Alfabeta - anno VIII - n. 83 - aprile 1986

/ Lastagioq"foio,,rientina O gni generazione poetica del Novecento, frammezzo alle proprie prime figure, ha sviluppato, insieme ai protagonisti, quegli eccellenti deuteragonisti in cui più che in altri pare essersi sviluppato, di pari passo col poeta, anche il critico che dentro di lui lo accompagna e lo nutre. Così, figure di spicco come Solmi, o Bigongiari, e persino Raboni e Sanguineti, hanno lasciato prevalere ora il critico ora il prosatore accanto al poeta, dando l'impressione che il loro lavoro in versi non volesse del tutto avanzare, senza che si sviluppasse insieme ad esso quello del critico che lo accompagnava e nutriva. Questo sarebbe valso anche per figure per cui la lezione poetica si sarebbe dimostrata infine dominante, come in Montale, o in Luzi, o più tardi in Pasolini o Zanzotto, anch'essi in vario modo adepti della vecchia formula mallarmeana del poeta «che ha un critico in sé», al più lasciandoci il dubbio, non di rado insoluto, se nella fattispecie si dovesse trattare di un poeta-critico, o di un critico-poeta. A dimostrare, come ci è già accaduto di affermare or non è molto, l'opportunità della sansoniana collana di «Foné», in cui scrittori di versi già pervenuti a un particolare grado di maturità e notorietà hanno ripensato e antologizzato il proprio lavoro, cogliendo l'occasione per ragionare criticamente su di sé, fino a indicare il senso di un percorso fatto e, implicitamente, ancora da fare. È ora il caso dell'Autoritratto poetico' di Piero Bigongiari, in cui, partendo dalla radice della propria esperienza negli anni '30-40, il poeta e critico fiorentino ce ne restituisce il percorso in sede di poetica e di autoriflessione, dandoci del pari le pezze antologiche essenziali per illustrarne il tracciato. Non subito iniziando dalla stagione fiorentina dell'Ermetismo, di cui Bigongiari è stato uno degli indiscussi protagonisti poetici col suo primo libro La figlia di Babilonia accanto al Luzi di La barca e di Avvento notturno, al Parronchi di I giorni sensibili, a Betocchi, a Traverso e a pochi altri, ma scavando nella preistoria di un recente scritto autobiografico, «Il respiro delle sorelle», inizialmente comparso nel suo volume di scritti in prosa, di viaggio e narrativi Visibile invisibile,3 e ripubblicato ora in apertura di questo Autoritratto poetico, in cui il poeta ci dà, in questo caso, una serie di motivi che andranno a costituire il fondo mitico, indistinto e fin preverbale della sua visione. Solo a partire da esso la sua espressività potrà sorgere immutata e tuttavia mobilissima, fortemente interiorizzata e tuttavia immersa simbolicamente nel dramma storico e poi bellico degli anni '3040, che renderanno Bigongiari protagonista insieme agli altri suoi coetanei in seno all'Ermetismo fiorentino, ma risalendo poi indietro a temi più originari e personali, che attengono alla sua preistoria infantile immersa in una propria vicenda archetipica e preverbale, e che ciclicamente e a precisi stadi del suo sviluppo poetico si riproporranno nella spirale sempre più complessa e conscia della sua trama espressiva, dagli anni formativi al lavoro di oggi. Si &ia trattato, secondo questa falsariga del: «... sole occiduo che, dritto come una spada ... » percorreva a sera la strada dei suoi sogni di amore infantile a Pistoia, fra via del Vento e via della Madonna; o del vento appenninico che dando il nome alla strada della sua infanzia scendeva lungo i fianchi petrosi della cupola del duomo cittadino a dar loro una forma, fino alla finestra del poeta; o del trambusto del demente che, quotidianamente e in anni di demenza storica e pubblica, passava per strada sbracciandosi e applaudendo «... al non senso del mondo, e forse al non senso del suo stesso mistero ... »; o infine del La gizzati. Per Bigongiari, lungo tutti gli anni '50, si sarebbe trattato di incontrare altri da sé e altri paesi e, in essi, di individuare emblemi e paradigmi (la «zingara di Salisburgo», la «vergine egizia», il «monaco del Sinai»), che gli indicassero, in mezzo al labirinto del dopoguerra, la via per ritrovare il suo centro originario fra terra e mare, fra foce di fiume e mare, la consistenza e la dinamica di un io poetico ora più effuso e diffuso di là da ogni ipotetico naufragio personale o generazionale, nel cronotopo di una coGola Mensile del cibo e delle tecniche di vita materiale In questo numero: Ierie oggi, macellai e carni Italian Cooler/Diet coke M. Minghetti:La carne del boom M. Montessoro: Vegetariani per forza M. Montanari: