nenti, cioè di semilavorati comunicativi (ad es. testo tipografico, materiale illustrativo, materiale fotografico ecc.), che confluiscono comunque sempre in una fase di assemblaggio prima di farsi artefatto finale per l'uso comunicativo (ad es. il rotocalco). 5 Il termine riuso delle immagini, calcato sul riuso architettonico, designa una pratica assolutamente fondamentale, per non dire costi- • tutiva nel settore della produzione di artefatti comunicativi, da quando esiste la stampa, e in generale da quando esistono delle tecniche di riporto,6 come sta mostrando attualmente in una serie di studi sull'illustrazione, proprio di questa impostazione, Paola Pallottino. 7 La Pallottino suddivide il riuso in: diretto (il semilavorato passa tale e quale in altri contesti, cioè artefatti finali) e: indiretto (il semilavorato di partenza subisce ulteriori trattamenti, elaborazioni ecc. che lo adeguano al contesto d'arrivo). In un certo senso dunque i fotomontaggi di Hartfield ad esempio, di Hannah Hoch ecc. potrebbero rientrare come caso estremo di riuso multi/onte, e peraltro molti effetti di senso di queste produzioni derivano proprio da ciò che ogni frammento porta con sé dal vecchio contesto. Del resto un attuale autore grafico ipereclettico afferma che: «Il compito diventa lavorare all'elaborazione di una propria offièina mentale e strumentale, rifinire il proprio stile di pensiero progettuale condensando in esso la più vasta e raggiungibile gamma dr possibilità espressive»: E: «L'orientarsi verso un atteggiamento eclettico non è una cosa nuova per il grafico. Il mescolamento di parti diverse appartiene alla "natura" della tipografia. La composizione in cassa prima, il montaggio in lastra poi hanno sempre costituito un ponte verso il modo dell'assemblaggio». 8 Officina e assemblaggio: quest'asserzione di Pescolderung non è sostanzialmente lontana (se a quest'ultima si toglie solo un poco di enfasi macchinistica) dalla affermazione di uno degli esponenti principali del Dada berlinese. Raoul Haussmann ricorda: «Chiamammo fotomontaggio questo procedimento in quanto esso esprimeva la nostra avversione a, voler fare la parte dell'artista. Noi ci consideravamo ingegneri, asserivamo di essere costruttori e di "montare" i nostri lavori come fa un fabbro». 9 Ed è sempre nella migliore tradizione avanguardistica, qui anche per l'aggressivo umorismo del linguaggio, per il gusto di épater, un autore e teorico del rivedere, come Gaddo Morpurgo, quando afferma per avvicinarsi alla fertile nozione di regia comunicativa: «Ogni operatore culturale in qualsiasi campo operi e qualsiasi linguaggio utilizzi è sempre più simile ad un disc-jockey». 10 Le avanguardie non hanno mai avuto paura delle vie moderne, anzi talvolta hanno parlato di heroisme. 4 Nella sua tassonomia la Pallottino introduce poi la e nozione di riuso caldo, cioè di un riimpiego del motivo iconografico, che però rappresenta un radicale cambiamento del piano concettuale. In effetti siamo qui in pieno nel caso dell'eterno transito iconografico, esplorato dai Warburg e i Saxl, i Baltrusaitis e i Clausberg e i Castelli e i Wittkower. Dalla materialità del riporto, dell'assemblaggio, della stampa, siamo passati al carattere di elaborazione informazionale proprio del- !' adattamento di programmi iconografici. 11 Nel riuso caldo l'immagine è statapercepita (input), elaborata (process), rieseguita (output), con le modifiche e le trasformazioni del caso. Non solo ma siamo passati da una logica dell'accostare a una logica, per così dire, del plasmare. Da un procedimento sommativo a una pratica costitutiva, come suggerisce Maldonado nel suo Appunti sull'iconicità, che di questo tipo di riflessioni va considerato come una sorta di manifesto programmatico. 