Alfabeta - anno VIII - n. 83 - aprile 1986

e on la pubblicazione di Annales Giuliano Gramigna ha toccato un punto molto alto della sua scrittura in versi, il suo più alto, e si colloca tra i più significativi di questi anni, anche a dispetto di chi continua monotonamente e sordamente a proclamare, stagione dopo stagione, che «l'annata è stata mediocre». Ma passiamo dalla cronaca alla critica e chiediamoci con quali mezzi e sospinto da quali intenzioni Gramigna sia arrivato a tanto, dopo anni e anni di alacre attività, per altro mai deludente. Credo che la risposta la si possa trovare tra le pieghe e i non mai prima confessati pensieri nati dal/'assidua lettura di Freud, direttamente e tramite -Lacan. Mario Lavagetto ci ha lucidamente ricordato, in un libro straordinario (Freud, la letteratura e altro, Einaudi, 1985) che Freud aveva imparato da Charcot una lezione fondamentale: che se la «formula» tradisce irreparabilmente l'esistenza, è altrettanto vero che senza il filtro di una formula, l'esperienza risulta del tutto illeggibile. Ora il passaggio dalla «formula» alla forma è abbastanza agevole e dentro il «teatro da camera» de~'analisi Freud scopre che il sogno e la poesia si a·vvolgono di una maschera (sto citando ancora stia / ciabbia fatto troppo onore ... Il - È questione de modestia; I - je rispose un Ranguttano - / l'importante è che la scimmia / nun sia scesa dar cristiano». Sinteticamente: protocollo numero 1: l'animale consente un accesso al problema del primitivo e ben volentieri vedremo, dopo il convegno sul porco, anche uno sull'asino, con Apuleio al centro naturalmente, maestro iniziatico che ha celebrato, prima delle sofisticazioni junghiane (cfr. von Franz, L'asino d'oro, Boringhieri 1985), le orgogliose fierezze della nobile soma. Nessuno al riguardo - spero - vorrà trascurare, promuovendo un sacrosanto riflusso di antropologia urbana, i gerghi dei macellai e le sottili sadiche descrizioni dei loro clienti, le sapienti tecniche del dentista che ci attrezza per la masticazione, le sublimi preparazioni esposte nei libri di cucina, fast food permettendo, che ricacciano nei nostri unti scaffaletti domestici le mirabolanti descrizioni di Tommaso Garzoni da Bagnocàvallo nel suo Serraglio degli stupori del mondo. D'ora in poi suggerisco di stare attenti all'impiego degli animali in letteratura, nella nobile alta letteratura, curialissima maga che sottrae il nostro pensiero alle angosce del quotidiano per ricacciarlo nelle sfere estetiche della ricezione e della simulazione. Leggendo, torniamo sulla terra e scopriamo le esigenze della vita quotidiana, ammaestrati da Capitalismo e civiltà materiale di Braudel, fin dalle riposte pieghe dei cerimoniali e dei luoghi deputati al consumo. «Oh, terreni animali! oh menti grosse» (Par. XIX, 85). Ma il richiamo alla necessità di soffermarsi sulle «strutture etnologiche» delle rappresentazioni, per <:::I i:: cui ci può soccorrere un volume di -~ G. R. Cardona (La foresta di piu- ~ me, Laterza1984), non si ferma qui. ~ ...... V i sono altri assi di riferimen- ~ a.. to: prendiamone alcuni. Le §,, misure, i pesi, le dimensioni, ~ i colori, le forme, le sostanze. Le narrazioni· infantili (i diari, ad ~ esempio) sono, come si sa, stracol- l me di particolari e dettagli, quelli ~ che Mukafovsky riconosceva come Chiedilaolcavallo da Lavagetto) e che la loro forma (mia è la sottolineatura) è determinata dalla censura. Ebbene, mi sono convinto che Giuliano Gramigna avesse, prima di Annales, preso come bersaglio con l'ipotetica arma della propria poesia esattamente la censura formante, rinunciando, in favore del- /' analisi «pura» e dell'interpretazione esistenziale immediata, a toccare quella che deve essere considerata una tappa ineliminabile per ogni possibile partenza analitica, cioè la forma della poesia, analoga a quella del sogno, come si è già rilevato. Suppongo che Gramigna abbia fruttuosamente riflettuto su un punto nodale: che le forme della poesia, così come ci sono state storicamente trasmesse, pur con tutte le modifiche e le alterazioni, abbiano sì inglobato l'astuzia menzognera e deviante della censura (freudianamente intesa) ma giocandola e scartandola con l'arma segreta della seduzione estetica. Così che la forma, attraendoci e seducendoci, ci costringe all'interpretazione; mentre