L'arrosto dei forti E. Gulli: Il cuore mangiato 40 paginea colori, Lire5.000 Abbonamento per un anno ( 11numeri) Lire 50.000' Inviare l'importo a Cooperativa Intrapresa Via Caposile 2, 20137 Milano ContoCorrente Postale 15431208 tranquillo respiro notturno delle sorelle, che nella comune camera da letto: «... immetteva come un'ebollizione di tenerezza ... » nel sonno adolescente del poeta: tutti questi motivi non certo così espliciti, ma tradotti e trasfusi in metafora e figurati insieme a tanti altri, potranno ricorrere nella sua poesia, a condizionarne profondamente il senso e il movimento nel tempo e nello spazio, fino a darne il fondo di essenza e di evidenza. Ef da lì che la storia poetica di Bigongiari, individuato ben più che un pis aller nell'essenzialità della parola vocazionalmente nuda dell'Ungaretti di Sentimento del tempo, avrebbe attinto a un suo centro. In un tempo di attese taciute e irrelate, avrebbe (insieme ai migliori suoi coetanei) trovato una parola carica di durata, dal cui interno, negli anni della guerra e subito dopo, sarebbero nate le occasioni e infine gli oggetti della sua poesia, e non una poetica aprioristica come era accaduto per altri. L'orfismo di La figlia di Babilonia, non contentandosi dell'irrelatezza storica in cui allora agiva l'io lirico, avrebbe favorito una sorta di dismisura, che, colmando drammaticamente il dislivello fra il poeta parlante e scrivente e la vita oggettiva che si svolgeva, ne avrebbe giustapposto e fatto lievitare: «... il simbolo orfico a contatto di gomito col dato oggettivo ... », questo nel suo secondo libro, Rogo,4 formandolo e maturandolo proprio a cavallo della guerra. Parimenti, l'essenzialismo lirico del suo primo libro, che in questo Autoritratto poetico è testimoniato da liriche come «Vetrata» o «Giunchiglia», si sarebbe rappreso e meglio oggettivato nell'intelligente accettazione di una lucidità di stampo inontaliano, in componimenti come «Non so» o «Ritorno di fuoco», qui ugualmente antolostellazione verbale, in cui ritrovare il nome non del tutto pronunciato di un centro simbolico assente o privo di un dichiarato referente. Tale è la lenta ma inflessibile marcia di avvicinamento di Bigongiari all'individuazione di suoi simboli essenziali: quello di «Il corvo bianco», che intitolerà l'omonimo libro5 e: «... beccherà tra l'erba / d'una eterna stagione: sarà un fioc- . co I di neve mossa dall'alto dei cieli. / Batte il martello sulle assi schiodate ... ». Un autentico messaggero di pace priva di referente, a cui, nella memoria creativa degli stessi anni '50-60, si oppone forse nella sua poesia la ferocia altrettanto priva di referente della tigre del circo Gleigh, ricordata in «Stazione di Pistoia» assieme ai due astri, sole e luna:« ... che sorvegliano il riso ai passeggeri / immortali affacciati ai finestrini ... ». Simboli essenziali come il: «... canto inatteso del gallo... » che, negli stessi anni, chiudeva «Inno secondo», e con esso l'organizzazione metaforica di una lunga stagione pre-bellica e post-bellica di questa poesia. Di cui risulterà infine chiaro, se pure nei consueti modi trasposti e fin artificiali, il passaggio dalla nuda lirica delle origini alla sua dilatazione poematica e fin romanzesca, al possibile Bildungsroman della maturità, risultante dal percorso che va da La figlia di Babilonia a Torre di Arnolfo,6 che porterà il poeta dalla periferia al centro ormai drammatizzato e dinamizzato del suo scenario poetico. È in Torre di Arnolfo e nella macrometafora che esso forma con i precedenti libri, dal titolo complessivo di Stato di cose, che Bigongiari, aggirata la possibilità ormai sigillata e rifiutata del canzoniere, riaprirà con decisione il discorso al flusso poematico e alla drammatizzazione di Antimateria7 - ed è ancora il titolo di un libro importante che rilancia l'intero giuoco della sua poesia fuor della linearità chiusa della pura lirica - verso il nuovo informalismo attivo della memoria creativa, che, in parallelo col magma e col metamorfismo del Luzi di quegli stessi anni, porta il discorso di Bigongiari fra il '60 e il '70 a non perdere il contatto col limite oltre il quale la ragione poetica si rompe in solafoné fra vero e immaginario, fra visibile e invisibile, fra reale e irreale, nell'ambito più durevole della sua generazione poetica e, ormai, anche delle successive che premono e si affiancano. e osa è mai, in un componimento come «Torre di Arnolfo», qui opportunamente antologizzato, l'individuazione di un percorso in cui: «... nel crollare dei tizzoni/ è larva che