Alfabeta - anno VIII - n. 83 - aprile 1986

una teoria dell' Einfuehlung, cioè del piacere indotto dalla sensazione di risparmio energetico prodotta dalla contemplazione di risultati che esibiscono uno spreco di maestria gestuale (l'horror yacui del niello, del ricamo, della miniatura), strategia alternativa al lusso moderno dell'impaginazione ariosa, dove lo spreco ostentato è quello delle risorse. È certo che il montaggio f usionista ha un piede nel passato, nelle implicazioni di falso fotografico della fotografia ritoccata, e un piede nel futuro, dell'elaborazione elettronica delle immagini. Del resto certi esiti molto spinti di un Guenter Kieser, di un Holger Mattes, di un Guenter Rambow, non sarebbero pensabili senza l'impiego di workstations pre-press computerizzate. Sembrerebbe una conferma del trionfo del continuo sul discontinuo come la preconizzava McLuhan. Ma sarebbe una lettura epidermica. Si tratta invece di una ulteriore tappa della marcia del sommativo, del discreto, del digitale. Il computer tende a scrivere tutto, anche le figure. E lo fa o indirizzandone ogni singolo punto (pixel), dopo averle sottoposte a scanning, o addirittura generandole a partire da un ventaglio di primitives. E, come nell'impaginazione la lettera con la sua monogrammaticità18 nasconde inserimenti, giunzioni e correzioni nella sintassi elastica, relativa e tutta percettiva della close proximity, così l'immagine risultante dalla stringa di istruzioni della computer graphic fornisce un risultato che il destinatario percepisce come costituito, plasmato, non «smontabile». Il montaggio fusionista emula da concorrente passatista e ad un tempo si prepara per l'immagine scritta. 6 In epoca preelettronica l'orizzonte temporale si e spostava con l'osservatore, le fonti erano lontane o vicine, nella misura in cui costava uno sforzo materiale raggiungerle. In epoca elettronica la posizione dello spettatore è cfi equidistanza: lo sforzo è quello digitale, in entrambi i sensi. Il passato, come si sa, è pensato come un insieme di stili, come un repertorio di costumi riindossabili, come un colossale trovarobato. Gui Bonsiepe molti anni fa, riferendosi a un precedente momento stilistico, quello dello styling alla Raymond Loevy, re del product design americano degli anni '50/60, aveva parlato di innovazione differenziale per definire la pratica del far migrare morfologie da un contesto a un altro. 19 E Perniola, con un tragitto del tutto indipendente, era pervenuto alll'idea di design semiotico e informazionale, che ne rappresenta una generalizzazione. 20 La novità peculiare dell'attualità è rappresentata proprio dall'equidistanza spazio-temporale dai contesti di origine, dalla sostanziale equivalenza, a-pertinenza della scelta. Rispetto all'idea ancora forte di vestire un oggetto con le forme ritenute prestigiose di un particolare ambito della cultura (ad es. la risaputa aeronautizzazione del domestico ferro da stiro), c'è l'idea debole dell'eclettismo. Ma in realtà dietro ai vari fusionismi stylistici c'è ,una versione, sempre aggiornata di arroganza tecnologica. 21 Si pensi all'eclettismo della J ahrundertwende, quello che Nikolaus Pewsner e la sua scuola chiamano Historismus. Esso è, fra l'altro, una forma di propagandismo ( coµie direbbe Reyner Banham) presso gli acquirenti potenziali della primissima società dei consumi: una forma di spiegamento dimostrativo delle facoltà poderose del fare a macchina. Si pensi al Crystal Palace della Great Exhibition del 1884. Vero e proprio viaggio nello spazio e nel tempo con la complicità di scenografi del calibro di Pugin. L'idea di questo concentrato di stili e distanze trasferisce del resto al cliente che ha sempre ragione il mondo in casa·, che i re avevano avuto dal Barocco: serre, padiglioni esotici erovine d'epoca. Ecco