Alfabeta - anno VIII - n. 84 - maggio 1986

la memoria gioca con l'oblio, e inversamente ... Occorre che vi sia un taglio perché il canto ci sia. Musica amnesica; canto veloce, danza, passaggio di danzatrici sullo sfondo. Viaggio, visione, sogno, transe ... altri paesi, altri gesti, ritaglio fatto dal caso, e montaggio a cura dell'artigiano applicato... L'atto di scrittura oggi, per me Edoardo Sanguineti P otendo disporre, come da programma, di una dimensione di discorso duplice, «in termini critici» e «in termini teorici personali», cercherò di situarmi in una zona intermedia, descrivendo un aspetto del mio lavoro che sia in grado di delineare una riconoscibile famiglia di scriventi. Mi trovo naturalmente iscritto,. .come tutti, per anagrafe, tra coloro i quali, come tutti i. moderni, secondo il paradigma goethiano, sono coatti a scrivere le proprie opere complete, programmaticamente consci, entro l'orizzonte necessitante di una Weltliteratur. Posto questo, devo tuttavia identificarmi in quel tipo umano che aspira egualmente alla costruzione di un'opera centrale, entro quelle opere complete, e a risolvere così sé stesso, comunque, essenzialmentè, in un libro. All'interno di un genere così vulgato, e volgare, vengo poi a collocarmi tra coloro che non aspirano alla costruzione del proprio testo dominante attraverso l'esecuzione di un piano strutturalmente precostituito, ma anzi tra coloro che vanno coltivando un itinerario di scrittura che si definisce soltanto, progressivamente, nel corso dei lavori, inventandosi mete e tappe a cui costringersi, da nomade, nel tempo. Entro questo genere, finalmente, appartengo a quella varietà di scriventi che si correggono non per riscrittura, mediante interventi retrospettivi, più o meno massicci, sul già scritto e già edito, esibendo il proprio travaglio di pentiti, e di perfezionisti, ma, quasi all'opposto, operano per correzioni di rotta tematiche, linguistiche, ideologiche, costruttive, e dunque attraverso una supplementare produzione di testi, per aggiustamenti ulteriori, con metodo additivo. Ogni nuovo atto di scrittura, ovviamente, si ripercuote, anche se minimo microtesto, sopra ilmacrotesto pregresso, e ne accresce e diminuisce, definisce e storpia, moltiplica e deturpa i significati acquisiti. Intanto, proprio perché riapre l'apparente totalità della scrittura già cristallizzata in superficie, viene a sospendersi continuamente sopra un nuovo vuoto di scrittura, che attende di essere ancora colmato, più tardi, con un illusionistico effetto complessivo, inevitabilmente, da perpetuuni mobile. L'idea di un'opera inprogress, in breve, aspira a essere condotta, in questo modo, alle sue ultime conseguenze. Per me, il fascino discreto della scrittura riposa, totalmente, in un simile progetto paradossale. Questa specie di lunga frase primaria, primariamente imperfetta, questa sorta di assiale testo ininterrotto, e perpetuamente interrotto, frantumato e ricompattato, è costituito, nel mio caso, dalla serie delle mie scritture in versi, segmenti di un corpo poematico che aspira a un mitico risultato unitario, continuamente trasgredito e ricompattato, franto e restaurato, contraddetto e riaggiustato. L'opera, dunque, in prima istanza, è la storia stessa del proprio farsi. Per questo, quelle scritture che, pur essendo in versi, sono digressive nei confronti di un simile itinerario dominante, sono state da me confinate e emarginate all'insegna di un Fuori catalogo. E a distanza, si capisce, ruotano poi, come altrettanti pianeti, le altre scritture, in questa prospettiva fatalmente periferiche, le romanzesche e le teatrali, le saggistiche e le traduttive, - le altre, genericamente. Quanto all'opera in sé, se esibisce intitolazioni nette per le diverse serie compositive, cronologicamente ordinate, e per le serie successivamente edite, isolate o a gruppi,· non possiede un •titolo complessivo. Questo si presenta, come è fatale, ai miei occhi, come un desiderabile gesto conclusivo, come un auspicabile sigillo terminale. Mi limiterò allora a indicare adesso le insegne, rispettivamente, della serie inaugurale e di quella provvisoriamente estrema. Perché la prima, Laborintus, manifestava subito il carattere erratico, e erraticamente carcerario, della ricerca, attraverso la figura emblematica di uno smarrimento entro la fabbrica del mondo, nel recinto delle parole, tra i muri del reale, in un tempo storicamente concreto. E l'ultima, che sto fabbricando, reca in fronte, con il nome di Rebus, un rinvio immediato, per intanto, a una dimensione ludica, nel giuoco aperto con ~)~~n L ··.