Alfabeta - anno VIII - n. 84 - maggio 1986

Stefano Benni Comicispaventatiguerrieri Milano, Feltrinelli, 1985 pp. 199, lire 16.000 Roberto Pazzi La principessae il drago Milano, Garzanti, 1985 pp. 170, lire 16.500 N on vedo ragioni valide per non includere anche Stefano Benni nel gruppetto dei «nuovi romanzieri» anche se il suo. nome di solito non vi figura. Forse perché siamo in presenza di un autore poligrafo, camaleontico, in cui l'approdo al romanzo non è che uno dei molti volti via via assunti, e sempre con una mobilità divertita, che sfiora perfino il sospetto di un superiore dilettantismo. Eppure, se consideriamo i due romanzi che Benni ci ha dato fin qui (oltre all'appena uscito Comici spaventati guerrieri, quello di tre anni fa, Terra!), vi riscontro alcune delle doti che entrano a costituire le caratteristiche dei nostri «nuovi romanzieri»: una consumata e disinvolta conoscenza delle tecniche della migliore narrativa contemporanea, vale a dire, una buona assunzione di quella che si definisce la «tradizione del nuovo» unita al desiderio di essere comunque leggibili, di fornire un prodotto consumabile. In fondo, la famigerata neoavanguardia degli anni '60 voleva appunto spingere· i propri adepti ad acquisire una tale ampia sintonia con le tecniche più opportune, «normalizzandole», inserendole in profondità nella sensibilità comune, facendone un «sine qua non». Quanto ali' «illeggibilità» che presentarono alcune opere di quella stagione, si trattò più di un incidente di percorso che di un connotato voluto e predicato dai teorici del «Gruppo 63»: quasi un reato di estremismo, commesso da chi pretendeva di essere «più realista del re». Se dunque incluso nel pacchetto dei «nuovi», Benni vi porterebbe un sperimentalismo volage, cangiante, abbastanza insolito negli altri. Infatti i due romanzi in questione sembrano a prima vista opposti. Terra! perlustra i piaceri del romance, nella versione concessa ai nostri giorni, e cioè in chiave di «guerre stellari», trasportandoci a un secolo di distanza nel futuro, quando ormai si sono scatenati gli inevitabili conflitti nucleari, e ne sono venuti gli altrettanto immancabili danni ecologici. Una nube di scorie ha intercettato i raggi del sole, riportando sul nostro pianeta le condizioni termiche di una nuova era glaciale. La terra è sepolta sotto densi strati di ghiaccio, l'umanità residua vi conduce un'esistenza da termiti, poste all'alacre ricerca di fonti energetiche. Ma se il pianeta è divenuto invivibile, si spalancano gli spazi dell'esplorazione in- . terplanetaria, anzi, intergalattica, che dal canto loro sono divenuti familiari, anzi, caserecci. Infatti Benni non manca di ricalcare un altro tratto del romance in ~ edizione postmoderna, cioè il cor- .s ~ tocircuito tra un futuro fantascien- ~ tificò e un primitivismo selvaggio, ~ un «medioevo prossimo venturo»: -. proprio come vuole il filone delle -~ guerre stellari. Ma in tal modo ribQ ~ guadagnamo la chiave «bassa», che E è propria di altri «nuovi romanzie- ~ ri» (Busi, Tondelli, in qualche mii:! sura anche De Carlo), e che nello ~ stesso tempo è quasi una costante l della nostra narrativa. Per inten- ~ <lerci, la linea Gadda, ripresa poi Bennei Pani dai «nipotini dell'ingegnere» Arbasino-Pasolini-Testori, o anche da molti scrittori della neoavanguardia (Sanguineti, Porta, Celati, talvolta Malerba). Così i protagonisti di Terra!, nonostante l'universo sofisticato in cui vivono, sono sempre pronti a darsi alla coprolalia, ai bassi istinti, e di ogni pianeta, di ogni astronave incontrati sul loro percorso, si precipitano ad esplorare i bassifondi. Talune delle migliori invenzioni di Benni nascono proprio dal gusto di esplorare il lato-pattumiera dei nuovi mondi. Si veda per esempio la disavventura dei «nostri eroi», partiti per cercare una remota fonte energetica, quando raggiungono una stazione spaziale dal di dietro, dal lato sbagliato, e devono allora farsi strada in un mare di rifiuti. Anche il cibo e il sesso sono opportunamente degradati, secondo la medesima chiave, in cui si fondono a meraviglia lordure vecchie e nuove: quelle raggiunte sul filo di una «normale» sensualità e le altre rese possibili