Versoun «idioma», e poetiche-lampo Andrea Zanzotto L a poesia, fatta di parole come strumenti della quotidianità e insieme come concrezioni di tracce sociostoriche, è, in primo luogo, «dentro» una certa lingua, ne è anzi la vera anima idiomatica. Essa rinvia non solo all'estrema particolarità di «quella» lingua nel suo essere etimologicamente «idioma», in quanto appartenente ad un solo gruppo etnico. Essa ne esprime (squisitamente) la singolarità, l'idion, chiamato ad emergervi come unicità e quindi ad esservi «prescelto», «eletto». La lingua ha in sé l'infinito e necessario auto-accarezzamento e l'inconchigliamento narc1s1st1co del gruppo (etnico e non solo): ciò che si ritrova poi come barriera, impossibilità di traduzione senza residuo. Tale accarezzamento narcisistico che è nella idea stessa di idioma, porta, ancora necessariamente, all'immaginare nella lingua, in ogni lingua, da una parte paradisi di tipo artistico, dall'altra allucinazioni di tipo edenico opentecostale (in fin dei conti reversibili), che sono ugualmente lontani dalla brutalità fattuale di «questa» lingua, evento-convenzione insormontabile, irremovibile, in cui precipita ogni espressione in ogni lin- • gua «storica», e massimamente l'-espressione che è chiamata ·poesia. Il «tentativo di esperienza poetica» è dunque connesso ad un «rischio • lingua», in cui non solo è presente la necessità di sentire le «frequenze», le «vocazioni»intime di ,questa lingua, le correnti e·i vortici che la abitano, ma anche la consapevolezza che tutte queste forze nell'atto stesso in cui costituiscono una lingua la «chiudono», la dànno come campo di esclusione, di frammentazione, entro lo schema babelico. Per questo esiste in-ognipoeta la nostalgia verso una lingua che sia universale, non «idiomatica», anche se pur sempre «materna-propria». Così, il destino della «poesia» in tale quadro di tensioni è quello di manifestarsi come un mero significante che regge un immenso gioco di.significanti e scava per contraccolpo incontenibili nostalgie di significato. È come un flatus vocis entro il quale però viene a istituirsi un campo di senso talmente esteso da diventare «perturbante», in senso freudiano. Uno che dica «poesia» partendo dall'idea di heimlich, di casalingo, di stare a casa sua, nella propria conchiglia, si trova poi a ridosso i 273 sotto zero dello spazio cosmico, dell'estraneità assoluta. E ciò avviene anche per aver spinto ciò che è di un microcosmo, anche come lingua, a funzioni· impossibili di macrocosmo: ma diversamente non poteva accadere. A questo punto sarà ancora più difficile ritornare al problema di un sapere sul «farsi» della poesia in quanto tentativo ed esperienza arrivata a dar luogo ad un testo, ad· un oggetto. Quanto agli autori, che si «sono aiutati» in «quel» momento a scrivere «quel» testo, forniranno la serie tutta smagliata degli indizi, delle «poetiche-lampe»: ma forse ogni punto del poema o rinvia a queste o ne è costituito. Il poeta darà indizi dell'idioma del suo fare, mentre·sta • anche spingendo verso il limite della sua idiomaticità-particolarità l'idioma storico che sta usando ..Sereni ha saputo dire ne Gl'immediati dintorni cose fondamentali a questo proposito, ed ha poi trovato per la sua ultima opera un titolo tra i più divinati che si potessero dare, penso, a un libro di versi: Stella variabile. È un'espressione che in un certo senso lo ricongiunge a Char nei termini in cui ne ha parlato spesso Agosti. E sappiamo del contrasto e dall'affinità feconda che ci fu tra Char e Sereni. ' • • E veramente