Alfabeta - anno VIII - n. 84 - maggio 1986

e ome funzionano i «buoni-scuola» o vouchers scolastici? Lo Stato redistribuisce alle famiglie, sotto forma di buoni, l'equivalente di ciò che spende per finanziare la scuola; la redistribuzione può anche tener conto delle disparità di reddito per riequilibrare il «potere d'acquisto scolastico». Le famiglie sono libere di-scegliere qualsiasi istituto, pubblico o privato, che offre i servizi educativi migliori e più rispondenti alle esigenze di ogni allievo. La scuola è pagata con i buoni,. incassabili presso lo Stato, ed eventualmente con una integrazione in danaro pagata direttamente dalle famiglie. In teoria, ciò dovrebbe restituire all'utente scolastico un potere decisionale che oggi non ha; eliminata d'un colpo la pesante burocrazia statale, la competizione fra gli istituti dovrebbe comprimere i costi e migliorare progressivamente la qualità degli insegnanti, degli insegnamenti e delle strutture. Fin qui la teoria. Naturalmente, l'idea dei buoniscuola va contro una tradizione consolidata in tutti.i paesi occidentali. E contro molti dei principi che stanno alla base di tale tradizione. A chi si oppone a quest'idea tipicamente liberista non mancano gli argomenti di principio su cui fare leva. Ciò che manca sia ai sostenitori sia agli avversari è una precisa analisi di ciò che accade quando i principi si traducono in sistemi operanti. Alcuni presupposti che stanno alle spalle degli schieramenti sono assai discutibili. Chi sostiene gli attuali apparati d'istruzione pubblica sembra dare per scontato che le Il <<buoiiO~Scuola>> Index - Archivio Critico dell'Informazione scelte sui contenuti e i modi di insegnamento debbano essere stabilite dall'alto e che gli «utenti» debbano avere poteri limitati. I sostenitori dei vouchers partono invece dal presupposto che gli «utenti» (soprattutto i genitori) siano gli unici competenti a decidere: il problema è solo quello di instaurare un «mercato» che allarghi il massimo le possibilità di scelta dell'utente. «Circa trent'anni fa, Milton Friedman propose un sistema di buoni (vouchers) per la scuola. (... ) I buoni per l'istruzione oggi appaiono meno 'piccanti' rispetto alla privatizzazione delle poste, delle prigioni, dell'edilizia popolare e del demanio. Un sistema di vouchers per l'istruzione è un'idea ormai matura per la realizzazione». Così ha scritto Gary S. Becker, economista dell'università di Chicago, sul settimanale americano Business Week ( Give ali parents a say in choosing schools, 24 marzo 1986; l'articolo è tradotto da Mondo Economico del 7 aprile, con il titolo Liberi di scegliere). Il 10 marzo, il londinese Financial Times riferiva: «Norman Tebbitt, presidente del Partito conservatore, ha ieri affermato che il governo sarebbe disposto a esaminare nuovamente la possibilità di introdurre un sistema di buoni-scuola che dia ai genitori la possibilità di scegliere la scuola per i loro figli. "Io penso che ci sia davvero spazio per un programma di buoni-scuola, se riusciamo a realizzare quello giusto" ha dichiarato durante un'intervista televisiva» (Education vouchers to be reconsidered, Tebbitt indicates). Mondo Economico ha tradotto l'articolo del numero del 24 marzo con il titolo, un po' forzato, Buoni scuola: da noi si litiga, a Londra si sperimenta. Una vera e propria sperimentazione dei vouchers scolastici, in effetti, non è ancora iniziata in Gran Breta~na e non è neppure imminente. E vero, invece, che in quei giorni in Italia si litigava sul medesimo argomento. A lanciare il sasso in piccionaia era stato Claudio Martelli, vicesegretario del Psi, alla fine di febbraio, in un convegno dei giovani socialisti sulla scuola. «In linea di principio - aveva detto Martelli - l'idealè ._sare.bbe che lo Stato fornisse a ciascuno stu~" dente un buono-studio da spendere presso . l'istituzione scolastica prescelta. Questa sola ipotesi basta a cancellare la non laica pretesa di superiorità della scuola pubblica di Stato (... ) Se anziché il 90% di scuole pubbliche che non funzionano perché non sono adeguatamente finanziate avessimo solo il 50% di scuole pubbliche, ma ben amministrate ed effiçienti, e il 50% di scuole private, libere e confessionali, organi:z;zatecon larghe autonomie, e creassimo un vasto ed equo sistema di borse, presalari e prestiti di studio in una società in cui il lavoro fosse più flessibile, tutto allora sarebbe più facile» (citiamo da Mondo Economico, 10 marzo, p. 23). e ome è noto, l'ipotesi avanzata ~a Martelli, oltre a sùscitare un comprensibile interesse presso alcuni ambienti cattolici, ha incontrato dure reazioni, prevalenIndice della comunicazione temente improntate alla difesa della