Alfabeta - anno VIII - n. 83 - aprile 1986

testualizzandole. Naufrage dentro la cornice della «fine del simbolismo», divenuto ormai semplice surfetazione metafisica scarica di ogni energia innovativa (cioè opaca ripetizione di se medesimo), e probabilité nel territorio ricchissimo di fermenti rivoluzionari della nuova matematica. Naturalmente il senso di naufrage va ben oltre la semplice storiografia letteraria («fine del simbolismo») e coinvolge il ripensamento del principio di causalità che si trasforma, dopo il naufragio, appunto, in principio di probabilità. Siamo alla fondazione del moderno, del moderno che comincia nel Coup de dés a cercare la propria misura, i propri ritmi, la propria musica nuova. Per trovare una misura nuova occorre disperdere quella precedente ma facendo bene attenzione a non rinunciare al concetto stesso di misura. Di fatto quest'opera di «dispersione-ricostruzione» esplora le possibilità di un nuovo significante che assorbe dentro di sé anche il supporto che lo rende possibile: la pagina, con il suo bianco e il.suo spazio esattamente definito, ritagliato nel senza fine o senza confine. Una volta scoperto il «collante» che evita la dispersione totale, la musica si forma con lo strumento che chiamiamo «grafica», cioè per mezzo della misura dei rapporti tra vuoti e pieni. S iamo arrivati al cuore del rapporto tra grafica e poesia con sufficiente chiarezza, mi pare. Per evitare successivi, possibili, equivoci, è ora necessario mettere a fuoco altre due o tre osservazioni. La prima riguarda l'uso della grafica come strumento di nuove relazioni di senso nell'ambito dell'attività dell'avanguardia. Sono convinto che la ricerca letteraria sia arrivata con Un coup de dés a un punto terminale, dunque di impossibile «imitazione», e in grado, invece, di produrre un benefico «effetto di ritorno», come una palla che rimbalzi. Intendo dire che nessuna poesia prima di questo poema può essere letta come se questo «terminale» non fossè-·stato raggiunto, e che nessuna poesia scritta dopo, o da scriversi, può prescindere da questo risultato. Ciò però non significa che si • possa «continuare» Mallarmé. Va preso come una conclusiont, come ogni altra esperienza di avanguardia, che ripetuta diventa priva di quel senso che ogni avanguardia vuole ritrovare dopo la morte del senso, a partire da un naufragio. «Effetto di ritorno» non significa affatto «ritorno all'or'dine» per il semplice motivo che un- ordine successivo deve tenere conto del disordine che lo ha generato. L'avanguardia è sempre destinata a morire, dopo una vita mediamente breve, perché si dissolve nell'esperienza generale della percezione artistica e poetica del linguaggio. Dopo Un coup de dés quella particolare «partitura musicale» che chiamiamo «poesia» torna a . ripensare globalmente se stessa e tutto sembra· di nuovo possibile proprio a partire dal concetto di probabilità, che ha fatto esplodere la grafica e la misura tradizionali del verso. Se progetto di scrivere un sonetto non ho dubbi che un «colpo di dadi» lo attraverserà, e creerà, al suo interno, quella tensione che nasce dalla nostra ineluttabile «insofferenza» per la forma chiusa, che infatti chiusa non può essere, ma obbediente alla sua logica interna, quella che detta la propria legge anche agli autori. Un'ultima precisazione. Dicendo «effetto di ritorno» non intendo certo «abolizione del futuro» e del -progetto, in letteratura. Al contrario, un risultato terminale è anche uno strumento, cioè un modello, un riferimento essenziale di ogni successiva poetica. Un coup de dés è il primo esempio di come si possa affrontare quella che oggi chiamiamo «complessità» e che Mallarmé designava con la parola Abfme. Lacitazionedelmoderno I Retoriche. Entro certi limiti (obbiettivamente difficili e da stabilire) moderno e postmoderno svolgono una funzione retorica o manieristica che non implica