•::i.L.f :.J. . ~~1-1·· Il paesaggio del libro Jean-Paul Goux V orrei parlare dell'ordine e del disordine - del libro e della sintassi - e vorrei parlarne in termini di paesaggio. Non il paesaggio del panorama, offerto in blocco allo spettatore che può dominarlo con lo sguardo: paesaggio limitato, anche se vasto, paesaggio sempre già inquadrato come quelli che si vedono nel vano di una finestra, o sullo sfondo dei ritratti. Un libro assomiglia invece piuttosto al paesaggio che il viaggiatore che si sposta a piedi scopre· lentamente. E se lo scrittore è diverso dal lettore, è anche perché cominciando un libro intraprende un viaggio senza essere sicuro di arrivare a destinazione e tra le altre cose anche perché è probabile che non sappia assolutamente dove va - mentre il lettore, davanti all'evidenza materiale del libro compiuto è sicuro che il viaggio ha una fine. Vorrei perciò che il lettore diventasse quel camminatore paziente che è lo scrittore, e che provasse di continuo quell'impressione di spazio in lento spostamento, di un territorio in movimento. Se la frase va in avanti, non è però rettilinea e lineare come l'asse dello sguardo me occorrono un distacco sufficiente e una giusta collocazione per scoprire il senso del paesaggio anamorfotico, senza dubbio è anche necessario lasciare che si eserciti il lavoro della memoria per raggiungere il punto da cui l'opera diventa leggibile. Baltrusaitis cita un passaggio di un sermone di Bossuet che vorrei riprendere, dopo aver operato su di esso alcune manipolazioni irrispettose. È una definizione esemplare della frase-paesaggio e del libro anamorfotico, dei rapporti dell'ordine e del disordine: «Quando considero in me stesso la disposizione delle cose umane confusa, disuguale, disordinata, spesso la·paragono a certe costruzioni in mostra nei giardini dei collezionisti di stranezze, come un gioco di prospettiva. A prima vista paiono solo oggetti informi e un miscuglio confuso di elementi che sembra essere . più la prova di un apprendista, o il gioco di un bambino, che l'opera di una mano esperta. Ma appena li guardate da una certa angolatura,. ricomponendosi in certo modo tut- . te le forme disorganizzate nella vostra visuale, la confusione si dissol- • ve e vedete apparire un tempio o un castello là dove prima non c'era nessuna parvenza di costruzione umana. Questa è, signori, un'im6 Id., Il mausoleo di Alicarnasso, incisione, 1572 i materiali verbali e con i campi referenziali, e soprattutto alla forma dell'enigma. Questa viene suggerita al lettore in ossequio a un'idea di scrittura come proposta di un testo, di un tessuto verbale, che si è invitati a decriptare, a interpretare, a sciogliere, in un'analisi che tuttavia, potenzialmente, rimane interminabile. Ma nel titolo, insieme, si deposita un rinvio, etimologicamente, alle cose stesse, alle res, confessando l'aspirazione utopica a un disegno segnico in cui, a realizzare il discorso, intervengano, al limite, gli oggetti, per sé. L'utopia dice che l'autore, che pure è ll che si fabbrica i suoi rebus inventariando e montando le sue res, può pervenire a un punto in cui siano le cose a prendere la parola, deponendo il medium del soggetto, occultato e rivelato, al tempo stesso, dalla maschera elementare dell'io demarcatore. È questa utopia che volevo segnalarvi, sommariamente. E sono convinto che sia questa che interviene, come regolatrice inconscia a guidare, in sostanza, ~gni nostro atto di scrittura, oggi. nella sua propria prospettiva. Mi piacciono le frasi-paesaggio, che hanno sia superficie che volume e che movendosi spostano territori interi, senza altre rotture che gli sguardi di chi li attraversa. Non so se questa immagine di una frase-paesaggio sia abbastanza eloquente. Forse sarebbe meglio sostituirla con un'altra immagine, che mi è stata suggerita qui dalle sculture di Tjeerd Alkema, anamorfosi a tre dimensioni. L'immagine, di un libro come paesaggio_ anamorfotico mi piace perché permette, credo, di far sentire le due esigenze contraddittorie che stanno alla base di questo o quello dei miei libri, per esempio Lamentations des Ténèbres. Da un lato imporre l'ordine del libro alla confusione del mondo. E contemporaneamente dall'altro lato rendere sensibile questa confusione del mondo tramite la confusione apparente del libro. Il lettore, come lo scrittore, cammina in un paesaggio di cui gli sfuggono sia le forme che l'organizzazione fino al momento in cui si trova nel punto che rende leggibile e coerente il paesaggio che ha attraversato. E forse questo punto è esterno all'opera: così_comagine abbastanza naturale del mondo, della sua confusione apparente e della