l'onnipotenza dell'industrialesimo mercantile: «Noi possiamo fare le ogive in cotto come le originali, anzi meglio, perché sono serialmente identiche)) sembrano enunciare certe architetture finesecolo. O si pensi ai motivi damascati riprodotti fotograficaniente dal nostro Fortuny. Quella di oggi è la onniscienza dell'informatica combinata con l'onnipresenza, la telepresenza22 del video. Note (1) Claude Schnaidt, L'imitation et l'invention, Paris, Unité pédagogique d'architecture n. 1, 1983, p. 4 (2) Walter Gropius, Not Gothic but Modernforour Co/leges, in: New York Times Magazine, 23.10.1949 (tr. it. Archeologia o architettura per gli edifici moderni, in: Architettura integrata, Milano, il Saggiatore, 1963). (3) Maurice Culot, Le monoplan de papier, in: Archives d'Architecture moderne, n. 13, Bruxelles, 1978. (4) Cfr. G. Anceschi, La grafica di pubblica utilità, in: Alfabeta, n. 60 (maggio), 1984. (5) Vedi il mio Monogrammi e figure, Firenze, La casa Usher, 1981, p. 11 e segg. (6) Vedi le trattazioni di Decio Gioseffi, ad es. la voce Prospettiva, Eua, voi. IX, col. 129. (7) Paola Pallottino, Il riuso delle immagini, Illustrazione per l'editoria 11213, in: LineaGrafica, n. 2 (marzo), n. 3 (maggio), n. 4 (luglio), 1985. (8) Gianluigi Pescolderung, C'è un grafico nella biblioteca di Babele, in: M, Giornale di architettura, urbanistica, design, grafica, ambiente e beni culturali, n. 2 (IV bimestre), 1984, p. 9. (9) Raoul Haussmann, cit. in: G. Patti, L. Sacconi, G. Ziliani, Fotomontaggio, Milano, G. Mazzotta ed., 1979, p. 26. (10) Gaddo Morpurgo, Il gusto di rivedere, Milano, Franco Angeli, 1985, p. 68. (11) La nozione è impiegata normalmente in ambito storicoartistico. Vedi ad es. C. Beutler, Das Tympanon von Vezelay. Programm, Planwechsel und Datierungen, in: Wallraf-Richartz-Jahrbuch, n. 29,1975, p. 7 e segg. Oppure: -Ernst Kitzinger, The mosaics . of the Cappella Palatina in Palermo. An Essay on the Choice and Arrangement of Sujéts, in: The Art Bulletin, n. 31, 1949, p. 269 e segg. (12) Tomas Maldonado, Appunti sull'iconicità, in: Avanguardia e razionalità, Torino, Einaudi, 1974, p. 267. (13) Vedi Hubert Damisch, Teoriadella nuvola. Per una storia della pittura, Genova, Costa & Nolan, 1984, p. 102. Vedi proprio in senso tecnico, dell'illustrazione tradizionale e eidomatica il mio: L'oggetto della raffigurazione, in:· Il piccolo Hans, n. 47 (luglio-sett.), 1985, p. 141. (14) Umberto Eco, Trattato di semiotica generale, Milano, Bompiani, 1975, p. 285 e passim. (15) Stelio M. Martini, Del poetar citando, Livorno, Belforte Editore e Libraio, 1984. (16) Gelsomino D'Ambrosio e Pino Grimaldi, Prove di stampa, Roma, Ed. Kappa, 1983,p.35. (17) Sono riflessioni che ritornano a più riprese nel pensiero di Dorfles, ma vedi ad es.: Le oscillazioni del gusto, Torino, Einaudi, 1970.2, pp. 113-115. (18) Vedi il mio: Monogrammi ... cit., p. 70. (19) Gui Bonsiepe, Gesammelter Jargon/Jargantua, in: ulm, n. 819, Zeitschrift der Hochschule fuer Gestaltung, Ulm, 1963. (20) Mario Perniola, La società dei simulacri, Bologna, Cappelli, 1980, p. 131 e segg. (21) «L'éclectisme aux différentes époques, s'est toujours cru plus grand que !es doctrines anciennes parce q'arrivé le dérnier il pouvait percurir !es horizonts le plus reculés», Charles Baudelaire, Curiosités esthetiques, Paris, Callman Lévy, 1921, p. 162. (22) La nozione te/epresenza è un neologismo della ricerca biotecnologica. Cfr. Klaus Gabbert, Menschenmaterial, in: Winfried Hammann, Thomas Kluge (ed.), In Zukunft, Reinbek bei Hamburg, Rowohlt, 1985. Intervista Maldonado Alfabeta. In un nostro numero recente lei ha pubblicato una recensione dell'ultimo libro di Habermas sulla modernità. Da dove proviene la sua crescente attenzione a problemi di natura tipicamente filosofica? Maldonado. Come è noto io non sono un filosofo