( he ne è dell'amore, nell'epoca della «riproducibilità tecnica»? Sono fra loro compatibili erotismo e tecnologia, o la ripetibilità seriale, e la virtuale «perfezione» tecnica, dell'atto d'amore implicano inevitabilmente la distruzione del/'«aura» che caratterizzerebbe l'eros, ove esso restasse un'esperienza unica e non moltiplicabile? Su questi problemi- con risultati non sempre convincenti, • ma comunque al di fuori di ogni intento di pornografia «alta» - lavora Adrian Lyne nel suo recente Nove settimane e mezza. Anche in questo caso, l'interpretazione corrente del film come esempio di una produzione cinematografica softcore, o come trasposizione gaglioffa di periodici sexy in carta patinata, evita di affrontare i temi principali dell'opera di Lyne, sintomaticamente presenti, pur se diversamente atteggiati e risolti, anche nel film precedente. In Flashdance, infatti, il rapporto tra «naturale» e «artificiale» - che, come si vedrà, è al centro di Nove settimane e mezza·- assume la forma specifica della tensione fra la «storia» narrata, strutturata con grande precisione secondo i canoni della letteraturafiabesca, e il contesto metropolitano in cui essa è ambientata. Tutti i principali ingredienti della • favola classica compaiono nel film, dalla personificazione intenzionalmente schematica dei princìpi del bene e del male nella fata e nel maligno (ri-· spettivamente, l'anziana signora ex ballerina e il «metallaro» violento e stupratore) alla figura del «principe azzurro», bello buono coraggioso innamorato, dal riscatto a cui la nuova Cinderella accede, come la protagonista della favola, grazie alla mediazione magica di una calzatura (qui le scarpine da ballo) fino all'immancabile happy end, dalla divertente assimilazione della bicicletta alla. scopa fatata fino ali'attesa sospesa per il «gran giorno». Ma ancora più importante è sottolineare che la stessa «morale» conclusiva, efficacemente rappresentata nel travolgente balletto finale, tende a sanzionare Sexy post~,n~ustriale. il sopravvento dell'inclinazione «naturale» ad un'espressione libera e creativa, rispetto ali'«artificiale» e mortificante dimensione del lavoro ripetitivo della fabbrica; quasi a voler indicare l'incoercibile, e infine vittoriosa, vitalità del- /' arte, nei confronti della monotona ed alienante fissità della teeUn problema del tutto analogo, pur se riferito ad altro contesto narrativo, ritorna anche nel film più recente di Lyne. Le «nove settimane e mezza», di cui si parla nel titolo, non descrivono, infatti, soltanto la «durata» della storia d'amore dei due protagonisti, quanto piuttosto la contestualità - e la forte connessione concettuale - fra il lavoro di allestimento della «personale» di un pittore ritiratosi nella solitudine di un incontaminato paesaggio agreste e le vicende dei due amanti. Lo sfondo su cui si proiettano entrambe le storie è anche qui una metropoli, colta insistentemente nella prospettiva di una tecnologia onnipresente ed esasperata: gli esterni come gli interni, la struttura urbanistica o gli arredi delle abitazioni o degli uffici, esprimono il trionfo di un design ultramoderno e sofisticato, ma insieme gelido e senza vita, accompagnato da tonalità cromatiche pesanti ma inerti, cariche ma spente, nella scissione sempre più . , ·accentuata fra segni e significati, tra forme· ridotte a nudi rapporti geometrici, virtualmente riproducibili, mediante . la tecnica, in quantità illimitate, e contenuti o valori sentimentali o esistenziali al di là di ogni possibilità di rappresentazione, ove questa coincida con gli schemi modulari imposti dai consumi di massa. In questo quadro, nella violenta riduzione della vita a tecnologia, la stessa relazione amorosa fra i due protagonisti assume inevitabilmente un carattere interamente artificiale, nello stesso senso e con le stesse modalità con cui nel film compaiono i molti strumenti, le molte macchine, i molti prodotti del disegno industriale. Quando tutto è, di principio, «tecnicamente riproducibile»; quando domina incontrastata la luciferina pretesa di poter tutto creare e tutto distruggere more technico, anche gli atti di amore si manifesteranno come istanze di una sorta di tecnologia erotica, la cui cifra riassuntiva