sua giustezza nascosta che possiamo notare solo guardandolo da un certo punto che la letteratura ci rivela. Il lettore inconsiderato alza la voce appena non c'è ordine: tra sé dice: "non ci sono più romanzieri", oppure "questo scrittore abbandona il lettore ai capricci dell'arbitrario e del caos". Ma fermatevi, infelici, e non precipitatevi a giudicare una cosa tanto importante. Forse scoprirete che ciò che sembra confusione è un'arte nascosta; e se siete disposti a aspettare per incontrare il punto da dove bisogna leggere le cose, tutte queste aberrazioni andranno a posto, e vedrete l'ordine di un libro in cui voi pensate ci sia solo disordine. Sì, sì, questo libro ha il suo punto, non dubitate! E lo scrittore stesso che ci ha fatto conoscere la confusione ci porterà al punto dal quale contempleremo l'ordine che il libro impone al mondo». L a frase-paesaggio è mobile, duttile, arti~olata in modo complesso. E come dire che l'attività della sintassi vi è prepon- ·derante. Le frasi che mi piacciono molto raramente appartengono ai miei immediati contemporanei. Forse perché non li leggo abbastanza, o perché l'oggetto del loro amore è completamente diverso dal mio. Ma quando leggo in un autore recente: «Il mio più grande desiderio sarebbe che si aprisse questo romanzo con la stessa ingenuità che io aprivo, tempo addietro, i Dix petits nègres:.. », deve trattarsi di qualcuno che ha fantasticato sulle aplologie della lingua classica. per cui paradossalmente l'economia dell'ellissi si.fa carico del lavoro della sintassi attirando l'attenzione su questa: «Riconduce l'anima peccatrice sulle stesse vie da cui si era allontanata». E se frasi similimi interessano, è perché vi si può scorgere quella che mi sembra essere nna legge essenziale, evidente anche se mai chiaramente espressa, relativa ai rapporti fra sintassi e significazione. La formula bruta sarebbe: più si lega, più si confonde. Oppure: il più sapiente disordine è un effetto dell'ordine. Contrariamente alle .apparenze, . bisogna riconoscere che i meccanismi di relazione si sviluppano sempre a scapito della trasparenza: la limpidità di una frase e la ricchezza dei suoi concatenamenti sono inversamente proporzionali, e ciò che deve assicurare il regno.dell'or-, dine - la sintassi - non prende mai il potere senza minacciare la-chiarezza che doveva favorire; così che la si può paragonare a tutto tranne che a uno scheletro di cui l'invisibile armatura costituirebbe la bellezza. Dall'istante in cui si sviluppano anche i più semplici legami occorre che il lettore più che alle significanze si attacchi al principio della loro organizzazione: dal momento in cui perde il filo del senso e affonda nella pasta della sintassi, diventa un camminatore che si aggira tra forme la cui organizzazione lo incuriosisce perché non gli appare di colpo.[ ... ) Vorrei usare il termine distassia per definire quel procedimento di rigetto e separazione attraverso cui la sintassi mette in moto il lettore nella frase-paesaggio, introduce esplicitamente il tempo nella lettura e sollecita la memoria del lettore in modo che il disorganizzato si organizzi. Lo stesso principio fa scrivere a Proust «la sempre meno esistente Melle Simonet» oppure «una vecchia dall'aspetto - appena distinta nell'ombra - di strega», fa scrivere a Gracq: «Gli ricordò tramite quale decisiva e adesso sinistra coincidenza ... ». Questi sono esempi elementari. Forse si può meglio vedere e capire come la sintassi riesca a confondere la linearità della frase e con ciò il suo ordine apparente, a darle il suo movimento e la sua cadenza proprio quando la tratta non come un gomitolo da dipanare ma come una pasta che tira, divide e lavora fino a darle una forma irriconoscibile, caotica come lo sono all'inizio gli elementi sconnessi del paesaggio anamorfotico, come forse si può meglio vedere in questo passaggio tratto da Au Chateau d'Argo/: «Eppure di qualunque anormale urgenza testimoniasse la linea dritta di questo scavo dove, come se, su di un pianeta abitato da geometri pazzi, si fosse considerata tra le iniziali necessità quella di dipingere per prima cosa i meridiani sul suolo, il carattere di pura direzione sembrava senza la minima idea di fine essere sufficiente a se stesso nella sua convincente affermazione, Albert e Heide, girandosi, constatarono seppur con un certo disagio che il viale, a una certa distanza da loro, invaso gradualmente dalla stravagante vegetazione del sottobosco, abbandonava a poco a poco la sua maestosa geometria e si perdeva come intrico nel mare uniforme degli alberi».

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