Alfabeta - anno VIII - n. 83 - aprile 1986

Il progetto grafico è un'attività creativa, all'interno di regole empiriche, determinate dal prodotto, merceologico o culturale che sia, dalla tecnologia, dalle altre immagini presenti sul mercato, dai tempi di lavorazione; la costruzione di un'immagine grafica sembra concedere esigui spazi alla soggettività, a quegli elementi inaspettati che costituiscono il patrimonio segnico di un autore. Tuttavia, proprio perché opera dentra forti vincoli, il progetto grafico è in grado di parlare a una grande platea e di far parlare anche gli oggetti senza parola. La soggettività, quando emerge creativamente in un'im,. magine grafica (rispettando comunque le regole empiriche delle comunicazioni visive) parla nella direzione di una trama narrativa, di un testo, dove il committente, il prodotto è uno dei protagonisti, ma non il mattatore assoluto. «Pubblicità e propaganda sono le facce, oggi, di uno stesso fenomeno; concetti interdipendenti si fondono e si confondono in quello più generale di comunicazione, intesa come attività di trasmissione-e di relazione». 14 Tra le comunicazioni visive, il linguaggio grafico è que)lo che maggiormente mette in movimento modelli culturali, stereotipi, ideologie, comportamenti sociali; e l'individuo cerca, nell'offerta comunicativa, più che la conferma del suo ruolo, un immaginario, soprattutto iconico, che parli di sé piuttosto che di quell'offerta merceologica o culturale particolare: «... oggi si vive immersi nel quotidiano, avviticchiati alla vita di tutti i giorni, senza illusione sulla politica, rifiutando le istituzionalizzazioni, disprezzando consensi ed egemonie; l'individuo sociale, rivendicato per sé uno spazio libero e liberante, riconquista la propria identità, e la propria liberazione, non più sottqmesso alla Ragione e alla Scienz~... Può infine ritrovare le energie per elaborare nuovi rapporti sociali, per fissare un più genuino essere al mondo, per dimenticare tutte le vecchie, noiose dissertazioni sulla propaganda». 15 Senza sposare totalmente, questa sorta di deregulation nella strategia delle comunicazioni di massa, formulata da Gioyanni Busino, credo, tuttavia, che sia·utile rivedere alcuni atteggiamenti progettuali nella direzione, appunto, di un interprete che rivendica per sé «uno spazio libero e liberante». Quando, nella strategia comunicativa, si fa appello a un interprete libero, più adulto, proprio per liberare la costruzione del messaggio dalle tradizioni visive e verbali che condizionano il progettista a vincoli desueti e ormai consumati, non serripre i risultati che si ottengono sono accettabili, in termini di leggibilità e di comportamenti, indotti. Comunque, penso che questa sia la strada da intraprendere, altrimenti la grafica diventerebbe, se non osasse mettere in discussione alcune sue tradizioni, nient'altro che decorazione funzionale al prodotto, al servizio. Certo, il gioco individuale, sia da· parte dell'autore, sia da parte dell'interprete, deve essere riconducibile, chiaramente, agli intenti comunicativi del prodotto o del servizio, perché _ se c'è ambiguità semantica, questa comu1:1que,connotando, deve denotare indiscutibilmente l'intento informativo. Sul piano esclusivamente metodÒlogico, mi sembra stimolante, per chiarire questo rapporto tra soggettività ed esigenza di leggibilità, tra bisogni informativi e funzione narrativa del linguaggio gra- . fico, riflettere su alcune strategie di scrittura, introdotte dal compu- .ter nel campo dell'immagine. Come scrivono nel loro saggio, Immagini, cim il computer, Adriano Abbado, Claudio Mordà, Gianluigi Rocca, il vantaggio fondamentale del calcolatore sta nella capa- . cità, mai esistita prima, se non in ' fQrme tutto sommato primitive, di produrre immagini a partire da un i;nodello matematico. Questo consente::c"di formalizzare in modo chiaro e definito aspetti della realtà, tra-cui anche fenomen~ naturali ·-·e_di manipolarli a piacimento». 16 ••Troppe volte nella produzione gr.afiça sono prevalse, e prevalgono ancora, formalizzazioni, modelli :fC?r,tic,he impediscono all'interprete una lettura attiva e più partecipata al messaggio; ma, contemporaneamente, la liberazione dalle costanti, molte volte, ha significato la non-progettazione, ossia il dominio del segno grafico in quanto esperienza visiva estremamente soggettiva. Il computer non rappresenta, tecnicamente, la soluzione per una giusta proporzionalità tra gli elementi progettuali formalizzabili e quelli, invece, appartenenti alla sensibilità del singolo progettista. Tuttavia, programmaticamente, questa è la strada da seguire, cioè «la velocità di rappresentazione di un'immagine: questo significa che, una volta inseriti i dati, il computer è in grado di realizzare differenti versioni di una stessa immagine con grande v~ocità». 17 Lf imperatività è rappresentata dallo hardware, la narratività, la struttura aperta del messaggio dal software: soltanto così è possibile instaurare un rapporto attivo, «creativo» con la committenza. «Il lavoro di Peter Behrens per l'Aeg è stato dimentì- .. cato perché in genere i tentativi riformisti avviati nella prassi, in particolare quelli promossi dalla grande industria, vengono considerati dei fallimenti, osservati come sono attraverso la lente deformante dell'utopia pre o post-industriale». 