Alfabeta - anno VIII - n. 84 - maggio 1986

te ... conosciuto, a diventare capace di indicare questo o quel concetto. Conoscere il testo, leggerlo, rileggerlo con accanimento, è prima condizione per arrivare al controllo. Infatti il controllo di cui parliamo non può essere disgiunto dalla dilatazione, dalla maggior estensione della lettura. Il momento in cui cominciamo a vedere un avvicinamento, in cui vediamo, facciamo .un'analogia, è lo stesso in cui verifichiamo, interrogando la totalità g~l testo, la possibilità che questo ravvicinamento, che questa analogia non solamente vengano alla luce - ciò che in quel momento stanno proprio facendo - ma che si integrino da quel momento al testo senza disintegrarlo. Sapersi fermare (e quando fermarsi e perché fermarsi) comporta inoltre la questione della delimitazione, dell'identità del testo, e quella della lettura come scambio tra l'immagine delleforze del testo letto e l'immagine delle forze del testo lettore. In un tipo di lettura come la nostra che consiste nell'intervenire nel testo per confrontarlo con se stesso, il soggetto della lettura non può designare una persona reale in una situazione di lettura libera, facendo le associazioni che vuole senza preoccuparsi d'altro che del proprio piacere nella lettura. Il soggetto della nostra lettura si stacca, si separa dalla persona reale prendendo l'aspetto di un sistema di scritti, di saperi, di costrizioni che al momento dello scatto iniziale entra in contatto con il sistema di scritti, di saperi.di costrizioni dell'opera da decifrare, come sa- .rebbe il caso per due testi che s'incontrassero. Si pone allora un problema parzialmente insolubile: quello della moltiplicazione del testo letto da parte di chi legge, del testo letto da parte di tutto ciò che è leggibile, moltiplicazione che può variare con il lettore considerato e con il testo letto, così come la resistenza alla moltiplicazione può essere variabile da -parte dell'uno o dell'altro. Inseguimentie forme Antonio Porta tutti i suoi possibili livelli espressi- ~i, l'ho sempre azzerata, dimenticata, così come accade per un tema musicale.. Ricominciare sempre daccapo può essere una definizione di «ricerca» in letteratura. Ossessionato da un tema o sedotto da una forma (i due possibili punti di partenza di un'opera) sono partito in caccia di una soluzione dimenticando tutte le precedenti, mie e di altri, sbarrando così la strada al ritorno di una possibile tradizione. Una volta scelti gli «exempla» di ciascuna direzione di ricerca mi sono posto il problema di come e che cosa spiegare o acclarare circa quel periodo di lavoro. Ho scartato l'idea di una auto-interpretazione. Non credo che un poeta possa interpretare se stesso. L'opera viene consegnata ai lettori e agisce autonomamente rispetto alla persona che l'ha prodotta (e la persona, almeno nel mio caso, tende a dimenticarsene). Un poeta non deve lavorare per se stesso ma per l'opera: produce il filo di seta del linguaggio poetico ma il tessuto che se ne ricava è indossato da altri. Se un poeta volesse interpretare se stesso potrebbe farlo scrivendo un'altra poesia: e mi pare sia quello che accade, sia pure dopo avere inabissato l'opera precedente. -: . .,, __ .,... - ./.,;~'"::.:,.-J~"s---· - .:-- -="' _: . ~~- "" ,JL ~:,,,, ¼)- />-L-- ,h, ,di,. - =·e:,. - <è_ ~- ; to» può sembrare eccessiva (e a me pare tale). Nel primo caso la ricerca sarà piuttosto uno sviluppo, nel secondo la storia della forma sarà molto più tormentata e perfino dolorosa, segnata dalla difficoltà di scendere fino in fondo al pozzo (ammesso che il pozzo non sia vuoto). Nel primo caso la ricerca è come un viaggio, una navigazione felice, una circumnavigazione, per dir meglio,· nella certezza dello strumento intuito fin dall'inizio. Nel secondo caso la ricerca è aprirsi un passaggio nella foresta tropicale, infinita, una sorta di quel travaillersans raisonner che esprime bene la testardaggine e l'idiozia dell'operazione poetica, la follia della ricerca medesima. Torno ancora a Freud, a un episodio dei suoi rapporti con Charcot, che gli ebbe a dire durante una lezione alla Salpetrière: «La thèorie c' est bon, mais ça n' empeche pas d'exister»; fulminante sottolineatura delle forze dell'esistenza rispetto alle cornici dell'epistemologia. Vale anche per il fare poesia: i passaggi, le mutazioni dell'esistente costringono il linguaggio a rimodellarsi in continuazione, onda che segnala le oscillazioni del suono. Di qui l'impossibilità di una sosta e l'impraticabilità della tradìH o scelto di parlare dell'ultimo libro, che è scritto sopra tutti gli altri miei di poesia, con una sezione di inediti sottolineati come tappa fondamentale del mio lavoro: non un-suggelloo il bacio dell'addio .m&un raggiunto . . ~-_:__~~~~~:;:.:::,,;,.