adesioni teoriche o morali. E questo vale nella grafica come in qualsiasi altro campo: si tratta dello stesso fenomeno che si è verificato, poniamo, nelle contrapposizioni dialettica/sofistica (in Platone e in tutta la filosofia), scienza/retorica (per esempio nel Seicento), razionalismo/irrazionalismo (nel Novecento). Ogni coppia di termini comporta una parte buona (la dialettica, la scienza, la razionalità) e una parte cattiva (la sofistica, la retorica, l'irrazionalità), ma il principio per cui il termine buono condanna il termine cattivo all'interno di ognuna di queste coppie (e di molte altre, ovviamen~e) non sembra dipendere in ultima istanza dal :termine che lancia l'ostracismo, ma, almeno in pari misura, dall'altro termine, quello ostracizzato. Mi spiego meglio:· gli accorgimenti discorsivi con cui Platone condanna la sofistica in nome della dialettica discendono dalla dialettica e dalla sofistica - e quest'ultima gioca un ulteriore ruolo decisivo nella costituzione della prima: se non vi fosse un'arte dei discorsi falsi, non sarebbe concepibile un'altra arte, filosofica, della formazione dei discorsi veri. Lo stesso procedimento vale pressappoco negli altri casi citati più sopra: la valorizzazione della evidenza sensibile scientifico-sperimentale contro la retorica, nel Seicento, è una operazione che non ha nulla di scientifico, dal momento che agiscesul piano delle assiologie morali e delle giustificazioni sociali - dunque è una operazione retorica; e la retorica, condannata retoricamente, è utile anche a un secondo livello per la valorizzazione del discorso scientifico - essa fornisce infatti il modello negativo, che si presta a essere stigmatizzato dal modello positivo della scienza, costituendone il fondamento avverso. E così pure, la contrapposizione tra razionalismo e irrazionalismo non ha nulla di razionale, e viene costituita principalmente dal razionalismo per giustificarsi e valorizzarsi - mentre per parte sua quello che i razionalisti chiamano irrazionalismo in genere non si pensa mai veramente, né si valorizza, come «irrazionalismo» (quale filosofo, per esempio, ma in genere chi mai, accetterebbe seriamente di presen-. tarsi come irragionevole, pazzo, autoritario, ecc.? Normalmente, le cose sono un po' più complicate e comunque non schematizzabili). L'argomento che ho sinora brevemente discusso è un argomento «postmodernista» giacché lo traggo da un filosofo che i suoi colleghi modernisti definiscono postmoderno - Jacques Derrida. Credo che valga non solo nella contrapposizione dialettica/sofistica, ecc., ma anche nella coppia moderno/postmoderno, dove il moderno (come razionalità e progettualità) si autodefinisce attraverso l'ostracismo rivolto al postmoderno (come irrazionalità, edonismo, cattivo gusto o qualsiasi altra cosa), attraverso procedimenti discorsivi che non sono eminentemente razionali, ma appunto retorico-assiologici. A illustrare in forma sommaria e preliminare questa situazione, credo che possa servire una specie di aneddoto che chiama in causa indirettamente il postmodernista Derrida e il modernista Habermas. Mi è capitato, negli Stati Uniti, di assistere a una conversazione di questo tipo: discutevano due studiosi di teoria della letteratura, uno americano e l'altro inglese, entrambi contrari al postmodernismo filosofico di Derrida e partigiani del modernismo di Habermas. L'americano a un certo punto dice «Derrida è funzionale al sistema capitalistico americano, e lo sa»; l'inglese presenta una attenuante possibile «no, non lo sa» (nei paesi più o meno protestanti la consapevolezza gioca un certo ruolo); detto questo, entrambi si mettono a elogiare il pensiero di Habermas, critico, illuministico e non funzionale al sistema, riferendosi per lo più al Philosophische Diskurs der Moderne che allora era uscito da qualche mese. Ora, a parte che è difficilissimo (e in realtà temo