di professione, sono invece quello che si dice un «lettore attento» di filosofia. È in quanto tale, e solo in quanto tale, che azzardo opinioni in questo campo. Il filosofo statunitense Rorty, ricordando Oakeshott, diceva che la filosofia non è altro che «a voice in the conversation of mankind» e a questa conversazione, credo, possono partecipare non solo i «lettori attenti» di filosofia, ma tutti, non importa se scienziati, ingegneri, politici, romanzieri, amministratori, poeti, architetti o giornalisti. Il mio interesse per Habermas riguarda soprattutto il tema delle fortune e sfortune del mondo moderno e del progetto che era alla sua origine. Certo, Habermas, come ho accennato nella recensione a cui lei si riferiva, non ha dato sull'argomento risposte molto convincenti, ma almeno ha tentato di farlo. Il che è, già di per sé, un fatto eccezionale in un periodo come il presente nel quale sembra regnare la visione heideggeriana secondo cui le domande sono più importanti delle risposte. Dopo tutto, si tratta di riflettere sul mondo che abbiamo davanti e sul suo futuro. Ma il pericolo è che (a causa del carattere spregiudicato e anche frivolo che hanno assunto oggi alcune mode filosofiche) la «conversazione dell'umanità>> diventi semplicemente chiacchiera, cioè una piro~ tecnica gergale di nessun interesse per le altre «voci»che partecipano, con lo stesso diritto della filosofia, alla conversazione dell'umanità. Alfabeta. Qualcuno potrebbe vedere nella sua posizione una difesa a oltranza dell'idea di modernità e di progetto moderno. Maldonado. No. La mia non è una difesa in blocco e neppure una difesa tout court. È semplicemente un prendere atto che il mondo moderno, pur avendo aspetti pesantemente negativi che nessuno intende misconoscere, è anche, tutto sommato, il nostro. mondo, un mondo le cui direttrici fondamentali non sono - Marx docet - irreversibili, ma neppure, lo abbiamo ormai imparato, facilmente reversibili. Peraltro, se un cambiamento di senso di tutte o di alcune direttrici è desiderabile, il problema non è solo quello di definire l'obiettivo, bensì quello di individuare gli strumenti concettuali che possono aiutarci a definire (o ridefinire) tale obiettivo. Personalmente non credo che gli strumenti più idonei siano quelli già arrugginiti dell'irrazionalismo,· di vecchio o nuovo stampo. I problemi relativi all'ambiente, alla strategia energetica, ai diritti umani, alla fame e indigenza nel Terzo e Quarto mondo, alla minaccia della guerra nucleare, all'invadenza manipolatrice dei massmedia, non si lasciano né trattare né risolvere con l'apparato concettuale dei neo-conservatori. La grande impresa intellettuale che ci attende consiste nell'individuare nuovi strumenti che permettano di superar.e le patologie della modernità senza abbandonare il campo della modernità stessa. Alfabeta. Non le sembra in questo modo di riproporre l'ipotesi centrale de/suo saggio di quindici anni fa, La speranza progettuale, dove lei sosteneva la necessità di ri- * * * manere, nonostante tutto, fedeli all'idea di progetto? Maldonado. Alcuni aspetti di quel saggio sono datati e non del tutto condivisibili, per me, oggi. Tuttavia, il richiamo a una vigile presenza progettuale, e non solo criticocontemplativa, nei confronti dei problemi del nostro tempo rimane una mia convinzione. Non ignoro che in questi ultimi anni l'idea di progetto è stata sottoposta ad attacchi di ogni genere. Si è fatta intorno al tema molta letteratura e, in gran parte, letteratura di dubbia qualità. Alcuni si sono richiamati al sottile Cioran per vedere nel progetto «una forma camuffata di schiavitù». Gran parte di queste critiche partivano da una distorsione terminologica: si identificava il progetto con un disegno globale di controllo della società. Progetto inteso, dunque, come