pio, ove fosse amnistiato il reato di insurrezione armata contro i poteri dello stato (uno dei reati più «inafferrabili» del nostro sistema penale e più spregiudicatamente usato nelle istruttorie). Senza contare che sarebbe possibile un ampliamento anche a reati più gravi, ove commessi in epoca più remota. Nulla vieta infatti che, in un'amnistia, a gravità diverse dei reati corrispondano termini diversi. • La cosa più probabile è invece che l'amnistia abbia relativamente scarsi effetti pratici per i politici-sovversivi (che i benefici maggiori potranno trarre da un congruo indulto, con commutazione degli ergastoli ecc.) e sui detenuti «comuni», mentre abbia come destinatari principali proprio quei politici-politici di cui tutti dicono di vergognarsi, ma che tutti annoverano, in qualche misura, nelle proprie file. Quali politici L'amnistia politica partecipa della nobiltà dell'idea di delitto politico, cioè di quell'idea affermatasi nell'Europa dell'inizio del secolo scorso ed in base alla quale la natura politica di certi delitti era causa di un trattamento di miglior favore per i suoi autori (esclusione della pena di morte, trattamento carcerario differenziato_in meglio, amnistia e divieto di estradizione). Ma, come è noto, quell'idea era nobile quanto ristretta, finendo con il contenere quasi esclusivamente i delitti «tra politici» (all'interno di assetti statali instabli, come erano quelli europei del sec. XIX). D'altra parte le concezioni del delitto politico riflettono naturalmente le dimensioni obiettive di ciò che è «politico» in una certa società. Per esempio nell'Italia postunitaria i votanti erano (al 1865) poco più di 250.000 su 25 milioni di abitanti per un numero di 493 eletti, mentre nel 1882 i votanti erano circa 1.200.000su 28milioni di abitanti per 508 parlamentari. A modo . suo anche questa è un'amnistia politica, nel· $enso di • amnistia .«per· i politici». Sembra •. un gioco di parole. Ma su di esso è necessario fare q:ualche'considera-· zione~ • Si spiega anche così l'esclusione -radicale degli anarchici (considera- . ti '«comuni malfattori») e, fino ad «Il princ1p10 rappresentato da • Creonte è quello della supremazia della legge dello stato sui legami di sangue, della supremazia dell'ossequio all'autorità sul rispetto della legge naturale di umanità. Antigone si rifiuta di violare le leggi del sangue e della solidarietà di tutti gli esseri umani in omaggio al sistema autoritario e gerarchico... Se accettiamo la teoria delle forme matriarcali di società e di religione, : non sembra esservi alcun dubbio che Edipo, Emone e Antigone siano i rappresentanti degli antichi principi matriarcali, di eguaglianza e di democrazia, in contrasto con Creonte, che rappresenta la dominazione patriarcale e l'obbedienza». (Erich Fromm, «Il mito di Edipo» nel Linguaggio dimenticato, pp. 211-18, Bompiant1977) Storia di un'intervista (in tre tempi) La prima volta che c'incontriamo, Rossana Rossanda mi accoglie con un «Detesto le interviste» francamente un po' raggelante - le domando alloraperché abbia accettato questa per Alfabeta sulla rivista Antigone che compie un anno in questi giorni. Risponde: «Per non essere scortese». Dopo varie interruzioni al telefono, nel suo ministudio riscaldatissimo al manifesto (confessa di essere molto freddo lo-• sa) decidiamo di rivederci insieme al direttore della rivista, Luigi Manconi, perché a lei sembra più· corretto così («Non voglio carismi, non voglio essere considerata un "mostricino sacro"»). Al secon-- do appuntamento però ·1eimanca. Con Manconi (sociologo già con~ direttore di Ombre rosse) non ci sono problemi. Parla a ruota libe-· ra con grande precisione di linguaggio, e competenza, su argomenti proposti' da me e si sofferma su altri che gli stanno più a