-;~.\;,· r ·.~-~:;J~-;__~- -- . • ·-· .:.-·~ Cv~fr.\:'s EXT~XTl, ·w(:,/iv..Jt r. '>'T~l'A.'-.., ~9'vÌ<!!].s NocTVR},fS ~!Ul\O}'l, v"f <';YVX }mx T(.!',EB~~ ,<J~,R.J', «punto di vista» in grado, forse, di dare unità all'affresco, se qualcuno Ho cercato allora di ricostruire ne sentisse il bisogno. Oppure: a l'officina propria di ogni direzione dimostrazione che un'unità è im-\ di inseguimento delle forme: dalpossibile. Gli inediti di Essenze se~~ l'individuazione dell'enigma che gnano comunque un passaggio del1 \ mi ha spinto a scrivere fino al metola mia ricerca dentro le possibilità\, do di lavoro seguito, accorgendomi del linguaggio poetico immerso;;\ ben presto che temi attigui,o stati nella lingua di tutti. , , ,\, 'i d'animo apparentemente simili Non è il caso qui di ritornare ~iìl-: '•.\_bannoprodotto opere diverse. Che le paginette iniziali di Nel farefioe~"·.; (cosa è successo e perché? sia, sono lì a disposizione, mi pare · Entriamo per questa via nel cuoinvece opportuno e, immagino, re della ricerca letteraria, nel punutile, esporre ilmetodo seguito ~r __to nevralgico del corpo a corpo del questo lavoro. Occorreva, prima èli ".' poeta col linguaggio. Se si parte da tutto, scegliere alcune poesie e sa- un'intuizione di forma l'avvéntura criticarne altre. Mi ero rifiutato in di quella poesia trova il suo .contepassato di autoantologizzarmi e nuto nello sviluppo di una forma avevo trovato un editore consen- iniziale, e si capisce dopo che berziente che ha pubblicato tutte le saglio si stava mirando,,Un po' comie poesie, in ordine cronologico, me quel cavaliere Itzig, citato da dal 1958 al 1975. (Quanto ho da Freud in una lettera a Fliess, che dirvi, Milano, 1977). Ma in questo alla domanda: «Itzig, dove vai?», caso non v'era altra scelta: il nume- risponde: «Non chiederlo a me, ro delle pagine era prestabilito dal- . chiedilo al cavallo!». la collana. Il primo problema che Se si parte da un'ossessione o da mi sono posto è stato il criterio di qualcosa che si sente esistere e peselezione, come è ovvio. Ho deciso sare prima dellaforma e si tenta di rapidamente di dare •almeno un individuarlo trovando una forma a esempio di tutti i modi e le forme questo grumo prenatale, allora la esplorati nell'arco di 28 anni, facili- storia di ,quella forma sarà un protato dal fatto che ho sempre rico- gressivo svelamento dell'enigma, minciato daccapo. Una volta un progressivo disegnarne i contoresplorata una forma e tentata in ni, i profili, se la parola «svelamenId., Il faro di Alessandria, incisione, 1572 zione, a meno di non fraintenderla volontariamente, cioè di deformarla nel nostro unico possibile momento di passaggio, per restituirla a una forma altra di cui può essere solo una premessa, una base di partenza. Parliamodi uno dei «nostri»libri Normand de Bellefeuille, Jean-Yves Collette ... ' ratteremo di cinque problemi a proposito del testoltestualizzazione - cinque tra tanti: in ciascun caso esporremo due vie, due punti di vista, ma una solà idea: mettere in questione il processo standardizzato di riproduzione della letteratura e voler capire ciò che potrebbe essere una proposta di «avvenire». La «mescolanza dei generi», la «velocità», la «sintassi», la «retorica>>e i «rapporti con l'inconscio»: punti di discussione che non rifiutano con sdegno e in modo frettoloso quel desiderio che mai finisce di rivedere i sistemi e di cambiarli. Anzi, meglio ancora, immaginare che ogni sistema non sia che un anti-sistema rivelando così i rapporti con il reale, variabili, interconnessi, arricchenti, perfettibili contro l'istituzione (contro l'accademismo), e avversando a priori l'abitudine di respingere tutto ciò che rischia di offuscare la nostra immagine dell'universo. Un simile lavoro è un'invettiva contro la normale pigrizia a lutto per la morte dei generi, che inevitabilmente lotta per rimetterli a nuovo . 1. La «mescolanzadei generi» a. Il «frammento» potrebbe ben essere il parametro formale più facilmente riconoscibile del testo. C'è nella nozione di frammento (resto, scoppio, ma anche citazione e brano) una violenza - Blanchot l'ha mostrata a proposito del «poema frammentato» in René Char - che ben va con l'irriverenza del testo, così come una coscienza critica di quella ormai inconcepibile «unità» che è il Libro. Non è il testo, precisamente, l'accettazione lucida di quella «impossibilità» e la deviazione più sicura per farsi un'idea - sempre nella «perdita» - di quella latente integrità allegorica dell'opera? b. Ciò che sta al posto del «testo» (benché qui il vocabolo non sia operativo) è il frammento, responsabile in qualche modo della confu- ·--\ . ':"i sione dei generi. Lontano dal sentirmi obbligato al cambiamento fine a se stesso, il mio punto di partenza è la «morte» dei generi e la descrizione di rapporti con il reale. Da questo punto di vista, la parcellazione (il frammento) diventa la forma privilegiata di una pratica che preferisco chiamare testualizzazione. Il testo sarebbe allora l'unico possibile di tutti i testi nella misura in cui costituisce il «voler esprimere» rapporti con il reale e come conseguenza ne è il loro simulacro. La . tesiualizzazione è apertura, il mostrare un progetto, e in questo mostrarlo è fluidità. 