laicità della scuola, da parte di intellettuali come Paolo Sylos Labini, Alberto Asor Rosa, Noberto Bobbio, RossanàRossanda. È stato facile ricordare che la costituzione italiana vieta il finanziamento della scuola privata e che, quantomeno, occorrebbe modificarla per attuare un sistema «integrale» di vouchers scolastici. Buona parte della polemica è stata assorbita da questi aspetti, sui quali non ci dilungheremo. Ma ci sono altri aspetti. Basti dire che un sistema di vouchers potrebbe essere realizzato, in linea di principio, anche all'interno del settore pubblico dell'istruzione, senza sollevare problemi di natura confessionale o costituzionale. Come si è visto, la proposta dei «buoniscuola» è tornata alla ribalta, con singolare sintonia, anche in altri paesi, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Da noi, la proposta era stata rilanciata dal settimanale Mondo Economico (non a caso così attento agli sviluppi dell'argomento) in un servizio di cope:t:tina del 16 settembre scorso, dal titolo Buono-studio. Più efficienza nelle scuole, più scelta ai genitori, più controlli sulla spesa. Il grosso del servizio era costituito da uno scritto di Mark Blaug, «uno dei maggiori studiosi di economia dell'istruzione», tratto dal volume Privatisation and the Welfare State (a cura di Julian Le Grand e Ray Robinson, Lpndon, Alleo & Unwin). Vale la pena di procurarsi l'articolo di Mark Blaug, se non altro per rendersi conto delle notevolissime differenze fra i vari sistemi basati sul principio dei vouchers. Passando da un sistema all'altro; l'impatto sulla struttura scolastica, le conseguenze sociali prevedibili e i conti economici cambiano radicalmente. È poco utile ingaggiare dibattiti sul buono-scuola se non si precisa di quale buono-scuola si tratta. Facciamo un solo esempio. Due teorici inglesi del voucher scolastico come Peacock e Wiseman sostengono che, in una società eterogenea come quella americana, il buono-scuola dovrebbe essere di tipo vin~a~te, cioè che le scuole dovrebbero essere obbligate ad accettare qualunque studente che chieda l'iscrizione. Secondo Milton Friedman (premio Nobel e controverso padre del neomonetarismo) i vouchers do- . vrebbero essere non vincolanti per le scuole, che avrebbero così il diritto di respingere, per qualsiasi motivo, una domanda di iscrizione. Secondo Friedman, l'abolizio- .ne delle barriere di ammissione per studenti provenienti da strati sociali ed etnici diversi porterebbe ad un aumento delle tensioni. È facile constatare che il primo tipo di vouchers spingerebbe all'integrazione sociale, mentre, all_'estremoopposto, i vouchers «non vincolanti» favorirebbero forme di apartheid scolastico. Nel suo articolo su Business Week, Gary Becker, che appartiene alla stessa «scuola» di Friedman, sostiene che «un sistema di vouchers accrescerebbe grandemente il numero di famiglie a basso reddito e appartenenti a minoranze etniche che scelgono le scuole private». Becker cita lo studio del IlvideotexdecollainFrancia, • affondainUsa N on e'era convegno sulle «nuove tecnologie» e sui «nuovi media», a cavallo degli anni Settanta e Ottanta, in cui non fossero citati i due esperimenti americani di videotex, Viewtron e Gateway, avviati da due delle maggiori catene di giornali, rispettivamente la Knight-Ridder Newspapers /ne. e la Times Mirror Co. Il 1986 ha portato una novità: il 7 marzo la Times Mirror ha chiuso Gateway, il 17 marzo la KnightRidder ha chiuso Viewtron dopo dieci anni di inutili sforzi. Gateway ha perso 30 milioni di dollari, Viewtron 50 milioni di dollari. Quasi contemporaneamente, la stampa americana ha scoperto «The Minitel Revolution». Minitel è il nome del sistema videotex gestito dalle Ptt francesi, cioè dal ministero delle poste. Partito nel 1982, Minitel contava 1.400.000 abbonati alla fine dello scorso anno; si prevede che per il 1990 il sistema avrà 8 milioni di utenti. Newsweek scrive che «la Francia ha ottenuto la lea{i,ership mondiale nel videotex». Il confronto con le due imprese americane è schiacciante: infatti Viewtron aveva 20.000 abbonati, Gateway appena 3.000. «Grazie all'innovativa strategia di marketing delle Ptt - scrive Newsweek - la Francia sta diventando il primo paese del mondo a fare del videotex, il matrimonio del tele/ono e del computer, uno Index - Archivio Critico dell'Informazione strumento per le masse». Qual è la strategia di marketing che ha portato le Ptt francesi al successo? I terminali sono forniti gratis agli abbonati del telefono. Il costo verrà recuperato attraverso l'incremento nell'uso delle linee telefoniche. Qualsiasi imprenditore privato può offrire servizi informativi via Minitel, senza pagare e senza chiedere