tutta una poetica con le sue regole che in questo sintagma, Stella Variabile, si esprime. La stella variabile è ui1'ar-• dua metafora che si rapporta· al continuo oscillare delle poetiche improbabili dei poeti e insieme alla violenza irreparabile di un ~pp~ri:. re, per quanto variamente ostacolato, di queste poetiche. E sarebbe interessante, in questa chiave,· prendere in considerazione le numerose e tanto diversificate categorie delle stelle variabili: forse ne scaturirebbe tutta una fenomeno- . logia dei fatti poetici catalogabili secondo tali tipi di stelle ... In questa intuizione di Sereni la poesia dunque può apparire come un polo fisso di stabilità «pulsante», stabile appunto nel.suo includere una logica poetica (connessa ad ogni logica) eppure «inattendibile» nel continuo mutare della sua luminosità. Inattendibile come fatto di conoscenza che non sia all'interno della poesia, anzi del lavoro del singolo autore, e che non lascia intravedere alcuno statuto per alcun tipo di invenzione che non si confonda in ultima analisi con quel ~\_" , • ••o! •• ·::::_:_;:-...:•'-'-'..Ì. ·- fonte/ del mio battesimo prenderò il cappello.» Perché questa immensa impresa? per tornare addirittura a fare, non si dica da agnello dentro l'ovile, ma da cellula embrionale dentro un utero: ·quel verso «il bello ovile ov'io dormi' agnello» («bello» rima ·con «agnello»] è perfetta- •mente •chiuso ·in· una circolarità', mentre la presenza delle·«i» suona come un vagito. Sembra·quasi-che • la presenza di D10 che tra·poco ap- • • parirà, termine ultimo, ·al centro della Mistica Rosa, venga anticipa~• ta dal minimo e pur ·specula·re trionfo dell'io del poeta. • S e-si-vuolepoi riportarsi ad un nostro poeta moderno, Saba, · •troviamo: un'altra singolare esemplificazione·.-MarioLavàgetto • ha scritto un bellissimo·saggiointitolato La gallina di Saba che attraverso la psicanalisi dà ragione del perché Saba senta la gallina in modo quasi mitico, tanto che egli paragona la propria moglie in primo luogo ad una bianca pollastra (metafora che suona come deliziosamente stonata-dodecafonica, su sfondi e iridi d'ironia, insieme alle altre che la seguono). Egli ci richiama Chagall, che dipinge angeli che sono polli, pur re- ~VL za,um~.• ;L<a'J' .--=----,, .._ questa affettività verso gli animali, sentiti quasi parenti, era poi disturbata da un dramma: perché e come mai venissero ammazzati (soprattutto i bambini lo sentivano). Ebbene, Saba ricava proprio da quel tipo di ciangottio che fanno, o facevano le galline nei pollai domestici al calar delle tenebre, non solo l'idea di una sua poetica, ma addirittura di una «Pleiade», della comunità della poesia. «Quando la sera assonna/ le gallinelle/ mettono voci che ricordan quelle/ dolcissime onde a volte dei tuoi mali/ ti quereli e non sai/ che la tua voce ha la soave e triste/ musica dei pollai». Ma dél resto le Pleiadi non sono dette anche «Gallinelle» •(ed entra in scena anche Pascoli)? Citerei, per concludere questi approssimativi accenni, un ultimo e raro esempio, tratto da Leopardi. Il tremendo inno sacro cantato dai morti nello studio del dottor Ruysch-forse la più bella delle poesie leopardiane - fa da preludio al dialogo, intriso di umorismo nero, tra lo scienziato e le mummie. La domanda totale, quella da cui nasce ogni poesia nel suo porsi come punto prospettico entro la vita, punto di pronunciabilità nella e della vita stessa, è posta in termini tragici entro un alone comico. Nes- -- ... -:::, ~ ,>_,..:_'"._;~-->::.<,_ ...