dalla sofisticazione tecnologica. Anche Céline, insomma, indossa la tuta spaziale e si dà a passeggiare negli spazi intergalattici. N on resteremo dunque sorpresi nel constatare che, alla sua seconda prova narrativa, Benni fa ritorno a uno spazio domestico: lo «spaccato» urbano, di una città qualunque dei nostri giorni (come dovrebbe recitare una eventuale didascalia premessa al testo), sorpresa in due volti ugualmente scostanti: l'«inferno» dei sobborghi proletari, squallidi nella ripetizione standardizzata degli edifici, e il limbo delle zone residenziali per il ceto abbiente, ugualmente massificate, ma in tono pretenzioso e grondante benessere. Certamente le due fette dell'universo sociale si sono avvicinate, non si oppongono più con le distanze abissali che, un tempo, allontanavano le bidonville dalle palazzine borghesi. E anche gli odori e i sapori hanno perso gli afrori «naturali», per effetto di una cosmesi, di una nube di nuovi odori «indotti», artificiali. Ma tutto sommato, I~ scena appartiene allo stesso filone Renato Bari/li del gaddiano Pasticciaccio; e perché non evocare anche Il fabbricone del «nipotino» Testori, di cui si annuncia una riedizione? Questo per confermare che, appunto, Benni è rientrato entro «vecchi parapetti» perfettamente riconoscibili. Il confronto con il classico Pasticciaccio è reso .possibile anche da più specifici elementi di trama; in fondo, anche in questo caso siamo di fronte a un «giallo» interrotto, che permette di svolgere indagini, di sollevare pietre, di mostrare il putridume che vi sta sotto, il viscido e sordido pullulare di interessi meschini. Un baldo eroe delle ·borgate; .Ledne,-'·viene· ucciso da una fucilata sparatagli dall'alto di • un appartamento di ·un edificio· «bene» sito'i'n zòna appartata e si- • gnorile. E subito il campo si divide in due: per i «borghesi», Leone vi si era recato per qualche scorreria proibita: furto, spaccio di droga? Per i compagni di borgata, un declassato professore di chimica, una avvenente fidanzata «figlia del popolo», un bambino forte dei pregi di innocenza consentiti dall'età, e molte figure di comprimari, sicuramente il giovane eroe era sulle tracce di qualche grosso c::rimine compiuto dai «borghesi» (ricettazione, traffico di armi, ancora e sempre droga), e quindi. essi si stringono a formare una armata di teneri quanto impotenti «guerrieri», per cercare di scoprire la verità, di vendicare l'amico del cuore. Ma non ci sarà soluzione, dato che, proprio come nel grande precedente di Gadda, l'intento primo era di impostare una grande vicenda corale, polifonica, attenta a restituire tutte le implicazioni di un ambiente. Che quell'armata di «guerrieri» debba essere «spaventata», come vuole il titolo, lo si ricava dal loro basso grado di forze, dovuto a età estreme, a indifese condizioni sociali. Ma sempre nel titolo si aggiunge anche, e anzi trova il primo posto, il connotato del «comico». Questo è un nuovo punto di accordo con Gadda, in quanto lo sperimentalismo del grande lombardo portava a un inevitabile effetto di comicità, per lo sfrigolare di tanti materiali linguistici e psicologici tra loro contrastanti, posti in contatto, anzi, in cortocircuito, al fine di allargare i polmoni della nostra sensibilità. Era quel connotato comico che invece non riuscivano a ereditare i «nipotini», troppo seriosi nel «denunciare», nel registrare, dall'alto delle loro condizioni di privilegio linguistico e sociale. Così, i loro scavi (di Pasolini, di Testori) divenivano inevitabilmen- .•te monotoni, monocordi. Quanto •ad Arbasino, sicuramente egli ha saputo far risuonare la corda dell!