il rifiuto precostituito, e in definitiva molto ingrnuo, della ricerca di una possibile forma porta a risultati apparentemente più «veri» ma che ci allontanano dalla possibilità di comunifattori fondamentali dei testi folklorici. I Quaderni di san Gersolèla scuola gestita con passione da Maria Maltoni fin dagli anni '50 - contengono pagine stupefacenti· per il richiamo costante a un'abilità nel vivere che si fonda sulla manipolazione delle cose, sulla capacità di intervenire nel reale ricorrendo non a una «magia tecnologica» - allora peraltro impensabile - ma piuttosto a una tecnica del quotidiano, a una sperit?entalità occaAntonio Porta care per essere interpretati. In sostanza Gramigna ha recuperato la prima lezione freudiana sulla poesia come «precedente» della psicoanalisi. Sulla spinta di questo recupero è allora necessario ricominciare a esplorare quel territorio in cui una forma può nascere. Un ritorno alla cosiddetta «tradizione»? La risposta è sì se per «tradizione» si intende quella sperimentale che percorre tutta la,.nostra letteratura. (da Dante in poi, testimonia Gianfranco Contini, come è ben noto). In altreparole: è come se il viaggio, l'avventura della forma prendesse l'avvio da un qualche punto fermo, acquisito, «istituzionale», direbbe Luciano Anceschi, per poter resistere modificandosi. Alla luce di quanto detto finora apparirà ben giustificata la serie finale dei tre sonetti, intitolata (S) forme, e di conseguenza significativo il titolo del primo: Sulla poesia in (S) forma di poesia, tanto da poter formulare l'ipotesi che da queste tre (s) forme siano nate a ritroso le forme delle due parti precedenti, gli Annales propriamente detti e le Glosse ai testi. Ora se leggiamo l'ultimo sonetto, L'animale a due schiene («Per quanto s'accrocchi si monti giri I l'animale dalla doppia schiena I sa, onerosa - di compilare un modulo e una dichiarazione dei redditi o di scrivere un biglietto di ringraziamento o d'amore. I bambini nei loro scritti e soprattutto nelle loro domande ci richiamano continuamente a una capacità di «trattare» il mondo fondata su tecniche elementari, quelle del mito per intenderci, mediante le quali l'accesso alle conoscenze e alle spiegazioni dipende da un intervento sulla realtà e sulla natura. per riempire spazio l'ingorghi di spiri I spurghi membri messi in catena; I e faticosa demente l'iri - I de s'emulsioni in sperma in lena I di meccanismo nonsocchè con giri I e sconquassi scardinìo di glene - I be' ma ça ne colle pas dichiara I e il vuoto si stermina di vuoto I a dispetto dei suoi fottimenti. I Spremuto il sacculo di seme e inchiosro I contempla ora il lavoro di niente I che scriba e mondo e fottitore equipara».) Ci possiamo ben rendere conto del massimo paradosso dell'arte e della poesia, che esiste nonostante sia costretta a dichiarare l'inattingibilità del reale e la propria inconsistenza e/o inesistenza come valore comunicabile. Il 7 luglio 1898 Freud scrisse a Fliess (rimando ancora al libro di Mario Lavagetto): «Ecco qui ... Mi è stato tutto dettato dall'inconscio, secondo la nota risposta di Itzig, cavaliere della domenica. "Itzig, dove vai?" "Non chiederlo a me, chiedilo al cavallo!" All'inizio di ogni paragrafo non sapevo come l'avrei finito». Freud esemplifica così l'avventura della propria scrittura d'indagine, come ogni altra scrittura «sperimentale» (in Freud questo vocabolo ha ovviamente una valenza anche scientifica). Si può, credo, andare oltre, «fraintendendo» vo-• a mostrare, nelle sue ossessioni che sono soprattutto appelli alla natura e alla coscienza, perché parlino da sole, al di fuori del linguaggio, senza mediazioni. È - se si vuole - un richiamo all'asse metonimico, non a quello metaforico che imbroglia e tutto - e quindi nulla - rende possibile. Secondo protocollo: osserviamo con attenzione, valutandone la consistenza e soprattutto la motivazione, i dati materiali della coFortunato Depero, Squisito al selz, 1926, riprodotto in Futurismo 1932, Dinamo futurista 1933, Editions Jean-Michel Piace, 1979 sionale ma redditizia perché toglie dagli impacci, a cui ci sta disabituando la civiltà computerizzata. Forse è la scrittura una delle attività più insidiate o in via di completa trasformazione; e quindi bene ha fatto Gianfranco Falena a richiamarci ogni