Alfabeta - anno VIII - n. 84 - maggio 1986

Lostranocaso dellaintentiolectoris Questo testo è la versione completa della comunicazione presentata al convegno internazionale su «Il discorso della critica letteraria», marzo 1986, organizzato dal Dipartimento di italianistica della facoltà di lettere e filosofia dell'università degli studi di Roma «La Sapienza». N ell'ultimo decennio - si dice - si è affermato un cambio di paradigma rispetto alle discussioni critiche precedenti. Se in clima strutturalistico si privilegiava l'analisi del testo come oggetto dotato di caratteri strutturali proprii, descrivibili attraverso un formalismo più o menò rigoroso, in seguito si è orientata la discussione verso una pragmatica della lettura. Dagli inizi degli anni sessanta in avanti si sono così moltiplicate le teorie sulla coppia Lettore-Autore, e oggi abbiamo, oltre al narratore e al narratario, narratori semiotici, narratori extfafittizi, soggetti della enunciazione enunciata, focalizzatori, voci, metanarratori, e poi lettori virtuali, lettori ideali, lettori modello, superlettori, lettori progettati, lettori informati, arcilettori, lettori impliciti, metalettori e via dicendo. E si veda tra le rassegnepiù complete il recente Lo sguardo nel racconto (Bologna, 1985) di Paola Pugliatti. Di conseguenza orientamenti diversi come la estetica della ricezione, l'ermeneutica, le teorie semiotiche del lettore _ ideale o modello, il cosiddetto «reader oriented criticism» e la decostruzione, hanno eletto a oggetto di indagine non tanto gli accadimenti empirici della lettura (oggetto di una sociologia della ricezione) ma la funzione di costruzione - o di decostruzione - del testo svolta dall'atto della lettura, visto come condizione efficiente e necessaria della stessa attuazione del testo in quanto tale. L'asserto soggiacente a ciascuna di queste tendenze è: il funzionamento di un testo (anche non verbale) si spiega prendendo in considerazione, oltre o invece del momento generativo, il ruolo svolto dal destinatario nella sua comprensiotze,"attualizzazione, interpretazione, ·nonché il_modo in cui il testo stesso prevede questa partecipazione. 1. Archeologia Il fantasma del lettore si è inserito al centro di diverse teorie, per filoni indipendenti. Forse il primo che ha parlato esplicitamente di «implied author (carrying the reader with him)» è stato Wayne Booth, nel 1961 con il suo The rhetoric of fiction. Ma dopo si sviluppano, ignorandosi reciprocamente, una linea semiotico-strutturale e una linea ermeneutica. La prima si rifà anzitutto ai saggi di Communications 8, 1966:dove Barthes parla di un autore materiale che non si può confondere con il narratore, Todorov evoca la coppia «immagine del narratore-immagine del/'autore» e ripropone le distinzioni di Pouillon, 1946, tra i vari punti di vista (ma dietro a Pouillon ci sono Lubbock, Forster e James) e Genette accenna appena a quello che po{nel 1972sarà la sua teoria delle «voci» e della focalizzazione. Di qui si passa attraverso alcune indicazioni di Kristeva sulla «produttività testuale» (Le texte du roman, 1970), il Lotman della Struttura del testo poetico (1970), il concetto ancora empirico di «arcilettore»in Riffaterre (Essais de stylistique structurale, 1971), la polemica in negativo di Hirsch (Validity in interpretation, 1967), sino alla nozione di autore e lettore implicito di Maria Corti (Principi della comunicazione letteraria, 1976) e di Seymour Chatman (Story and discourse, 1978) - entrambi questi ultimi derivando la loro nozione direttamente da Booth - sino alla mia nozione di Lettore Modello (che peraltro traevo anche da suggerimenti, elaborati nell'ambito di una Logicamodale della narratività, di van Dijk e Schmidt, nonché da Weinrich, per non dire dell'idea pareysoniana di un «modo di formare» quale ipostasi autoriale iscrittanell'opera). Ma ricorda Maria Corti che, p.__, '1 .... anto riguarda l'autore, anche un testo di Foucault del 1969 («Qu'est-ce-qu'un auteur?») poneva in ambito post-strutturalistico il problema di un autore come «modo di essere del discorso», campo di coerenza concettuale, unità stilistica, principio di unità di scrittura. Dall'altro lato c'è laproposta di /ser (Der implizite Leser, 1972), che riprende la terminologia di Booth, ma sulla base di una tradizione del tutto div.ersa (lngarden, Gadamer, Mukafovsky, Jauss - avendo altresì presenti i teorici anglosassoni dellà narratività e Lacritica joyciana). Iser inizierà poi a•-riannodarei fili delle due tradizioni in Der Akt des Lesens, del 1976, riferendosi a Jakobson, Lotman, Hirsch, ~ Riffaterre, e ad alcuni miei accenni degli anni sessanta. ....... Questa insistenza ormai quasi ossessiva sul momento del- .9 ~ la lettura, dell'interpretazione, della collaborazione o coot: perazione del ricevente, segna un interessante momento nella storia tortuosa dello Zeitgeist. Si noti che nel 1981, palesemente all'oscuro di tutta questa letteratura, e partendo da analisi di semantica generativa e da ricerche di Intelligenza Artificiale, Charles