risiede esclusivamente nel grado di perfezione tecnica conseguibile, indipendentemente da ogni aspetto qualitativo, da ogni· «vàlore», da:· ogni concessione sentimentale. Solo in questa prospet"tiva è possibile comprendere /'altrimenti inspiegabile impressione di freddezza suscitata dalle numerose esibizioni di amplessi ricorrenti nel film: non un fremito di genuina passione, non una risonanza autenticamente erotica, non un attimo di reale coinvolgimento sensuale o emotivo. Le sequenze relative agli appuntamenti tra i due amanti si susseguono senza destare alcuna emozione, ma anzi accrescendo progressivamente il disagio, e più ancora l'effetto di straniamento verso una così estrema riduzione del/'amore, «sub specie technologiae». Ma il ragioname~to sul destino a cui ~ esposto l'amore, nell'epoca ·della «riproducibilita ·tecnica», assume un rigore anche maggiore, dal punto di vista linguistico, allorché i due pian'i sui quali il film è intenzionalmente condotto - la love story e l'allestimento del/'èsposizione pittorica - si incontrano e si • connettono più direttamente, nella scena dell'amplesso consumato in cii.cina,con lo sfondo di un frigorifero traboccante di alimenti iperrealisticamente colorati," mentre gli amanti si inondano reciprocamente di salse, creme e bevande variopinte. Qui lo scarto fra natura e tecnica, fra unicità e riproducibilità, fra «apparizioni uniche di una lontananza», e «decadenza di aura», è descritto in ,,wniera puntigliosa, perfino didascalica, mentre l'immergersi dei personaggi nel cromatismo artificiale dei prodotti industriali lascia sfuocati - in una caligine che ne sottolinea l'intangibilità - i colori «veri» dei prodotti naturali. Che il film intenda essere, a suo modo •é con notevoli limiti nella realizzazione effettiva, quello che si potrebbe definire un pop-core, una produzione cinematografica concettualmente e linguisticamente ispirata a quel problema del rapporto fra «arte» e «realtà», o fra «natura» e «tecnica», che domina la maggior parte della ricercafigurativa contemporanea e che trova nella pop art, appunto, un approdo particolarmente significativo - • risulta· infine con evidenza dàll'e- • pilogo, nel quale nuovamente si incrociano • le due vicende svoltesi parallelamente durante le, «nove séttimane e mezza». Pfoprio mentre ha luogo la ver-· nice della mostra, alla quale partecipa, smarrito e attonito, incapace di adattarsi ai ritmi della metropoli, di comprendere quanto gli accade intorno, lo stesso pittore che in una precedente scena del film aveva compendiato le proprie scelte esistenziali, e la propria poetica, nel «mangiare quando si ha fame, dormire se si è stanchi, e coprirsi se si ha freddo», naufraga anche definitivamente la storia d'amore di fohn ed Elizabeth. Se questo fallimento è imputato dalla donna ali'erfore, commesso dai due amanti, di «essersi spinti troppo oltre», il disorientamento dell'artista è presentato come conseguenza dello sradicamento da~'originario contesto «naturale», del trasferimento repentino della quiete idillica de~'ambiente agreste al concitato mulinare di suoni, lingue e colori di una Manhattan ass·ordante e variopinta. In entrambi i casi, nella contrapposizione, meticolosamente illustrata, fra «natura» e «tecnica»,,il • sopravvento della seconda, la riduzione dell'amore e dell'opera d'arte a oggetti riproducibili, a mere «quantità» illimitatamente ripetibili porta con sé la perdita di ogni autenticità e, con essa, un'inesorabile «decadenza dell'aura». Se l'erotismo si trasforma in tecnologia erotica, se il sesso assume la forma del virtuosismo ginnico, se la sensualità è fatta coincidere con l'iterazione ritmica del ·gesto, con la ricerca assillante di «posizioni» e situazioni inconsuete, stravaganti, spinte comunque «oltre i limiti» di ciò che può esserepresupposto come «naturale», l'amore non può che concludersi con lo scacco e infine la propria autodissoluzione. fiidotto a puro prodotto «artificiale», a risultato di tecniche riproduttive analoghe a quelle oggettivate nella molteplicità di macchine o arredi esibiti nel film, l'amore perde i connotati chef anno di esso - come di un'«opera d'arte» - un originale, come tale «unico» ed irripetibile, per degradarsi