\ -· ~~cc-~ -·~ ~~~~c7:-f Martin Heen;,sch!!rcke P~ilippe Galle, Le piramidi d'çgittp, incis~one, 1572. «testo in atto». Ritorna il vecchio· detto che la poesia parla sempre di sé anche quando crede di pariare d'altro - eppure essa non può esistere che per parlarsi parlando all'altro e di altro, di tutto. Alcuni casi di queste «poetiche» nascoste, microtesti, indicazioni di lettura, micropoetiche e indizi idiomatici dei processi d'invenzione, vere cellule esemplari e s~mi_- nali in cui si evidenziano i perché di • un'intera opera. Si può pensare ad esempio a Dante. Ciò che, nel suo Paradiso, lo porta verso il Dio, al centro del Cosmo, del Macrocosmo, sembra che contemporanèamente lo rimpicciolisca, lo renda pusillo, infante, lo spinga sempre più entro il suo microcosmo personale, per cui a un certo punto tutta una sua poetica nascosta;non detta, ma ·che forse era la macchina reale per cui si è generato tutto il • •monstrum, sembra condensarsi nei nove versi 'che sono l'inizio del XXV del Paradiso: «Semai continga che·'l poema sacro/ al quale ha posto mano e cielo e terra,/ sì che m'ha fatto.per molti anni macro,/ vinca la crudeltà che fuor mi serra/ del bello. ovile ov'io dormi' agnello,/ nimico ai lupi che li danno guerra,/ con altra voce ornai, con altro vello/ ritornerò poeta ed in sul ' . . . . . • ·standò angeli, in circolazione per i cieli,~ tante àltr~ forme di animail • più o meno· mitici. Tutto ciò si ri~ connette <J quella familiarità e insieme mitizzàzione- nei· confronti degli anima~iche oggi è quasi dovunque scomparsa, e che era.fonr <lamentale per la realizzazione di un ricco e ampio contatto ·con la realtà. Saba è arrivato in quel componimento a esprimere non solo la _propri~poetica, ~a vorrei dire la sua idea di «Pleiade poetica», cfoè la Pleiade come in fin dei conti la vedeva lui, da pover'uomo bastonato""incontinuazione, e vissuto in una certa epoca. Sotto il riome del : prot~go~ista (Odone) del'racconto La Gallina, Saba narra di una sua esperienza infantile: aveva uqa gallinella che amava particolarmente. E da tale esperienza il tema di quest'umilè ·volatile passa a tramare tutta la poesia di Saba-nelle sue più sottili metamorfosi. Mi piace ricordare che avevo anch'io (come mo!-· ·ti della nostra generazione che vedevano polli girare per il cortile e in cucina) una· gaUinetta personale cui mia nonna badava e che si chiamava «Schittabùria», bel nome, che rende l'idea dell'ovetto buttato fuori· con regolarità, come uno «schitto», ogni giorno. Cose dei tempi che furono. E suno dei due elemen.tielide o esclude l'altro. Anzi si tòccano in una certa zona. E, in due versi, affiora la poetica-lampo, o l'ars poetica, o la «dottrina interrogante» di Leopardi: «Che fummo?/ Che fu quel punto acerbo / che di vita ebbe nome?». Punto-acerbo-vita-nome. Entro questa serie di frammenti di sintagma è tutta l'opera di Leopardi. E non solo. È una forma di dot-. trina-non-dottrina più che· mai at-. tiva. S crivendo un libro che domanderà, tanto presuntuosamente, quanto con impellenza, di • ~ssere intitolato Idioma, 'riappari- .rà una traccia di quel punto e di quell'acerbità che sono propri della poesia, fatta tutta di poetiche puntiformi, e di chiusure su chiusure, intrecciate di aperture su aperture, in perpetuo annullamento vicendevole, mentre il <<nomevero»· resta all'opposto polo prospettico? «Idion» è il punto pericolosamente instabile in cui si riafferma anche una chiusura totale, quella «privatezza totale», che resta intrinseca comunque alla lingua-poesia, e che può (e deve) anche sbilanciarsi verso il lato per cui