cuore. A un'ultima domanda sugli anni '70: «Questà, mi dice, l'hai pensata per lei e devi farla proprio a lei». Riesco a rintracciare, dopo una settimana, Rossanda di ritorno da Milano (dove ha presentato il libro di Magnaghi, Un'idea di libertà, edito dalla cooperativa del Manifesto) e questa volta l'incontro non è deludente. Scopro una personalità affabile, forse... tenera - come s'intuiva. Trascrivo qui di seguito, separatamente, il testo dei due colloqui. (N.B.: l'intervista è datata: gennaio '86). Gianna Sarra Colloquio con Luigi Manconi Sarra. Di una rivista come Antigone·- un anno di vita, cinque numeri pubblicati, collaboratori prestigiosi e un impegno costante, sempre_più stringente, di mediazione fra istituzione e società - si sentiva il bisogno; tant'è che all'uscita la si è salutata come un serio strumento di partecipazione e di lavoro. Tuttavia, a detta di alcuni «intellettuali negligenti», secondo Cacciari .(«.Fossero solo anni di piombo», nel n. 5) può apparire «terribilmente démodé»: come mai? Manconi. «Démodé» rispetto alle mode correnti - da questo punto di vista la ritengo una virtù, si tratta di evitare che diventi un fatto di snobismo. Esiste in Italia un senso comune fortemente radicato a sinistra: quella che io chiamo la sinistra dalle maniere spicce, del guardare al sodo, dell'andare alla sostanza: quella che privilegia gli obiettivi di riduzione della complessità, drammaticità e faticosità ,delle.cose. Qui il il garantismo non è popolare per molte ragion1; questa sinistra dalle maniere spicce ha ritenuto che il «disincanto» equivalesse al cinismo,_il prammatismo all'arte d'arrangiarsi, e che non ci fosse più spazio per i principi. Il garantismo invece si affida a dei _ . principi e al primato delle regole: in questo, forse, Antigone è da considerare veramente una rivista «démodé». Noi pensiamo che bisogna assumersi tutta la tragicità delle scelte, e questo è proprio il contrario delle maniere spicce - così come Antigone è il contrario di una lettura semplificata della realtà, È vero, siamo.dotati di scarso appeal per il buon senso comune maggioritario a sinistra, che ha introiettato la cultura dell'emergenza. Sarra. Ma ne daresti una definizione rapida? un certo punto, dei socialisti. La storia successivadel delitto politico e, in estrema sintesi, quella del suo progressivo allargamento concettuale (pur con eccezioni), fino a comprendervi anche reati «sociali» e qualsiasi reato purché determinato da motivi politici, ma, nello stesso tempo, è la storia della progressiva perdita delle connotazioni di favore che gli erano proprie, delle quali sono residuate soltanto la prassi delle amnistie e il divieto di estradizione (previsto esplicitamente dalla costituzione del '48). Resta comunque il fatto che la politicità del resto è ancora oggi causa di maggior durezza della repressione nelle fasi alte di conflittualità, ma, a pericolo passato, di un trattamento di miglior favore, consistente appunto nella concessione di amnistie e nel divieto di estradizione. Tanto che quando si vogliono escludere questi aspetti di favore la tecnica è tuttora quella della declassificazione dei reati politici in reati comuni: tecnica seguita nella convenzione europea antiterrorismo del 1977, di recente ratificata dall'Italia sulla base di una legge (n. 719 del 1985) di assai dubbia Manconi. La «cultura dell'emergenza» è quella che sacrifica le regole del diritto e i principi del garantismo in nome della necessità di sconfiggere il nemico: il che equivale all'assolutizzazione della figura del nemico e all'accettazione di una condizione bellica come ordinaria, quotidiana, «normale». Esempio: noi non sottovalutiamo la mafia ma riteniamo che nemmeno la lotta contro un nemico ripugnante possa giustificare il