a funzione, labile e riproducibile. In questo processo, è altresì inevitabile che i «soggetti»·di tale «funzione» figurino ormai solo come partners intercambiabili o determinazioni contingenti di un «genere» (come limpidamente dimostrano le sequenze conclusive, nelle quali i protagonisti si alternano nella ricerca di «sostituti»), anziché come «individui», dotati di caratteristiche «specifiche»; alla stessa stregua, si può comprendere per quale ragione, una volta omologato ai prodotti della tecnica, l'amore si converta in meretricio, ed entrambi gli amanti, pur se con motivazioni diverse, si concedano infine alla prostituzione, quale metafora di un'ormai compiuta dissoluzione dell'eros sul piano della produzione di merci. Apologo amaro, di stampo apocalittico, teso a descrivere gli effetti distruttivi,· intrinsecamente ostili alla «nat~~a»e ~ll\<Uomo»,implicitf. nell'avvento de~'epoca • tecnowgicaJ Nove settimane e mezza riprende, insomma, . ribaltan,done pessimisticamente la conclusione, il_tf,iscorsogià s'viluppato in Flash-. dance. Nella loro intima complementarietà, le due opere di Lyne sembrano addirittura • coincidere nella malinconica .denuncia, • di ispirazione francofortese, delleaberrazioni connesse alla civiltà post-industriale; ed entrambe sembrano indicare.che;.alle soglie del Duemila, la «natura» e i suoi «valori» - primo fra tutti l'amore ;_ possono trovare una ragione d' essere solo nella dimensione irreale della favola, o in un'ormai inattingibile «apparizione unica di una lontananza>>. Il festivald· i-Berlillo A seguire l'avvenimento sulla stampa italiana può sembrare che il FilmFest di Berlino, la cui trentaseiesima edizione si è svolta nel febbraio scorso, sia un festival di media importanza e comunque minore rispetto alle analo- .ghe manifestazioni che ottengono ben più ampia risonanza mobilitando la coralità dei media. È significativo, infatti, -che gior- • nali fra i più attenti alla cultura e allo spettacolo cinematografici, mentre inviano -a Cannes almeno tre corrispondenti, dei quali tutti vengono pubblicati ogni giorno resoconti e commenti (non mi soffermo sull'eccezionale spiegamento di forze normalmente messo in campo per la Mostra veneziana, poiché, trattandosi del nostro Festival di bandiera, che è inoltre la più antica manifestazione del genere, è comprensibile le si riservi un . trattamento di favore), ritengono sufficiente per il FilmFest un solo inviato, di cui neppure tutti i giorni pubblicano il servizio. Vittorio Boarini. In realtà la manifestazione di . Berlino; ,grazie alla crescita impetuosa degli ultimi anni e della quale forse non ci si è ancora resi conto, è ormai in diretta compe.tizione con Venezia per il secondo posto dopo Cannes nella classifica delle «vetrine» in cui.la produzione cinematogtafica mondiale tende •annualmente a rappresentarsi nella sua globalità. Quando dico vetrina, non mi riferisco allo splendore emanato dalle luci della ribalta su cui sfilano i protagonisti di quell'universo cine- • • • matografico che fa comunque notizia, uno splendore che costituisce la normatività tendenziale di tutti i filmfestival, tenuti per propria natura ad adeguarsi largamente alla spettacolarità diffusa, che anzi a Berlino appare più tenue che altrove, .ma ho.riguardo, invece, al modo come viene rappresentato lo . spaccato internazionale attraverso il quale si dà annualmente conto dello stato in cui versa la cinematografia, alla &truttura che consente tale,rappresentazione e a come essa si articola, nonché al retroterra culturale e istituzionale in cui la vetrina stessa si è radicata. Non mi soffermo, quindi, sui vari richiami spettacolari· serviti, tutto sommato con parsimonia, agli amplificatori-professionali e no, della chiacchiera universale; neppure su .quelli più goffi, anche se riguardano aspetti assai delicati come la costituzione della giuria, una giuria rivelatasi comunque autorevole e. capace di svolgere, nonostante profonde divisioni, un lavoro complessivamente accettabile. Né voglio insistere più di tanto Navi immaginarie e immaginate, silografie.In Roberto Valt11rio, De re militari, Verona1483. Venezia, BibliotecaNazionaleMarciana .. . .
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