2. Il «ritmo» a. Senza dubbio alcuni direbbero: il testo va in fretta: dato che la parola, molto più che il sintagma, ne sembra essere l'elemento dominante, addirittura sovrano. C'è dunque nel testo, a volte l'impressione di un ammucchiarsi/di un allinearsi, di un accumularsi, a volte la presenza del «bianco» (la sua «carica», il suo «rendimento») che oggettiva la parola, ma, in un caso come nell'altro, c'è sempre la convinzione di una rapidità di tiro: nell'abbondanza (proliferazione, mitraglia... ) o nell'annullamento (condensazione, palla perduta ... ) il testofa da bersaglio. Attenzione: il testo si muove. b. La testualizzazione è il risultato di multipli allentamenti, un amalgama di scioltezza e di energia in uno slancio pulsionale: l'effetto di incidente che ne deriva presuppone la velocità. Ma il disorientamento della scrittura (l'inci'dente nella pulsione), la crisi di coscienza in presenza di un inconscio molecolare, non è estranea, paradossalmente, all'osmosi tra le velocità del pensiero e la sua propria. 3. La «sintassi» a. Non c'è sintassi propria al testo che non sia in funzione della volontà di simulacro: fuori posto, non più forzata, fa un lavoro sotterraneo di distruzione per rappresentare, dare un volto al simulacro, così com'è. Ortodossa, istituzionale, esercita invece in modo formale una costrizione - paradossale! - dando alla luce semanticamente un avvenimento simulacro che sarà a sua volta costrittore. La sintassi del testo è profondamente equivoca: a volte con il suo «troppo» (metasintassi) che desintattizza, altre volte con il suo «troppo poco» (la sintassi che va da sé, naturale) che soprassintattizza. Per farla breve, la nozione di sintassi non si addice al testo perché dire «sintassi» è già entrare nella teoria tradizionale, e non è invece il testo, in primo luogo, una critica del segno? La sintassi non è in qualche modo il deficit del testo? b. Non può esserci sintassi della testualizzazione! Quest'affermazione, forse rudimentale, ha il merito di conservare alla testualizzazione il suo carattere sperimentale, dove non sono ritrovabili che collocazioni... L'operazione sintattica singolare delle testualizzazioni si designa per il suo modo stesso di essere chiamata, indipendentemente dalla sua marginalità nell'istituzione del linguaggio. In altri termini, la testualizzazione non sta in un qualsiasi rapporto d'opposizione all'istituzione, ma nella creazione di una struttura mai determinata e che nemmeno lo deve essere, e che non può essere eretta a sistema perché relativa all'audacia - solo temporanea - dell'autore. Viene anche affermato che la testualizzazione, più che ogni altro rapporto con il reale, esige che si insista ad approfondire una scrittura parcellare... Perché la trasformazione ha più che altro a che vedere con1'atestualizzazione. 4. La ((retorica» , a,.J4esto è prosa, e prosa esatta. Il testo,piii che l'immagine pleonasticamente detta «poet_ica»,privilegia i luoghi di continuità di connivenza dove coincidono gli strutturatori formali (sia grafici e sog_ori che ritmici o sintattici) e semantici della sua scrittura. E perché non si confonda questa realtà· testuale con ciò che Meschonnic chiama «forma-senso» (procedimento propriamente poetico dove la forma è seQ.l>Oi)o, propongo di chiamarlo figura ( contemporaneamente forma, simulacro, rappresentazione, geometria, movimento e stile). b. La testualizzazione è l'ipocoscienza del testo in rapporto alla simulazione che ne è l'ipercoscienza. La scrittura del desiderio è il motivo conduttore del primo genere: ciò porta ad affermare che l'apertura è il dispositivo macronarrativo proprio alla testualizzazione. Per quanto concerne la simulazione, concepita come processo d'ipercoscienza e, idealmente, come scienza del desiderio, la figura appropriata è la divisione spazio-temporale. La testualizzazione può essere abbandono, così come può essere scelta. Rimanere nell'ipocoscienza assoluta costituisce un

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