Alfabeta - anno VIII - n. 84 - maggio 1986

Enrico Castelnuovo Arte, industria, rivoluzioni. Temi di $toria sociale dell'ane Torino, Einaudi1u1985• pp."156, lire 16.000. Michael Baxan_dall Pattems of Intention. On tbe Historical Explanation oè .~tures . , · . · New Haven and London . Yale University Press, 1985 ~L'opera non sta mai da sola, è sempre un r~pporto... Un'opera sola al mondo_nari sarebbe neppure intesa comè produzione umana, ma guardata con reverenza; e con Òrrore, ~ome magia, come tabù, come opera di Dio •e.dello stregone, non çlell'uomo». R. Longhi . A nche se in tutt'altro contesto viene in mente la. scena di apertura del film 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrik: il grande monolite atterrato in mezzo alle scimmie. Non si può pensare ad un'immagine che esprima meglio il senso dello spaesamento e dell'estraneità dell'opera. Il passo successivo è subito l'esotico e allora riprendendo Baudelaire: «Frères qui trouvez beau tout ce qui vient de loin!». Il lontano riguarda naturalmente le due dimensioni dello spazio e del tempo. È possibile pensare alla storia dell'arte e alla critica d'arte come a un processo di progressiva eliminazione di questa lontananza, anche perché stiamo raccogliendo i frutti di un lunghissimo se pure contrastato lavoro di appropriazione dell'opera, che viene sottoposta da tutte le parti a pressioni di genere molto complesso, accompagnata dalle istanze più varie: di presenza, di protagonismo, di invenzione, di creatività, di loisir, ma anche di fortissima carica simbolico-didascalica. Sulle ragioni di questo fenomeno di centralità sociale del1'oggetto d'arte si può riflettere a lungo e in più direzioni, ma ha certamente avuto un grande peso il fatto che buona parte del lavoro storico-critico sia andato in questi anni verso un accumulo di significati potenziali tali che la fruizione assomiglia sempre di più ad una sintesi abbreviata di conoscenze. A questo punto l'immagine è pronta per essere utilizzata esattamente come in passato si faceva per i frontespizi dei grandi trattati naturalistici, delle opere ermeticoalchemiche o dei trattati di filosofia, l' Utriusque Cosmi di Robert Fludd o la Scienza Nuova di Giovan Battista Vico, nei quali «la depintura apposta al frontespizio» doveva, se accuratamente osservata, dar~ tutti gli elementi contenuti nel volume, cioè «valere da sola più di mille parole». In questa direzione può essere analizzato il contatto feticistico tra il visitatore e l'opera nel museo, nel senso che basta vedere per apprendere, quin- :q di il viaggio nel museo è una specie c::s di taumaturgia della conoscenza, .s ~ un apprendimento senza fatica, suc:i.. perficiale e soddisfacente, esatta- ~ mente come il Latin without tears ...... di Amos Comenius che inventa nel -~ 1654 il primo libro scolastico stam- ~ pato appunto con immagini. Questo allargamento progressi- ~ vo di informazioni, di significati e i:: di conoscenza intorno all'opera ~ merita qualche approfondimento. l La prima considerazione, fa più ~ immediata e superficiale, è che sta Millepadri cambiando oltre al ruolo del fruitore di conseguenza anche quello del produttore, che in questo caso non è ovviamente l'artista, ma lo storico d'arte o il critico. Anzi si profila la nascita di una terza figura, molto più manageriale e mondana del cri- . tico o dello storico, quella dell'allestitore di contenuti culturali attra- , verso la dimostrazione, con opere·,, • nelle mostre. Quest'ultima figura può essere estranea o quasi al campo degli studi, ma sa per così dire metterne in scena i risultati. Adalgisa Lugli gorosamente stilistico-formale e sfuma in secondo piano i problemi storico-iconografici, serve molto bene alla identificazione mercantile di autori e scuole. La managerialità imprenditoriale sarà destinata a produrre viraggi di metodo? Forse,è troppo prematuro rispo11çlere. .. Quello che è cer:to è che sappiamo pene da dove :veniamo. Veniamo_da una fondazione ottocentesca della disciplina prima soggett~- va, estetiµante, molto, biografica . ed effusiva,,çhe poi verso.la fine del ti e di difese da incursioni di vicini di metodo, dagli storici e dai letterati soprattutto e, man mano che si precisano altre fisionomie, dagli etnografi,. dagli antropologi, ,dai filosofi. I risultati li veqiamo nel No- · vecento: da una parte nel manteni~ •,ment9 ~ nell'affinament9 della ~trum,entazione_ottoce_ntesc;amo7 relliana e poi longhiana.e it1seguito in un ingresso_massiccio di angolatur~ e di spostamenti di prospettiva .più. o ~eno. convinti di portare la ,soluzione çlefinitiva. In realt~ tutti r ..•...·..·............ . ... . . ,> • }<'.[; >~.' ' . f -_:! \ .,j • ~- ! • -·1 ; :..,:;:~~p: -r·.. :: ~~~~~ _ ~-::::~~F.f-J-- ~ ~3::, :·i-~ •• •• • I . . . \ ~" : : .• . .