impossibile) valutare se qualcosa sia o non sia funzionale a un certo sistema; a parte che non è certamente in base alla funzionalità ai sistemi politici, economici, militari, che si possono valutare i sistemi filosofici (Platone era verosimilmente funzionale al sistema politico ateniese, Aristotele allo stato macedone, Hegel a quello prussiano) - a parte tutte queste considerazioni da cui peraltro non vedo come si possa prescindere dal momento che costituiscono il nerbo delle requisitorie moderne contro il postmoderno (che infatti è definito politicamente come conservatorismo)- a parte tutto, io mi sono chiesto questo: se proprio vogliamo assumere simili criteri opinabilissimi, forse che queste considerazioni non valgono anche per Habermas? Il suo libro non funzionale allo stato americaMaurizio Ferraris no era composto di conferenze tenute negli Stati Uniti, e consisteva in una requisitoria contro il poststrutturalismo e il post-moderno che là sono anche più di moda che qui in Europa, per cui era sicuramente funzionale al sistema, trattava di argomenti di attualità, ecc. - non meno che i libri di Derrida. 2 Il duplice parassitismo. I rapporti tra moderno e e postmoderno sembrano modellarsi secondo un duplice parassitismo. Da una parte, il postmoderno è sicuramente un parassita nei confronti del moderno; non ci sono dubbi e i postmodernisti sono i primi a riconoscerlo. In La Condition postmoderne Lyotard precisava appunto che il postmodernismo non nasce come reazione contro il modernismo, che non è un analogo, poniamo, del tradizionalismo romantico-monarchico che nell'epoca della Restaurazione reagì contro il giacobinismo e il terrore rivoluzionario. Piuttosto, il postmoderno è già implicito nel moderno, ne è una evoluzione e amplificazione e insieme, ovviamente, una contaminazione parassitaria. E infatti, sul piano per esempio della grafica, che cosa ha preparato il postmodernismo come dominio incondizionato dell'immagine, delle comunicazioni di massa, del look e della moda - se non proprio il modernismo come regno della moda, della.folla, dell'apparenza, del mercato (sin dall'Ottocento, sin dalle filosofie moderne delle Weltanschauungen, cioè delle immagini del mondo)? Ma d'altra parte, il modernismo non è meno parassitario rispetto al postmodernismo. Questo può sembrare un paradosso, perché pare difficile pensare che qualcosa di storicamente precedente sia parassita di qualcos'altro che vien dopo. Ma le cose non stanno precisamente così. Fino a una certa epoca (che anche qui è difficile precisare meglio) il moderno era parassita dell'arcaico proprio come il postmoderno è ora parassita del moderno. Le giustificazioni del moderno come democratizzazione e parlamentarismo, come Aufkliirung e lotta contro il mito, come modernizzazione e superamento dell'economia feudale avevano un tempo una controparte arcaica da stigmatizzare - le teorie del diritto divino, la superstizione, lo schiavismo, l'oscurantismo. Ora queste controparti negative appaiono del tutto anacronistiche, sono scomparse quasi ovunque e anche nel Terzo mondo totalmente industrializzato sebbene non meno povero di un tempo. E quindi il moderno resterebbe da solo,.esposto alle critiche circa i.-limitidella modernità (che del resto i teorici del moderno non si nascondono). Si ric~iede quindi una nuova controparte da stigmatizzare. Questa controparte è ovviamente il postmoderno, che gioca ora .nei confronti del moderno lo stesso ruolo assolto un tempo dall'arcaico.:feudale. Proprio perciò le accuse moderniste contro il postmoderno insistono nel qualificarlo comé neoconservatorismo. - :_, : grafica cita generalmente formule e stili precedenti. Questo, si dice, è «tipicamente» postmoderno. Ma a ben vedere, e proprio in forza del parassitismo di cui ho parlato sinora, l'oggetto della citazione postmoderna è generalmente il moderno che la ha preceduta. Basta guardare le riviste, le copertine dei dischi, i libri e ovviamente (uscendo dal campo della grafica ma restando nel territorio del gusto e dell'estetica) la moda - che è citazione per eccellenza ~ probabilmente per essenza: ciò che viene citato, a parte i casi- relativamente meno frequenti di quanto non si sia 3 La grafica. Quanto ho_-.:portati a credere - di un postmodetto pot:e~be ès~ere~i)t!