utopia. Solo Remo Bodei, in un momento di dibattito, riusciva a dare dell'idea di progetto una nozione più articolata e più aderente alla realtà. Peraltro, critiche a certi modi di teorizzare la progettualità erano e sono fondate. Ad esempio, l'idea di richiamarsi in modo meramente esortativo alla progettualità nasconde sovente il rifiuto dei progetti veri e propri, i progetti che riguardano interventi concreti su situazioni concrete. È stato giusto pertanto denunciare la cosiddetta «progettualità deserta». Ma, sotto sotto, il dibattito intorno all'idea di progetto investiva la famigerata tematica della crisi della ragione. Dietro la prospettiva di una realtà dominata da una sorta di atarassia progettuale, si nascondeva una ipotesi rinunciataria nei confronti della ragione, ossia una ipotesi di atarassia razionale. E il risultato di questi atteggiamenti è ormai noto: la latitanza generalizzata degli intellettuali di fronte ai problemi di una società altamente complessa come la nostra. Nei discorsi paradossalmente programmatici sulla non progettualità si dimenticava il fatto che, volenti o nolenti, viviamo in una società in cui l'azione progettuale è onnipresente. La ritroviamo infatti dovunque, sia nell'ambito della produzione materiale sia in quello della comunicazione e dell'informazione. La nostra è una società caratterizzata da tutti quei fenomeni negativi che conosciamo, e che vanno sempre denunciati, ma le va riconosciuta anche una capacità progettuale senza precedenti nella storia. Optare per la latitanza progettuale, come molti propongono, non significa in nessun modo che il .flusso della progettualità, che risponde a motivazioni profonde dello sviluppo della società industriale, possa essere interrotto. Significa soltanto che altri, non noi, continueranno ad alimentare e guidare - di sicuro con altri scopi- tale flusso. Alfabeta. Il ruolo che lei attribuisce alla progettualità nell'ambito della società industriale è valido anche per la società post-industriale? Maldonado. Devo dire che sono molto diffidente nei confronti della nozione di post-industriale e, in generale, di tutti i «post». Comunque, se per post-industriale si intende terziarizzazione e deindustrializzazione generalizzate, si deve dire che - contrariamente a ciò che accade a livello giornalistico, dove queste nozioni godono di uno status ormai indiscusso- tra gli studiosi e gli esperti che si occupano dell'argomento le valutaziòni sono tutt'altro che unanimi. Sicuramente non è questa la sede per approfondire un tema di tale portata, sul quale sono già stati fatti studi che hanno contribuito a chiarire, e persino a demistificare, l'argomento. In Italia, ad esempio, quelli di Momigliano e Siniscalco. Una cosa va però ricordata: non è affatto detto che lo spazio della progettualità . venga ristretto nella società postindustriale, contraddistinta dal ruolo travolgente della microelettronica. Anzi, è vero il contrario. Lo stesso processo di informatizzazione e telematizzazione, che è il . fattore dinamogeno dei fenomeni • di mutamento in atto, è il risultato di una miriade di progetti e programmi di ricerca, tanto a livello tecnico-scientifico come di organizzazione complessiva del sapere e_dell'agire sociale. La soluzione òei problemi che questa nuova fase della società industriale solleva esigerà sempre più, non meno, progettualità. Perché non va dimenticato che, in questa fase, scienza e tecnologia, come ha sostenuto Habermas, sono diventate una forza produttiva guida. Una forza produttiva che ha in comune con tutte le altre già conosciute l'essere sottoposta a un progetto globale che definisce i suoi mezzi e i suoi fini. Ma, a differenza di tutte le altre, scienza e tecnologia sono forza produttiva con un ruolo guida nella

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