• • ,. : ·-,,. ~ ·, .... ),." Osservazione e descrizione delle macchie solari, incisione. In Cristoforo Scheiner, Rosa ursina sive Sol, Bracciano /636 Nessuna meraviglia che questo avvenga. Gli storici dell'arte hanno sempre alimentato un loro coté mondano, che si è occupato dei rapporti concreti dell'opera antica o moderna, cioè della sua collocazione mercantile o collezionistica. Un po' più curioso è il fatto che quando ci si pongono problemi di . metodo, questo aspetto interno del lavoro e delle sue caratteristiche venga raramente preso in considerazione, quando è ovvio che pesa profondamente e produce cambiamenti di prospettiva. È noto a tutti che una storia dell'arte basata sulla filologia attribuzionistica, che sottopone l'opera ad un'indagine risecolo ha. un brusco orientamento verso le scienze positive, con tutte le angosce di assomigliare il più possibile alla botanica o alla zoologia, quando non alla medicina. Ma il modello di assimilazione scientifico-obiettivo era già vivissimo ai primi decenni dell'800 nell'ammirazione di Gottfried Semper per l'ordinata e didattica classificazione di Cuvier al Jardin des Plantes di Parigi. Con una novità. La storia dell'arte che ha quasi due secoli di vita ha cominciato, da parte tedesca come era naturale che fosse, a sçrive- . re la storia della disciplina e il risultato è una sequenza di arroccamenpiù o meno portanti a un accrescimento metodologico o a un utilissimo allargamento di strumentazione, ma a settori, come se l'opera venisse girata e rigirata in mille modi e certo ogni volta tra le pieghe potesse spuntare una sorpresa. Questa dispersione è la situazione metodologica che viviamo oggi, ma dobbiamo registrare i primi tentativi di sintesi, un «pursuit of the whole» di cui si deve sottolineare l'importanza e la novità. Un po' più di dieci anni fa Enrico Castelnuovo organizzando il convegno «A proposito di storia dell'arte e di metodologia» (Roma, Istituto Svizzero, 1975) apriva la prima e rimasta unica disc"4ssionecollettiva su problemi di fondazione di~ciplinare post-long_hiana e post-warbur,gq~ana.I temi del suo intervent~:già rjelaborati per Paragont: (1976e 1977)col titolo Per una stoc tia sociale dell'arte vengono ripubblicati çon altri tre saggi tematica- . rp.ente mqlto affini; che prei;idono •. insieme l'organicità_di una consi- . stente e ampia r~flessiohemetodologica, ma aµ,che fortemente operativa . -u na prima considerazione: a . chi ha un minimo di fre-·. . . quentazione con la didattica ,come la si pra,tica nelle università •italiane, non sarà sfuggita la fortuna che i due saggi su Paragone avev~no avuto, proprio perché venivano a colmare un vuoto di «teoria» della storia dell'arte: Rivisti a distanza questi materiali rivelano tutta l'efficacia. di proposta aperta e di mappa di direzioni da seguire, verificata dai luoghi verso i quali è effettivame11_taendata la ricerca. E questa è la seconda considerazione: la proposta metodologica, quando viene dall'interno della storia dell'arte è molto spesso una proposta operativa e non teorica, che dimostra attraverso il fare e questo è nella tradizione degli studi. Citando Wolfflin quando diceva che «la cosa più naturale sarebbe che ogni monografia di storia dell'arte contenesse una parte di estetica» potremmo allargare, storicizzandolo, il concetto all'idea che ogni lavoro storico-artistico dovrebbe contenere una parte di metodo. Estetica era per Wolfflin il metodo in questione. Oggi il metodo passa necessariamente per un ampliamento di orizzonte del tipo di quello proposto da Castelnuovo. Anche il dibattito provocato dal volume Indagini su Piero (1982) di Carlo Ginzburg si era configurato come una riflessione operativa, come prova la discussione meno corporativa e più costruttiva di tutte, quella dei due interventi consecutivi di Pinelli e Ginzburg su Quaderni Storici (1982, agosto). Tutta la vicenda aveva costituito un caso di anatomizzazione di un lavoro in campo_ storico-artistico fatta con un accanimento e un'intensità molto rara per una comunità di studi che tollera quasi tutto. Certamente c'era in questo un abilissimo gioco mimetico: uno storico che finge il mestiere di storico dell'arte, come un falsario che mette alla prova i materiali dell'imitazione. Infatti la prova vero-falso si fa sui materiali, in questo caso sugli strumenti metodologici, sui «paradigmi», sugli elementi stilistici, documentari e iconografici che fanno parte del corredo della disciplina. Alcuni di questi paradigmi tornano, debitamente applicati nell'ultimo numero di Etudes de Lettres (n. 4, octobre-decembre, 1985) dell'università di Losanna, interamente dedicato a Castelnuo- • vo e in cui si discute di temi di storia sociale dell'arte con interventi di Bourdieu, Ginzburg a Settis tra gli altri. In copertina un'incisione di Paul Klee, Zwei Manner, con due figure allampanate che fanno a gara a chi si inchina di più una all'altra (lo storico e lo storico dell'arte?). Rileggendo i saggi di Castelnuovo qualcosa di questa urbana disponibilità allo scambio e alla co-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==