consegna a verità/ l'antico sforzo ed il futuro ... », o in cui morti e vivi: «... avanzano in uno stesso tempo/ incerto e consegnano a un morto che vive/ parole,· sangue, lacrime ... »? C'è la rimessa in giuoco di tutto (proprio di tutto) nel superamento del possibile canzoniere, nella sua poematizzazione e dilatazione in una materia verbale divenuta, appunto, anche iLsuo opposto dialetticamente antimaterico. Il disegno fatale e tuttavia non programmato dal poeta immerso a piene mani nel significato dei suoi significanti, che: «... ora si accorge che un centro è dappertutto, dove l'uomo è anche il bicchiere che beve, il gesto è l'oggetto gestito, ed egli non sa se sia la stessa pensante vendemmia a porgerlo alla propria pensante ebrietà ... ». Moses, 8 il libro ancora successivo, sarà il luogo in cui tutto questo quaglierà e si solidificherà, appunto, in poema: la preistoria originaria dimenticata e ritrovata da parte di chi scrive e la vera storia del Bi- - gongiari lirico nell'Ermetismo degli anni '30-40, e insieme le nuove terre poetiche emerse sulla scena dei decenni successivi, siano esse di carattere più realistico o in senso lato allegorico, fisico o metafisico, semiologico e fonematico, in un labirinto la cui dilatazione fra visibile e invisibile può dimostrarsi continua, così come a suo tempo può esserlo stata l'immaginosità perenne dei surrealisti. E qui, a volere approfondire il discorso, si imporrebbe un confronto col Bigongiari prosatore dell'altro libro di cui si è prima accennato, Visibile invisibile, che in altro senso, parallelamente, lo riassume per lo stesso arco di anni. Il poeta di Moses, di là da ogni 'movimento lineare o concluso del suo passato discorso lirico, diviene attore e agito della possibile virtualità anche interpersonale e fin epica e informalistica di canto, che alla donna sempre presente e salvatrice della sua poesia (nutrice o regina che essa sia) offre tutto il dicibile e il non detto della propria vicenda interna di uomo: «... Non so - dice a un certo punto del componimento, sicuramente decisivo a indicare il luogo centrale e abissale della propria durata poetica - / se porgi l'acqua o se bevi una culla, / mia regina, dall'acqua che m'inoltra / dentro fulvi deserti verso un mare/ che dovrà aprirsi al mio passo orientale / non più mio, non più tuo, non più regale ... ». L'azione poetica per il Bigongiari successivo e di oggi, che memore della parola a suo modo istituzionalizzata di Moses: «... che sgorga dalla gola che impietrita I non sa se comandare od obbedire ... », nel suo nuovo libro «in fieri» Col dito in terra,9 non potrà consistere che in una totale risalita alle Madri e alle origini, in simultaneità con una ugualmente assoluta e totale discesa nel presente. In un movimento di altrettanto assoluta divaricazione del senso in un flusso poetico a 180gradi, inclusivo di ogni stratificazione originaria e archetipica della sua vicenda di poe\a (nato, non si dimentichi, alle focidell' Arno, a Navacchio nel Pisano, fra terra e acqua come il suo mitico e simbolico Moses), e inclusivo di tutte le terre e acque, e di tutte le esperienze storiche e metastoriche, che vivendo Bigongiari ha affrontato e superato espressivamente con la sua parola e con tutto il taciuto che le fa alone e le dà senso e spessore. Fino a ritrovarvi il punto e il luogo dell'esplorazione simbolica originaria, il luogo in cui la parola si identifica con la foce stessa dell'essere, col presente dell'esistere nella più divaricata unità di spazio/tempo, in un'alfa e un'omega della funzione poetica stessa, infine interamente formata e pronunciata in un suo presente perenne. Note (1) Cfr. Piero Bigongiari, Autoritratto poetico, Sansoni, Firenze 1985. (2) Vedi Piero Bigongiari, La figlia di Babilonia, Parenti, Firenze 1942; ora definitivamente in Stato di cose, Mondadori, Milano 1968. (3) Cfr. Piero Bigongiari, Visibile invisibile, Sansoni, Firenze 1985. (4) Vedi Piero Bigongiari, Rogo, Edi- 00 zioni della Meridiana, Milano 1952;ora g definitivamentein Stato di cose, op. cit. -~ (5) Vedi Piero Bigongiari, Il corvo ~ bianco, Edizioni della Meridiana, Mi- 'O ~ lano 1955; ora definitivamente in Stato "' di cose, op. cit. ...., (6) Vedi Piero Bigongiari, Torre di Ar- ~ noi/o, Mondadori, Milano 1964. §- (7) Vedi Piero Bigongiari, Antimateria, Mondadori, Milano 1972. ~ (8) Vedi Piero Bigongiari, Moses, ~ Mondadori, Milano 1979. -S (9) Cfr. Piero Bigongiari, Col dito in i terra, in preparazione da Mondadori, ~ Milano. ~

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