12 Se c'è dunque una differenza fra Haussmann e Pescolderung è quella che corre fra un montaggio secco, meccanico, tipografico e un montaggio costitutivo, informazionale, di fusione. Quasi non si tratta più nemmeno di un montaggio quanto di una vera e propria messa in scena raffigurati va. 13 Non è un caso che attualmente i prediletti fra gli autori dell'era delle avanguardie storiche siano i De Chirico, i Magritte, i Dalf. Tutti autori che assemblano ma che, per così dire, occultano la eterogeneità dell'accostare sotto la coltre unificante di un sistema omogeneo di raffigurazione, di disegno, di pittura. Per dirlo con la terminologia di Eco si passa da un modo ostensivo a un modo replicativo. 1 ~ È come se sopra un traliccio costruttivista-concretista si disponesse un «telone» illusionista-effettista. Nel montaggio che abbiamo definito secco, il destinatario completa, «va oltre l'informazione data» come direbbe Kanistza. Deve essere un destinatario competente come con Bense lo voleva Gianni Colombo, e attento, per riprendere Benjamin. Nel montaggio che, forse solo per amore di simmetria terminologica abbiamo chiamato morbido (dalla fotografia ritoccata, con tutte le sue implicazioni di falso fotografico, all'immagine iperrealista con le superfici «ancora più lisce che nella realtà»), per il destinario attento c'è il sigillare il più piccolo indizio dell'eterogeneità di provenienza, per quello distratto c'è un'overdose di dettagli, un surdimensionamento della nettezza: una sorta di «predisposizione alla riproducibilità mentale». Nel montaggio, per così dire, ammorbidito, il piacere per il destinatario consiste nell'avere sentore dell'eterogeneità sotto l'omogeneizzazione. Nel fotomontaggio, nel collage secco il piacere consiste invece nel riconoscere la diversa fonte. 5 Citazione è un'espressione che designa una pratica e colta (come dice Stelio M. Martini nel suo Del poetar citando, 15 dedicato a Luciano Caruso). Ed è un termine che parte dal presupposto di una molteplicità, di una comunità di parlanti, di una pluralità di fonti e di autori. È una pratica caratterizzata da due aspetti: la marcatura, la segnalazione dei limiti del testo altrui dentro al proprio (le virgolette), e, meno determinante, dal rinvio intertestuale alla fonte (la nota). Cosa può voler dire dunque citazione, data la notoria difficoltà nel mondo dell'ostensione e della raffigurazione di manifestare operatori sintattici e logici (la negazione della pipa di Magritte ha bisogno della didascalia verbale, ma anche l'ideogramma «vietato fumare» deve far ricorso al segno paraverbale della cancellazione)? Ostendere vuol dire in prima istanza affermare. Negare o manifestare una presa di distanze sono atti aggiuntivi. Che cosa, insomma, può esercitare in questo contesto la funzione delle virgolette? Il lasciar vedere, cioè il far ".edere, il carattere sommativo della procedura che ha portato all'immagine finale, i bordi di taglio, le fratture ecc. senza ritocco. Dunque anche se è figlio del montaggio esplicito (che è stata forse la massima scoperta metodologico/formale dell'avanguardia), e figlio del cut-in (dell'aborrita neoavanguardia), il montaggio fusionista, ammorbidito, è tutt'altro che citazione, anzi rappresenta l'abbandono della mentalità della citazione. Inoltre viene ridefinito direi proprio ideologicamente il repertorio. Al frammento, al rottame della vie moderne, si sostituisce il fac-simile registrato, in patinata e video, di tutte le produzioni culturali di tutti i tempi. Sotto quella che due autori della citazione, come D'Ambrosio e Grimaldi, chiamano «la falsa omogeneità cosmica»16 resta comunque il ribollire dell'accostamento, lo scontrarsi delle direzioni di provenienza, l'irriducibile eterogeneità. Perché, ci si può domandare allora, un tale sforzarsi di fare apparire come costitutivo qualcosa che è riato dai passi processuali di un procedimento sommativo? Perché_ insomma il costitutivo è percepito (oggi) come un valore? Si potr~bbe abbozzare un 'ipotesi che segue le riflessioni che Dorfles ha dedicato alla rivalutazione del «fatto a ma-- no» .•, Ma questo ci porterebbe lontano. Ci avvierebbe in direzione di
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