ùrto linguistico, del bricolage; e proprio· non si comprende perché ora si dia a redigere plumbei referti di nullità, sulle nuove leve della letteratura, invece di porsi alla loro testa, magari a sua volta ravvisando in essi una schiera di «nipotini». Certo è che Benni fa un salutare esercizio di comicità, affrontando temi e situazioni canoniche, al limi- «Oratorium et laboratorium». In Heinrich Khunrath, Amphitheatrum sapientiae aetemae, Hanoviae 1602 te con l'ovvio, con lo stereotipo, qa tutti gli angoli dell'orizzonte linguistico e nozionistico, con bonaria e divertita superiorità, con calcolato ricorso all'iperbole. E così i casi minimi si scompongono, si rifrangono, determinano iridescenze, vivide fiammelle scoppiettanti. ( on Roberto Pazzi siamo in presenza di uno dei protago- . nisti ,riconosciuti e patentati del «nuovo romanzo»: forse l'unico che, invece di insistere nel filone maggioritario dello stile basso, si cimenta in quello della «riscrittura», del rrmake. I due romanzi usciti fino ad oggi hanno tutta l'aria di porsi come riesumazioni di qualche inedito manoscritto steso a suo tempo (nel primissimo Novecento) da uno sconosciuto simbolista russo, sul tipo di Belij. Perfino la tematica avvalora il possibile equivoco, con quel compiaciuto soffermarsi sulle sorti dell'ultimo zar, Nicola II, sulla sua famiglia, e, come succede nel romanzo appena uscito, sul semisconosciuto fratello Giorgio. È evidente al primo colpo che Pazzi non ha alcun interesse ideologico, o di ricostruzione storica, nel portarsi agli ultimi istanti della monarchia russa: semplicemente, è alla ricerca di condizioni psicologiche che siano sufficientemente «morbide», sfatte, di personaggi proverbialmente inetti, già morti a una vita d'azione e quindi disponibili a una reverie interminabile, in cui si fatica a cogliere il punto di passaggio dalla veglia al sogno, dall'esistenza corporale alla fug_ametapsichica. E tanta l'abilità con cui Pazzi ricostruisce questi suoi manoscritti apocrifi, che finisce quasi col trascinarlo alla rovina: come chi si adatta al ritmo di un veicolo viaggiante verso la catastrofe, da cui non sa saltar giù a tempo opportuno. Infatti appare fondamentale ad ogni poetica della riscrittura la capacità di inserire indici, segni di distacco critico, ironico, virgolette provvidenziali per insinuare uno scarto. Bisogna pure distinguere tra la copia pedissequa, il «falso», e invece il remake, il pastiche. Un po' come succede a certi artisti delle ultime leve, che per eccesso di spirito citazionista finiscono per imitare con troppa fedeltà qualche • capolavoro secentesco o neoclassico, cadendo appunto nel ruolo di copisti, invece di introdurre opportune gaucheries, alleggerimenti stilizzanti. Questo almeno era il sospetto che ci poteva accompagnare alla lettura del primo romanzo, Cercando l'imperatore, troppo morbido e sfumato; se non fossero stati certi ritmi più accelerati, e quindi stilizzati, pronti a scattare nella dimensione del fantastico, come ' quelli che via via assumeva la stessa «cerca» dell'imperatore, da parte del reggimento da lui prediletto e a lui fedele per eccellenza: una marcia sempre più estenuata, sempre più smaterializzata, che infatti conclude con una metamorfosi dei soldati in uccelli, per accorrere più leggeri e rapidi alla chiamata dello zar, frattanto divenuto puro spirito anche lui. Ma si restava nel sospetto di-una letterarietà un po' troppo compiaciuta di sé. Ne La principessa e il drago Pazzi sembra aver avvertito questi rischi, e avere deciso, quindi, di rompere a un certo punto il treno delle sue analisi altrimenti troppo squisite e sottili, incentrate sulla tisi del fratello dello zar, Giorgio: un morituro, sempre pronto a congedarsi dal corpo e ad affrontare viaggi metapsichici. Ma per fortuna questi viaggi, a partire dalla seconda parte, si fanno espliciti e arditi, ovvero, come dichiara anche il risvolto di copertina, il principe «leggero» sale sulla «macchina del tempo» e si trasporta avanti e indietro: visita Napoleone a S. Elena, assiste alla decapitazione di Luigi XVI, è accanto alla sua grande ava Caterina intenta a tenere i contatti epistolari con Voltaire; e non manca neppure una visita nel futuro, in una Georgia degli anni Trenta, in piena stagione stalinista. In altre parole, anche Pazzi, come Benni nel suo primo romanzo, affronta il romance, sulle ali della metapsichica se non della fantascienza. La scrittura resta squisita, neodecadente, tra il pastichè e il falso d'autore, ma la sua coltre non seppellisce sotto un torpore troppo molle e indifferenziato le nervature del racconto, poiché queste sono rese animate e scattanti dai frequenti salti temporali.

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