da «idion» si passa a «idiotes», il privato che necessariamente è anche deprivato, e che entra quindi nell' «idiozia». Là si nascondono tutte la sordità e i mutismi che, di lingua in lingua, e di poesia in poesia entro le singole lingue, ci assediano e ci occupano. Serie illimitate di handicap, che tuttavia ammiccano mugugnano gesticolano, secernono poetiche-lampo, e, infine, si spera, filtrano «acerbamente» verso i l}lassimi contatti e contagi, fuori della culla-tomba, del· gonfiore malato (desinenza in oma) che a forza di stento e impotenza, acquisisce una sua luminosità paradossa, pre-nome, rivolta al nome; torna il paragone con la chiusa ostilità del filamento elettrico, violando la quale il passaggio dell'energia genera una qualche luce. I tropismi Nathalie Sarraute (intervista) F auchereau. Spesso si ripete che tropismi è sinonimo di Nathalie Sarraute. Mi chiedo se non sia una visione semplificatrice. È vero che questo termine è molto legato al suo lavorofino dal- /' inizio. Credo sia nellaprefazione . di L'Ère du soupçon che, a proposito di questo termine, lei spiega come abbia sentito quel tipo di relazione già ·dall'infanzia. E nel libro Enfance mi è sembrato vedervi una speciale attenzione. Come • spiegare che qualcosa di-simile abbia potuto essere provato· già fin dall'infanzia? Sarraute; Più tardi, ripensandoci, mi sono detta che in fondo sentivo quelle cose già in modo abbastanza : forte- fin dall'infanzia. Evidentemente da bambina non ne ero cosdente. Però credevo di averlo pensato molto più tardi, scrivendo. Enf ance, e invece lei mi dice che l'avevo già scritto in quella prefazione. Per cui scrivendolo ho dovuto dirmi: ma di fatto sono sempre stata·sensibile a tutte queste specie di tropismi, fanno parte dell'universo,nt~lquale sono sempre,vissuJa. Questo termine, tropismo, era i'l meno peggio. Per il mio primo libro cercavo un titolo che potesse evocare bene o male tutte queste sensazioni indefinibili, e a qùel tempo tropismo era un termine diffuso. Pensai che si sarebbe potuto usare per definire tutti quei moti istintivi indipendenti dalla nostra voloi:ità, indotti da eccitazioni pro- ·vénienti dall'esterno. Questa parola è rimasta legata a tutto ciò che scrivo. Non mi lamento perché poi quando la si dimentica, come è capitato a diversi critici, si comincia a cercare nei miei lavori cose che non ho cercato di mettere. Si vorrebbe riuscire a vedere, per esempio, una descrizione di caratteri, un intreccio, un seguito di avvenimenti là dove io non avevo cercato di fare altro che rendere questi moti. In Enfance ho scelto solo ricordi nei quali questi moti.esistevano. Io ho ancora, per fare un esempio, ricordi molto precisi della campagna. I miei genitori andavano sempre nella Beauce, in una casa di contadini dove affittavano delle camere; noi prendevamo i pasti con i contadini. Avrò ·avuto allora forse dieci anni; J\ndavo in primavera con mia nonna per brevi vacanze a Pasqua, a Pentecoste. Era meraviglioso. Ho tentato di evocare tutto questo. Non riuscivo: sembravano tutte immagini di Épinal: la casa dei contadini, le anitre, i conigli, il posto del crescione. Tutto questo faceva sorgere in me, dal punto di vista letterario, un disappunto~ un senso d'impotenza... Ho dovuto smettere. Ma quando ho voluto far rivivere le mie vacanze nell'Isère, le immagini si sono animate; c'era là una specie di movimento di vita, che permetteva alla forma di muoversi. Ho dovuto così lasciar da parte alcuni ricordi ai quali tenevo. '·,.
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