Alfabeta - anno VIII - n. 84 - maggio 1986

Ipotesci hecolgononelsegno Thomas A. Sebeok U segno e i suoi maestri traduzione, introduzione e cura di S. Petrilli presentazione di A. Ponzio Bari, Adriatica, 1985 pp. 386, lire 20.000 AA.W. La ragione abduttiva . a cura di Massimo A. Bonfantini e Mauro Ferraresi Il Protagora, 1984, XXIV, 6° Q uasi nello stesso periodo (1907) in cui Freud riusciva a ricondurre la fobia del «piccolo Hans» per i cavalli alle «equivalenze psicosemantiche» stabilite dal complesso edipico e dall'angoscia per la nascita della sorella, un docente di matematica, Herr von Osten, pretendeva di aver in- ' segnato al suo cavallo, anch'egli di nome Hans, a risolvere problemi di aritmetica o di armonia musicale, battendo dei colpi con le zampe. E davvero il «Bravo Hans» dovette fare colpo se costrinse un allievo di Brentano, l'insigne psicologo tedesco Cari Stumpf, a presiedere una commissione di studio sul suo caso. Guidata dall'intuito semiotico di Oskar Pfungst, la commissione dissolse l'incanto sollevato dalle sue imprese straordinarie, le quali apparivano tali sol perché ci si ostinava a «cercare nel cavallo ciò che invece si sarebbe dovuto cercare nell'uomo» (p. 143). L'accenno al fatto e alla sua spiegazione criptosemiotica - secondo cui le imprese del «Bravo Hans» erano «telecomandate» dall'addestratore attraverso impercettibili sistemi di segni mimici, gestuali, paralinguistici, ecc. - ritornano ripetutamente nel libro di Sebeok. Tuttavia, più che una sbavatura argomentativa, dovuta alla costruzione del volume mediante semplice accostamento di saggi occasio- ·nali, mi sembra che questa insistenza possa rappresentare una importante chiave di lettura del progetto di semiotica elaborato dal grande studioso magiaro-statunitense. Anzitutto è sintomatico che il sistematizzatore della «zoosemiotica» si dichiari contrario alle aspettative di comunicazione interspecifica suscitate da tanti programmi di ricerca con cavalli, delfini o scimmie che siano. Inoltre Sebeok, attraverso i suoi «maestri», rintraccia tutto un filone di studi che, pur spaziando dalla biologia (van Uexkiill) alla linguistica (Lotz), dalla psicologia comparata (Laziczius) alla culturologia (Jakobson), ha al suo interno una sicura matrice semiotica. Certo, sul piano storico non delinea un panorama completo dei pilastri della scienza generale del segno, ma le notizie fornite sono molto interessanti, perché provengono di prima mano dalla cono- • scenza quasi sempre diretta dei personaggi trattati. Quel che più conta, tuttavia, è il tentativo di fon- ;::::i dere, e non solo diacronicamente, c:::s le tante anime della ricerca semio- .:; ~ tica - l'anglofona, la francofona e ~ la slavofona; la logico-filosofica, la ~ linguistica, l'etologica e la cultura- ...., logica -, lungo un percorso che, -9 muovendo da Peirce, lambisce una ~ ~ miriade di cultori di s'cienzeumane !:: nel nostro secolo (tra cui, oltre a\ ~ già citati, Whitney, Saussure, Bii- ~ hler, Morris, Greenberg, ~ Hjelmslev) e giunge fino al mate- -c::i matico «catastrofista» Réné ~ ~ Thom. Ripetutamente Sebeok si • dichiara «peirciano e thomista» (p. 180). L' «ecumenismo» predicato da Sebeok non preconizza solo un atteggiamento metodologico di dialogo tra biologi e matematici, etologi e linguisti, ma tende ad affermare, con le parole proprio di Thom, che la semiosi «est l'image de la vie» (p. 109). U n progetto di «pansemiotica unitaria» (p. 117) non può che essere una biosemiotica, una sintesi tra la scienza della> vita e la scienza dei segni quale è lumeggiata già dall'affermarsi dell'etologia (p. 332). Forse è questo interesse per la vita in tutte le sue manifestazioni segniche a provocare il (reciproco) «disagio» (p. 116) {~f:ff1rff-i1Ì~ :-··.(~:'.~ . .... - -~~~: :i< •Jr -,.,e-· ·r;:~-•.,...,.;..;: Giuseppe Mininni bono sulla veccchiaia all'eccesso di intenzionalità significante nel complesso edipico - potrebbero essere estese ad un'interpretazione sociosemiotica della realtà. I processi segnici della vita quotidiana, assegnati da Sebeok alla «semiotica adnormale» (che deve occuparsi della loro formazione ontogenetica), a quella «denormale» (che deve interessarsi della loro dissoluzione «naturale») e a quella «abnormale» (che tratta invece delle forme patologiche), sono immaginati per lo più come pratica di un soggetto individuale, idealisticamente libero da costrizioni di natura ideologica o dei sistemi produttivi (degli oggetti e dei significati). È possibile pertanto «rilanciatese a giustificare aspettative già consolidate. D'altronde, accanto alle astuzie della ragione, alle trappole che ne nascondono gli inganni vi sono le sue abduzioni, le «congetture azzeccate», le ipotesi che colgono nel segno. Il mondo è troppo pieno di «fatti», «accadimenti», «stati dicose» perché le leggi note all'uomo riescano a ordinarli tutti secondo schemi definitori o derivazionali. Accade così che il bisogno di spiegazione lanci il gesto interrogante su percorsi inferenziali avventurosi. Le marche semantiche caratterizzanti