ricorso a procedure che lesionano il diritto. Per questa nostra posizione ci sono stati mossi rimproveri da qualche parte; del resto, siamo nati come rivista che ha per sottotitolo «bimestrale di critica dell'emergenza»: la ragione è che, a nostro avviso, l'emergenza, nata come insieme provvisorio e limitato di misure eccezionali, si è trasformata col tempo in un sistema culturale e ideologico e in una vera e propria cultura di governo. Sarra. Alla base di questa impostazione di lavoro mi pare ci sia un atteggiamento che tu stesso chiarisci bene ne~'editoriale al quinto numero, e cioè la vostra posizione nei confronti della violenza, sentitapiù come messaggio in codice da decifrare che come mostro inquietante e alieno da tenere a bada. Di ogni violenza, inclusa quella del terrorismo: è esatto? Manconi. Certo, anche perché, in caso contrario, non si capirebbero le.. sue future manifestazioni: sempre, nella violenza, c'è questa componente di domanda inascoltata che adotta forme estreme di _çomunicazione. Sarra. A questo punto mi domando: chi sono i vostri lettori? Manconi. È difficile dirlo. A sinistra abbiamo riscontri anche imprevisti: a livello intellettuale, quasi istituzionale, da parte di organismi, gruppi, circoli legati al Pci e al Psi. D'altra parte, escluderei che il nostro sia un pubblico di reduci; antireducistico è per esempio il modo in cui parliamo degli anni '70, in una rivista che, quando è nata, veniva interpretata come «ricostituzionalità, per contrasto con gli artt. 10 e 26 della costituzione. Resta a questo punto da chiedersi a quali politici si riferisca l'amnistia dell'86 (la prima dopo quella del 1970). Vi sarebbe la necessità, prospettata dallo stesso presidente della Repubblica, di fare i conti con le forme estese e spesso informali della violenza politica dei movimenti degli anni '70. Sarebbe necessario uno sforzo definitorio di grande importanza, così come è sempre accaduto nei dibattiti parlamentari: nel '68 e nel '70 le formule in discussione furono «reato politico», «anche con finalità politica», «commesso a causa ed in occasione di agitazioni sindacali o studentesche», «manifestazioni culturali», «per la pace», «sociali», «manifestazioni attinenti a problemi del lavoro, dell'occupazione, della casa e della sicurezza sociale» ecc. Nel 1986come vengono definiti i movimenti degli anni '70? Potrebbe essere ripresa la formula «delit-. to politico» (posto che molti lo so-_ no «oggettivamente»). _Un'altra • via è quella di rovesciare la «finalità di terrorismo» prevista dalle legvista dei carcerati». Oggi, Antigone si presenta come una rivista che parla anche del carcere, ma in quanto luogo di precipitazione chimica di contraddizioni sociali che riguardano l'intera società. Sarra. In Antigone torna ricorrente, fra le righe ma non tanto_,u,n tema che viene trattato sotto vari titoli: «Invece del carcere» (Paola Ferrero.e Claudio Novara nel n.2), «Oltre il carcere» (Sergio ·Givone nel n. 5). e anche in certe analisi da parte dei detenuti (cfr. «Un altro tempo», sempre nel quinto numero, dove è detto testualmente: «Ìl carcere, in quanto tale, non è riformabile, ma può solo marciare verso la sua estinzione»). Inoltre si fa molta attenzione, specie da parte di autori credenti, mi pare, alla cÒnfusione tra valori di <,espiazione» - d'origine religiosa - con quelli di «pena», che sono invece di carattere sociale: facile confusione in una società di fondo "cattolica" che non ha ancora imparato a seguire il precetto evangelico - dico io - di «darea Cesarequel che è di Cesare»:ma nelle conseguenze è l'equivoco nesso che si viene a crearefra «espiazione» e «rieducazione», dimostrato anche in certe gustose analisi comparative di linguaggio fra carcere e chiostro (cfr. «Monaci e detenuti» di