department of History della John Hopkins University. Oggi Chandler sta lavorando alla stesura definitiva di una importante comparazione internazionale sulle modalità dello sviluppo della grande impresa negli Stati Uniti, in Inghilterra, Germania, Francia e Giappone, con l'obiettivo di pervenire a una teoria generale dello sviluppo dei fattori manageriali che stanno alla base del successo della dimensione grande rispetto a quella piccola nello sviluppo dei fattori produttivi. Einaudi e Montedison presentano Energia e Sviluppo. L'industria elettrica italiana e la Società Edison. ILvolume è il frutto dell'incontro tra Lavolontà culturale dell'Azienda e il prezioso Lavorodi ricerca e di studio dell'Assi, Associazione di Storia e Studi sull'Impresa. Nucleo centrale di Energia e Sviluppo è il saggio di Claudio Pavese sulla Edison. Intorno ad esso ruotano i lavori di Bruno Bezza sugli investimenti elettrici italiani in Argentina, di Luciano Segreto e di Peter Hertner sui capitali svizzeri e tedeschi impiegati nel settore elettrico in Italia, e di Renato Giannetti sulle caratteristiche tecnologichr e produttive dei diversi sistemi elettrici regionali. E la storia di «una sfida continua scrive Giulio Sapelli nell'introduzione al volume, di una continua ricerca che si dipana tra vincoli ferrei ma anche tra opportunità e pratiche sociali e culturali. Le élites industriali possono lasciar cadere e non intendere simili opportunità, oppure coglierle e perseguirle, assolvendo così appieno al proprio ruolo imprenditoriale». '. ••I• ,, LOSTUDIODEL PASSATOÈ LAFONTE DELPRESENTE «È difficile immaginare una trasformazione e uno sviluppo delle capacità di governo e di controllo, senza una nuova stagione intellettuale». Così il testo di presentazione al volume Energia e Sviluppo. E continua: «Tanto più in un momento in cui i grandi mutamenti in atto pongono in evidenza la necessità di concepire l'attività imprenditoriale nel contesto di sist~mi integrati, aperti nei confronti dell'ambiente esterno». E chiaro il riferimento alla filosofia manageriale che sta guidando oggi il Gruppo Montedison, che dà l'impronta di sfida continua alle frontiere dell'innovazione. «La disciplina storica ha riservato di recente, anche nel nostro Paese, una attenzione nuova verso il sistema di interrelazioni che esiste tra le varie forme della direzione e della proprietà d'impresa e lo sviluppo più generale della società». Ma questo spiega pienamente il serio e approfondito interesse della Montedison per la propria storia: «Lo studio della esperienza·storica dell'impresa può essere una delle condizioni atte a consentire alla·direzione manageriale di meglio definire la propria missione, di eonoscere e di simulare i comportamenti del·,passato nella,prospettiva futura, di accrescere la propria capacità di governo nelle relazioni tra impresa e ambiente. Questo, tanto più oggi, quando nel nostro Paese tende a diminuire quella identificazione tra proprietà e controllo che per lungo tempo ha contrassegnato i caratteri costitutivi del nostro sistema industriale». L'apertura degli arçhivi Montedison agli studiosi è dunque più che un segnale. E la viva testimonianza di un'impresa fortemente innovatrice che, lungi dal mettere una pietra sul passato, ne vuole cogliere ammaestramenti e linee generative.
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