il lessema «avventura» richiamano le idee del!' «imprevisto», del «rischio», del «piacere», Francesco Rostagni e Michele Gutierrez, Scale ed edifici, incisione. In Nicola Zabaglia, Castelli e ponti con alcune ingegnose pratiche, Roma 1743 della semiotica per la politica, che è ossessionata da un rimosso «istinto di morte». Ma quando si auspica «una sociobiologia veramente umana» o un'«ecologia comportamentale», quando cioè la biosemiotica diventa semiotica della vita quotidiana, non può non fare i conti con le forme di organizzazione del consenso tra gli uomini. Quelle spiegazioni di molti atteggiamenti individuali nella vita quotidiana - dall'intimo sguardo degli innamorati all'effetto placebo di molti farmaci, dai pericoli di degenerazione dell'atto comunicativo che incomre» su un piano più generale la proposta già così onnicomprensiva della biosemiotica, evidenziandone la caratterizzazione sociale. Ecco perché non è tanto l'evidente vastità degli interessi - dai dialetti delle api ai segni degli indiani delle Pianure, dall'ipnosi al dilemma ermeneutico in Erodoto - documentati in questo libro a testimoniarne la grande validità, quanto l'ammonimento epistemologico che la pratica dell'abduzione - via obbligata della biosemiotica - possa sfociare nell'autoinganno inconsapevole, qualora si generino ipotesi ad hoc della «novità» e della «casualità»: tutti attributi che contfastano con la concezione prevalente della logica quale sistematizzazione dei processi formali dell'argomentazione, i quali sembrano dover essere «prevedibili», «precisi», «rigorosi» e «necessari». Certo, se il «tirare a indovinare» vuole assurgere ai fasti delle altre forme del pensiero già accreditate, deve ~crollarsi di dosso quell'aria di estemporaneità o di immotivazione e quel sospetto di intuizionismo che l'espressione linguistica veicola. Si deve perciò apprezzare il tentativo di tracciare un orientamento sicuro alla ricerca- necessariamente abduttiva- sulla «ragione abduttiva», compiuto nel numero monografico della rivista leccese di filosofia Il Protagora. L'impianto del volume è organizzato solidamente in due parti intitolate «La forma dell'abduzione» e «Gli orizzonti dell'abduzione» e si apre con un inedito di Peirce, nel quale egli racconta come sia riuscito a recuperare un prezioso orologio rubatogli, proprio lasciandosi guidare dalle labili connessioni implicative del ragionamento abduttivo. La prima parte si conclude col saggio di Bonfantini che, esaminando le «quattro questioni» di fondo sulla natura e sui tipi dell'abduzione, mostra come l'operatività di una qualsiasi forma A Priori nella conoscenza dell'uomo debba passare attraverso i tentativi di spiegazione della neurofisiologia, della neurobiochimica, della zoosemiotica, della sociobiologia, dell'antropologia culturale ecc. Invero stupisce l'assenza di un riferimento alla psicologia, non solo perché lo stesso Peirce riferisce alcune implicazioni tratte da suoi esperimenti sull'ipotesi fechneriana della «soglia differenziale» nella percezione, rriasoprattutto perché gli «orizzonti» applicativi del metodo abduttivo si chiudono nel volume (quindi, momentaneamente) con l'analisi di Giovanna Cosenza delle possibili ipotesi che avrebbero guidato Freud nella soluzione del famoso caso del «piccolo Hans». Gli «orizzonti dell'abduzione» sono aperti dagli interventi di Bonfantini, Eco, Fabbrichesi Leo, Giorello, Proni, Sini e Zaltieri a una tavola rotonda sul tema: «Peirce: indagine e abduzione», per slargarsi poi sul vasto territorio della semiotica nei due saggi dedicati alla «tipologia del dialogo» (di Massimo Bonfantini e Augusto Ponzio) e alla «biologia come semiotica naturaìe» (di Giorgio Prodi). L'esaltazione dell'Homo abductivus contagia a gradi d_ifferenti i partecipanti alla discussione: se Bonfantini trova una «passione» sufficiente per ricostruire quasi tutto - dalla filogenesi dell'Homo faber sapiens alla storia della filosofia - ser,ondo il ritmo ternario della deduzione/induzione/abduzione e per ritenere progettabile un «socialismo ecologico», Giorello ed Eco si preoccupano di riportare la riflessione nell'alveo della in/differenza tra il procedimento della prova (o dimostrazione) e la logica della ricerca scientifica (a cominciare da Aristotele). Se Proni, impegnandosi sul tragitto epistemologico che passa «dalla critica del metodo alla pragmatica della scoperta», trova che la genesi delle ipotesi richiede un «delicato gioco di equilibrio» e una «quasi miracolosa complicità di avvenimenti» (p. 46), Sini mostra che, anche se il senso profondo dell'abduzione di Peirce è di natura destabilizzante e antiinduttivistico, possiamo tuttavia avvalercene «per affrontare costruttivamente, senza omissioni, evasioni o delicati compiacimenti, la cosiddetta crisi della ragione e dei fondamenti» (pp. 56-57). S icuramente Peirce è il Kant del pensiero americano e ha anticipato gran parte dell'elaborazione epistemologica, da Popper a Feyerabend. Ma il nocciolo

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==