Filippo Gentiloni nel n. 2), ma andiamo davvero verso un'eliminazione del carcere? Manconi. Per quanto riguarda la riflessione sulle sanzioni e sulle pene, in Italia vengono scambiate per utopia le più ordinarie soluzioni riformistiche: in tutti gli altri paesi europei la detenzione è solo una delle molte forme di sanzioni, mentre in Italia è minimo il numero di pene alternative al carcere. Sarra. Un altro dei «temi di fondo» portati avanti ne~'arco di questi primi cinque numeri, è il discorso sul pentitismo, nel suo aspetto giuridico, ma anche in un senso più vasto, come di diffuso, generico rinnegamento o rinuncia a certi ideali - non a caso i cabaret come il Bagaglino a Roma possono intitolare « Pentimental» il loro utlimo gi dell'emergenza, facendola diventare una formula di amnistia. Ma sarebbe necessario discutere se ciò sia sufficiente e giusto per «definire» gli incriminati degli anni '70. Di fronte alle difficoltà di uno sviluppo non repressivo della nozione di delitto politico e, soprattutto, di fronte alle difficoltà che l?establishment ha nel «pensare» le reali ampie dimensioni della politica negli anni '70, sembra invee farsi strada l'ipotesi vista sopra, che i destinatari privilegiati del provvedimento di amnistia siano non i politici sovversivi, ma gli amministratori corrotti. Sembra cioè di ritornare (ma questa volta con sapore di farsa) a quella nozione antica del delitto «tra politici». Il risultato paradossale nel 1986 sembra proprio questo: un'amnistia politica «senza politica». Questo scritto.riprende dati e con- . siderazioni del volume ,di A. Santosuosso e F. Cola9, Politiçi e amnistia.Tecniche di rinuncia alla pe- . na Nr i-reati politici dell'Unità ad. oggi, di in:im-inentepubblicazione presso l'editore Bertani d~Verona. sforzo di umorismo; e Cacciari, _ nel dibattito «Anni settanta: un decennio da buttare?», sull'ultimo numero, pure adopera in questo senso l'aggettivo: «La sinistra "non ha idea" degli anni '70 e non può che subirne la prima interpretazione forte. Non ha nessuna idea • "in positivo" .da opporre a quella .ricostr.uzione·."pentitistica" » - fra virgolette::lnsomma, siamo diventati una società·ch'esi pente?. . . _.. • • • I - .Manconi. «Una .sodetà che si pente» è una società che non sa leggere la propria storia, che liquida la dolorosità e complessità del proprio passato, senza alcuna capacità di elaborarlo - elaborare il lutto che le morti (in senso proprio e figurato) comportano. «Pentirsi» è la-soluzionepiù semplice. Non solo si ritiene, così, di saldare il conto, ma si pensa che molte responsabilità, che sbno indubitabilmente collettive, possano essere attribuite a un capro espiatorio, i terroristi. Sarra. Ora ti rivolgo una domanda che mi è stata suggerita da uno dei redattori del manifesto: chiedigli, mi ha detto, che fine ha fatto il movimento dei dissociati. Mancon·i. È finito male. Nessun movimento sopravvive al rifiuto - opposto dal sistema politico - di tradurre le sue richieste in termini giuridico-istituzionali. Sarra. Alcune questioni che voi sollevate, non marginali, che mi sono sembrate interessanti, sono ad esempio la questione del perdono/condanna (vedi l'intervista di Nadia Fusini a Carole 'Tarantelli nel n. 3/4) e le analisi semantiche di vario genere come quella di Massi- ""'" mo Canevacci («Sssst... parla -~ Gianni il Bello» sempre nel n. 3/4) ~ o l'intervista a Carmelo Samonà ~ 'O («Il linguaggio del recluso», nel n. ~ 2) che sfiora anche di passaggio le 1 ~ affinità delle due condizioni del -~ malato di mente e del sequestrato. r Alla fine di un anno di lavoro così ~ intenso, il vostro primo bilancio com'è? i.:: ~ ..C) Manconi. Direi più che soddisfa- ~ cente. I risultatisono ottimi. Anco- ~
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