<'_: .d~mismo go~ic?: a:abo, a~si~o-ba- • le per ch1anre l'autocom:: . bilonese, e s1m1h- e propno Ii moprensione della grafica?-ln qua)che,~~,eterno.Citazioni, ammiccamenti e modo, forse sì. La gÌ'afica<<Ìnodèr- repechages oscillano tra il futurina», nella sua autocomprensione smo, l'International Style, la Pop talora enfaticamente razionalista, Art e i differenti revival (degli anni esclud~va in buona parte le proprie trenta, quaranta, cinquanta, seseventualità retoriche. Nel mondo santa). E non potrebbe essere dimoderno la grafica viveva almeno versamente, proprio perché il poidealmente nella attesa della pro- stmoderno non si pensa come rotpria autosoppressione. Si incomin- tura nei confronti del moderno, ma eia con la assimilazione dell'orna- come tematizzazione di un parassimento al delitto, si progetta la so- tismo che per parte sua il moderno stituzione di ogni ornamentalità ha qualche difficoltà a riconoscere. con linee che incarnino ideali ra- L'unico problema, a questo punzionali; la teleologia di questo pro- to, sarebbe di attribuzione. Di cesso, almeno idea/iter, dovrebbe fronte a una forma «tipicamente concludersi con la soppressione moderna_»confezionata negli anni pura e semplice della grafica, che ottanta potrebbe sorgere il dubbio giunta a perfezione si annulla di della citazione - per cui ci trovefronte alla pura ragione. Un pro- remmo forse di fronte a una forma cesso analogo a quello tradizional- «tipicamente postmoderna». Ma è mente in opera presso i filosofi davvero così importante? Non ne analitici, per cui la filosofia è puri- sono sicuro, e probabilmente non ficazione del linguaggio, il cui stato sono il solo a pensarla così. A patottimale è l'autosoppressione di to, ovviamente, che il postmoderfronte alla pura ostensione del no non sia visto come aberrazione, mondo di oggetti designati (in for- Kitsch, volgarità e così via. In quel ma inevitabilmente oscura e fuor- caso, è molto importante - retoriviante) dal linguaggio. camente e socialmente - non pasDa qualche anno a questa parte, sare per postmoderni, perché sila filosofia analitica ha incomincia- gnificherebbe più o meno rendersi to a riconoscere le proprie caratte- giustizia da soli, autodefinirsi come ristiche retoriche - non meno reto- volgarità e aberrazione. riche della filosofia «continenta- Ma, appunto, il problema mi pale», ritenuta metafisica e letteraria re sostanzialmente formale, e nodalla filosofia analitica. Ogni di- minalistico: finché il postmoderno scorso è retorico, non ci si può illu- verrà demonizzato, sarà molto imdere di procedere per vie puramen- portante passare per moderni. te razionali. E questa consapevo- (Una prova di quello che dico polezza, per il modernismo in grafica, trebbe essere questa: si sarà notato potrebbe essere un primo buon ri- come negli ultimi anni, dopo l'esultato della comprensione dei rap- splosione ma anche la maledizione porti di parassitismo reciproco che modernista del postmoderno, sono legano ilmoderno al postmoderno. sorte delle catalogazioni ibride, coQuesta consapevolezza del pa- me per esempio «neomoderno». rassitismo potrebbe essere utile an- Ora, che cos'è il «oeomoderno» se che per inquadrare un secondo non un postmoderno che vuole eviproblema, quello della citazione o tare l'ostracismo modernista?). del citazionismo nella grafica - che da qualche anno in qua, in epoca più o meno postmoderna, è predominante nella grafica: ogni formula

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