anno a Bressanone sulle «forme primarie della scrittura» (lettera, diario, autobiografia ... ), ora che è in crisi «l'oggettivazione e l'educazione scrittoria» e che si considera fra le «abilità sociali» a cui si intitolano nuovi insegnamenti anche quella - come si Sapremo rispondere? L'insegnamento che si cela nel- !' «ingenuità» si trasferisce anche nella letteratura e prende il nome, come ci hanno mostrato i semiologi sovìètici, di «coscienza mitologica». Sono appunto le enumerazioni, la necessità di quantificare continuamente gli oggetti mediante il ricorso ai loro colori, forme, sostanze, le descrizioni in cui si addensano più numeri che qualità a far lievemente emergere la dimensione primitiva. Kafka è, credo, l'autore che più vistosamente lo dà struzione del referente nel testo artistico; troveremo quantità, generi e specie del vivente, colori e forme, traiettorie e dimensioni. In certi casi, sarà possibile costruire la fisionomia cosmografica degli scrittori e delle epoche, a seconda delle preferenze dimostrate, che è quanto dire a seconda dei fattori costitutivi della realtà che sono fatti emergere. Un'ultima osservazione, forse un terzo ma non certo definitivo protocollo. L'antropomorfizzazione è il requisito, palese od occulto, lutamente questo celebre passo in tal modo: se chiedi a un poeta, che si è appena servito della «menzogna» della forma per incarnare e insieme puntare il dito sulla «censura» che si frappone tra sè e la realtà, se insomma gli chiedi: «dove va questa tua opera di poesia?», egli deve risponderti: «chiedilo a lei, ali'opera, se sei in grado di sentire la risposta. Sa solo lei dove si trova». È per questa ragione, ne sono convinto, che ogni «progetto» di poesia non può che essere un «progetto di forme», anche quando il punto di partenza è prelinguistico, cioè un «sentimento». Di fatto solo una forma raggiunta, comunque e sempre provvisoriamente «raggiunta», ha in sè la possibilità di «rispondere al lettore», cioè al suo «coautore». Annales di Giuliano Gramigna è esempio molto significativo di questo percorso: leggendo queste poesie si è costretti a calarsi dentro l'imbuto del/'analisi e a usarle come occhiutissime sonde. Giuliano Gramigna Annales Milano, All'insegna del pesce d'oro, 1985 pp. 80, lire 10.000 di molte descrizioni letterarie o più semplicemente narrative, lo schema che più o meno cautamente si sovrappone a qualunque esigenza di «oggettività» e che si insinua in ogni realismo, trasformando glioggetti a misura umana, come addita un celebre passo leonardesco, dove il corpo dell'uomo è assimilato nelle sue parti a oggetti naturali: pietre, fiumi, volta del cielo... A lain Robbe-Grillet, in una sua «istantanea» presumeva, con una certa superbia, di darci le cose come sono e così presentava una caffettiera: «La caffettiera è sulla tavola. È una tavola rotonda a quattro piedi, ricoperta di un'incerata a riquadri rossi egrigi su un fondo di tinta neutra, un bianco gialliccio che in origine forse era avorio - oppure bianco. Al centro, una piastrella di ceramica fa da sottopiatto ... La.caffettiera è di maiolica marrone. È costituita da un globp che culmina in un filtro cilindrico fornito di coperchio a fungo. Il becco è una esse dalle curve schiacciate, un po' panciuto alla base. Il manico ha, volendo, la forma di un orecchio, o piuttosto dell'orlo esterno di un orecchio; ma come orecchio sarebbe mal fatto, troppo arrotondato e senza lobo, un orecchio appunto a "manico di brocca". Il becco, il manico e il fungo del coperchio sono color crème. Tutto il resto è di un marrone chiaro molto compatto, e lucido». Bene, questa però - a leggere, a veder bene - non è una caffettiera, ma un corpo, con globo (testa), becco (bocca), orecchi, pancia e piedi e ha, appunto, un incarnato crème. All'antropomorfismo e alle metafore non si sfugge, nemmeno nelle descrizioni che si vorrebbero ossessivamente puntuali e dettagliate. Tutto ciò permette, forse, dicostruire però una speranza per il «primitivo», un suo degno futuro. È nella realtà materiale, nell'attenzione al minuto funzionamento delle cose e alla capacità di saperle convenientemente manipolare che si cela oggi, forse, la più sensata possibilità di un umanesimo non rinunciatario e non solipsistico.

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