Fillmore (sia pure a livello di testi quotidiani non letterari) scrive un sagUmberto Eco gio su «Ideai readers and real readers». Di fronte a queste teorie, dobbiamo ora chiederci se si tratti di un orientamento nuovo, e in che senso. Quanto al primo problema occorre riconoscere che la storia dell'estetica può essere ricondotta a""unastoria delle teorie dell'interpretazione o dell'effetto che l'opera provoca nel destinatario. Sono a orientamento interpretativo: - l'estetica aristotelica della catarsi; - l'esteticapseudo longiniana del sublime; - le estetiche medievali della visione; - le riletture rinascimentali dell'estetica aristotelica; - le estetiche settecentesche del sublime; - la estetica kantiana; - numerose estetiche contemporanee (fenomenologia, ermeneutica, estetiche sociologiche, l'estetica dell'interpretazione di Pareyson). In un suo recente Libro sulla Reception theory (1985), Robert Holub trova i precedenti delle indagini della scuola di Costanza nelle nozioni formaliste di artificio, di straniamento e di dominante; nella nozione di Ingarden di opera come scheletro o schema che deve essere completato dalla interpretazione del destinatario, ovvero come insieme di profili tra cui il destinatario deve scegliere; nelle teorie estetiche dello strutturalismo praghese e in particolare di Mukafovsky; nella ermeneutica di Gadamer; nella sociologia della letteratura. Per quanto riguarda le teorie semiotiche si tratta semplicemente di stabilire quali di esse hanno tenuto conto del momento pragmatico. In tal caso osservava già Morris in Foundations of the theory of signs, 1983, che anche nelle semiotiche classiche è sempre presente un riferimento all'interprete (retoricagreca e latina, pragmatica sofistica, retorica aristotelica, semiotica agostiniana che intende il processo di significazione in riferimento all'idea che il segno produce nella mente dell'interprete, e via dicendo). Vorrei solo ricordare il contributo dato dagli studiosi italiani di semiotica delle comunicazioni di massa, nel convegno di Perugia 1965.sui rapporti tra televisione e pubblièo, dove si ribadiva che per definire il messaggio televisivo e i suoi effetti bisognava non soltanto studiare ciò che il messaggio dice secondo i codici dei propri emittenti ma anche ciò che dice o che può dire in rapporto ai codici dei destinatari. E dove si formulava il concetto di «decodifica aberrante», che ho poi sviluppato ne La struttura assente (1968). A' quei tempi non era ancora stata proposta una compiuta teoria della ricezione, e noi utilizzavamo - da bricoleurs - sia ricerche sociologiche, di cui contestavamo il metodo, che Le idee di Jakobson e del primo strutturalismo francese (ma in posizione un poco eretica rispetto a quest'ultimo, che privilegiava il puro studio del messaggio in quanto oggettò autonomo). Paolo Fabbri avrebbe poi regolato i conti con le teorie sociologiche della ricezione in quel suo memorabile Le comunicazioni di massa in Italia: sguardo semiotico e malocchio della sociologia (Vs, 5, 1973). Quindi sin dagli anni sessanta le teorie della ricezione sono nate come reazione (i) agli irrigidimenti di certe metodologie strutturalistiche che presumevano di poter indagare l'opera d'arte o il testo nella sua obbiettività di oggetto linguistico; (ii) alla naturale rigidità di certe semantiche formali anglosassoni che presumeva-no di astrarre da ogni situazione, circostanza d'uso, contesto nel quale i segni o gli enunciati venivano emessi - era il dibattito tra semantica a dizionario e semantica a enciclopedia; (iii) all'empirismo di alcuni approcci sociologici. Per questo direi che, nei due decenni successivi, più che di cambio del paradigma, come ne ha parlato Jauss, si sia trattato di ritorno a un paradigma trascurato. Naturalmente chi vi parla - per capire anche le ragioni sentimentali di questa ricostruzione archeologica - è l'autore di Opera aperta e quindi di un libro che-scritto tra il 1958 e il 1962 - con strumenti ancora improprii poneva alla base del funzionamento stesso dell'arte il rapporto con L'interprete, un rapporto che l'opera istituiva, autoritariamente, come libero e imprevedibile, per quel che L'ossimoro vale. Era il problema di come l'opera, prevedendo un sistema di aspettative psicologiche, culturali e storiche da parte del ricettore (oggi diremmo «orizzonte di attese»J, cerca di istituire quello che Joyce chiamava, in Finnegans Wake, un ;<IdeaiReader». Naturalmente allora, parlando di opera aperta, mi interessava che questo Lettore Ideale fosse costretto a soffrire - sempre in termini joyciani - di una «insonnia ideale», indotto come era dalla strategia testuale a interrogare l'opera all'infinito. Tuttavia insistevo che dovesse interrogare que~'opera, e non le proprie personali pulsioni, in una dialettica di «fedeltà e libertà» che ancora una volta mi era ispirata dalla estetica dell'interpretazione di Pareyson (di cui, come mi è accaduto di ·direrecentemente, elaboravo una versione «secolarizzata»). Ma nel sostenere.che anche