all'utente nessun abbonamento o tariffa d'accesso: l'utente paga nella misura nella quale usa effettivamente un certo servizio (in genere fra 80 e 240 lire al minuto). Ptt e fornitori si spartiscono le entrate. Questo sistema ha funzionato perché ha rotto il circolo vizioso «uovo-e-gallina» che frena l'offerta di servizi per mancanza di una domanda di massa e frena la domanda per mancanza di una vasta gamma di servizi che possa interessare gli utenti. Gateway, il sistema videotex della Times Mirror, sperava di raccogliereda 15 a20 dollari al mese per ciascuno dei suoi 3.000 abbonati; ne ha raccolti solo da 5 a 7. «C'erano pochi servizi dt cui la genie sentiva l'esigenza».dice un analista della Link Resources Corp. Verosimilmente, i servizi informatici erano pochi o poco interessanti proprio perché 3.000 utenti sono un mercato troppo piccolo per-attrarreservizi. Può sembrare stupefacente, per la retorica alla moda, che un monopolio pubblico si riveli capace di sviluppare una strategia di marketing nel campo delle nuove tecnologie informative molto più efficace di quella di grandi imprese private abituate a operare sul mercato. In effetti, le economie di scala e lo sviluppo di una domanda di massa sono sempre stati fattori determinanti nello sviluppo delle tecnologie dell'infomazione. La storia della radio, della televisione e del tele/ono è densa di insegnamenti in proposito. Se questi mezzi sono stati a lungo dominio di monopoli statali o di quasi-monopoli privati è proprio perché solo un monopolista può investire sulle infrastrutture necessarie a creare un mercato di massa. Solo quando la domanda si è sviluppata, abbattendo i costi unitari e rompendo il circuito «uovo-e-gallina», un sistema di comunicazioni diventa maturo per una competizione fra più imprese. Il_videotex, da questo punto di vista, _presentaproblemi notevoli. Oltre alle infrastrutture, il sistema deve provvedere anche a fornire una vastagamma di servizi dal momento che la specificità del videotex sta proprio nella possibilità del singolo utente di scegliere fra un «catalogo»di servizi. La strategia delle Ptt ha funzionato proprio perché ha saputo combinare un investimento di massa, tipico di un monopolio pubblico, con l'apertura a un numero illimitato di f ornitori-imprenditori privati. Costi e prezzi unitari sono stati abbattuti da una geniale operazione «supply-side» di recupero dei costi attraverso l'incremento dei volumi, anzichè attraverso il margine caricatosul singolo utente. Non sembra, finora, che la Sip abbia saputo far tesoro dell'esperienza francese per il suo sistema Videotel, tuttora ai primi stentati passi. Negli Stati Uniti, il fallimento di Viewtron e Gateway ha dato luogo alla formazione di tre «supergruppi» che stanno progettando sistemi videotex su nuove basi: Trintex, che raggruppa Ibm, SearsRoebuck (colosso della distribuzione e della finanza al dettaglio) e"/a Cbs; Covidea, che raggruppa Chemical Bank, Bank of America, At&t e Time; e un terzo, recente, formato da Citicorp, Rea e Nynex. Il parere degli esperti consultati da Business Week è che Covidea abbia le chances migliori perché Chemical Bank e Bank of America hanno già 45.000 utenti dei loro servizi di home banking su micro-computer. Si ritiene infatti che i servizi di «moneta elettronica» possano éostituire la chiave di volta per l' espansione del videotex negli Stati Uniti. Del resto, in Francia le banche hanno già creato reti di home banking, con decine di migliaia di utenti, proprio sfruttando il Minitel. Il Minitel e la carta «intelligente» o smart card (una carta di credito che contiene un microprocessore ultra-sottile) sono le armi con cui la Francia, dopo aver conquistato la leadership nella telematica di massa, è ormai vicina a conseguire un ruolo di guida anche nel campo della «moneta elettronica». Ciò non manca, com'è ovvio, di suscitare le gelosie dei vicini. Un successo all'interno dei confini nazionali è oggi insufficiente ad assicurare competitività nel lungo periodo. In ogni caso, il Minitel ha già dimostrato quanto siano in- ! ondati i pregiudizi pro o contro i monopoli pubblici, pro o contro l'iniziativa privata, nello sviluppo dei sistemi di comunicazione. Bisogna innanzitutto stabilire di quale «pubblico» e di quale «privato>>si tratta, ·eper fare che cosa. Why the French are in love with videotex Business Week, 20 gennaio 1986, p. 61 Minitel system shows popularity of videotex when price is right The Wall Street Journal, 12 marzo 1986, p. 1 The Minitel Revolution Newsweek, 24 marzo 1986, p. 48 Two videotex heavy weights quit $ 80 million lighter Business Week, 31 marzo 1986, p.31

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==