L'invitoalla Libertàinterpretativa dipendeva dalla struttura forma/e dell'opera, mi ponevo il problema di come l'opera potesse e dovesse prevedere il proprio lettore. Nell'edizione del 1962 mi muovevo ancora in un orizzonte pre-semiotico, ispirandomi alla teoria dell'informazione, alla semantica di. Richards, oltre che a Piaget, a Merleau-Ponty, allapsicologia-transazionale. In quella sede osservavo che «la trasmissione di una sequenza di segnali a scarsa ridondanza, ad alta dose di improbabilità [così allora definivo in termini informazionali il testo artistico J richiede che entri nell'analisi la considerazione degli atteggiamenti e delle strutture mentali con cui il ricevente seleziona il messaggio e vi introduce una probabilità che in realtà vi è contenuta al pari di molte altre a titolo di libertà di scelta». Nell'edizione del 1967, dopo la riscritturaper la versione francese del 1965 (e dopo il mio incontro con Jakobson, i formalisti russi, Barthes e lo strutturalismo francese) scrivevo: «L'attenzione dovrà spostarsi dal messaggio, in quanto sistema oggettivo di informazioni possibili, al rapporto comunicativo tra messaggio e ricettore: rapporto nel quale la decisione interpretativa del ricettore entra a costituire il valore effettivo dell'informazione possibile... Se si vuol esaminare Lapossibilità di una struttura comunicativa, non si può prescindere dal polo "ricettore". In tal senso occuparsi di polo psico.logico significa riconoscere la possibilità f ormale (indispensabile per spiegare la struttura e l'effetto del messaggio) di una significazione del messaggio solo in quanto interpretato da una situazione data (una situazione psicologica e, attraverso di essa, storica, sociale, antropologica in senso lato)». E mettevo in nota una illuminante citazione del vecchio Jakobson, 1959: «Le ricerche che han cercato di costituire un modello di linguaggio senza alcuna relazione al locutore e all'uditore, e che ipostatizzano così un codice separato dalla comunicazione effettiva, rischiano di ridurre il linguaggio a finzione scolastica». In Opera aperta, così come negli scritti successivi,·non era solo questione di testi verbali, ma anche di pittura, cinema e ripresa televisiva in diretta, vista come struttura narrativa. Ma che il problema di questo ricettorefosse anche quello del lettore dei testi verbali lo ha notato proprio Wolfgang Iser (Der Akt des Lesens, 1976) che ricupera quei miei remoti approcci alla dialettica autore-opera-lettore, individuando inoltre nella discussione sul segno iconico (siamo alla Struttura assente, del 1968) l'idea che i segni letterari siano una organizzazione di significanti che, anziché servire a designare un oggetto, designano istruzioni per la produzione di un significato. 2. Casistica Veniamo ora alla situazione attuale. L'opposizione tra approccio generativo ( che prevede le regole di produzione di un oggetto testuale indagabile indipendentemente dagli effetti chlprovoca) e approccio interpretativo, non è omogenea con un altro tipo di opposizione che circola nell'ambito degli studi ermeneutici, e che di fatto si articola come una tricotomia, e cioè quella tra interpretazione come ricerca della intentio auctoris, interpretazione come ricerca della intentio operis e interpretazione come imposizione della intentio lectoris. Se negli ultimi tempi il privilegio conferito alla iniziativa del lettore (come unico criterio di definizione del testo) acquista eccezionali caratteristiche di visibilità, di fatto il dibattito. classico si articolava anzitutto intorno alla opposizione tra questi due programmi: - si deve cercare nel testo ciò che l'autore voleva dire; - si deve cercare nel testo ciò che esso dice, indipendentemente dalle intenzioni del suo autore. Solo accettando il secondo corno dell'opposizione- si poteva successivamente articolare l'opposizione tra: - bisogna cercare nel testo ciò che esso dice in riferimento alla propria coerenza contestuale e alla situazione dei sistemi di significazione a cui si rifà;- • - bisogna cercare nèl testo ciò che il destinatario vi trova in riferimento ai propri sistemi di significazione e/o in riferimento ai propri desideri, pulsioni, arbitrii. Questo dibattito sul senso del testo è di capitale importanza, ma non è affatto sovrapponibile al dibattito precedente tra approccio generativo e approccio interpretativo. Infatti si può descrivere generativamente un testo, vedendolo nelle sue caratteristichepresunte oggettive - e decidendo tuttavia che lo schema generativo che lo spiega non intende riprodurre le intenzioni dell'autore, bensì la dinamica astratta per cui il linguaggio si coordina in testi in base a leggi proprie e crea senso indipendentemente dalla vo(ontà di chi enuncia. Del pari si può assumere un punto di vista ermeneutico, ammettendo tuttavia che il fine della interpretazione sia cercare ciò che l'autore voleva realmente dire, oppure ciò che l'Essere dice attraverso il linguaggio, senza peraltro ammet-

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