18 Behrens affermava che era necessario «diffondersi su tutte le condizioni poste con mezzi artistici e tecnici da un impianto, sostenerle, anzi el~varle a principio e farle diventare espressione visibile». 19 Anche la grafica dovrebbe diventare «espressione visibile» e non solo pura e semplice funzione del prodotto. Analizzando la storia del progetto grafico, soprattutto italiano, ma non solo italiano, è possibile individuare tre tendenze culturali: una linea legata alla scuola cosiddetta svizzera, nella quale le costanti, lo hardware sono protagonisti della comunicazione visiva; una linea soft, dove, invece, le variabili soggettive, il software, trascrivono il messaggio in un linguaggio e in segni semanticamente deboli; e finalmente un'indicazione progettuale, non è ancora una tendenza, di tipo steineriano, presente, in particolar modo, negli ultimi anni della produzione di Albe. Steiner, quando accanto a gabbie, regole, modelli tipografici forti, sono comparsi i pastelli a cera, il racconto della manualità, del disegno, le sbavature del lettering. Per esempio, tra gli altri, il manifesto per la Biennale di Venezia del 1972 e quello per l'Associazione lombarda d'amicizia Italia Cuba, del 1973. Se il ritorno alla narrazione significa una maggiore attenzione alla piacevolezza della lettura individuale, allora, credo, l'esperienza progettuale dell'ultimo Steiner potrebbe rappresentare una tendenza nella direzione di una struttura aperta del messaggio grafico; come scrive Hans Robert Jauss, «l'esperienza estetica si trova del tutto espropriata dalla sua funzione sociale primaria quando l'atteggiamento nei confronti dell'opera d'arte rimane chiuso nel circolo vizioso che va dall'esperienza dell'opera del sé, senza aprirsi a quell'esperienza dell'altro che si compie -da sempre nella prassi estetica attraverso momenti dell'identificazione primaria quali ammirazione, choc, commozione, compianto, riso, e che soltanto uno snobismo estetico può prendere per volgari». 20 Da questa riflessione e dalla produzione dell'ultimo Steiner, ma non solo dell'ultimo Steiner, anche se in esso l'esperienza è paradigmatica per la proporzionalità tra costanti e variabili, mi" sembra emergere la necessità di una grafica fortemente intenzionale che non si nega, tuttavia, commozioni, compianti, riso; una grafica adulta che trascrive, non scolasticamente, le esperienze della grande cultura progettuale bauhausiana e ulmiana. senza dimenticare •che «il poeta fornisce qualche cosa degna di seria occupazione, con l'alimentare, giocando, l'intelletto e animatne i concetti con l'immaginazione». 21 Il nuovo progetto grafico dovrebbe animare i concetti, il messaggio razionale, attraverso l'immaginazione e il gioco interpretativo. Note (1) Il termine è utilizzato nella definizione che ne dà F. Rossi Landi, in Il linguaggio come lavoro e mercato, Milano, Bompiani, 1968; p. 144 e sgg. (2) La funzione imperativa è quella indicata da R. Jakobson nella sua suddivisione delle funzioni del linguaggio: referenziale, emotiva, imperativa (il messaggio rappresenta un comando), fàtica, metalinguistica, estetica. Cfr. R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, Milano, Feltrinelli, 1966. (3) Cfr. per quanto riguarda il concetto di rumore, all'interno della teoria della comunicazione, il saggio di G. Dorfles, Simbolo comunicazione consumo, Torino, Einaudi, 1962, in particolare il capitolo, «Informazione e consumo», p. 29 e sgg. (4) Il termine artefatto comunicativo è utilizzato nella definizione che ne dà G. Anceschi, in Monogrammi efigure, Firenze, La casa Usher, 1981, p. 11e sgg. (5) U. Eco, La struttura assente, Milano, Bompiani, 1968, p. 188. (6) Cfr. sia per la documentazione iconografica, sia per alcuni contributi teorici il catalogo Prima Biennale della grafica di Cattolica, 1984, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1984. Il tema della mostra era il manifesto di pubblica utilità dagli anni '70 ad oggi. (7) A. Colonetti, «Il manifesto, riflessioni di un sociologo», in Lineagrafica, n. 1, 1985, Azzurra Editrice Milano, p. 15. (8) U. Eco, Opera aperta, Milano, Bompiani, 1962, p. 184. (9) J. Mukafovsky, Il significato dell'estetica, Torino, Einaudi, 1973, p. 353. (10) J. Mukafovsky, op.cii. p. 355. (11) J. Mukafovsky, op.cii. p. 356. (12) E. Cassirer, Filosofie delle forme simboliche, Firenze, La Nuova Italia, 1966/67, p. 24. (13) E. Garroni, «Creatività», voce dell'Enciclopedia Einaudi, voi. 4, Torino, Einaudi, 1978, p. 49. (14) G. Busino, «Propaganda», voce dell'Enciclopedia Einaudi, Torino, Einaudi, 1980, p. 283. (15) G. Busino, op.cii., p. 292. (16) A. Abbado, C. Mordà, G. Rocca, Immagini con il computer, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1985, p. 17. (17) A. Abbado, C. Mordà, G. Rocca, op. cit. p. 17. (18) T. Buddensieg, H. Rogge, Cultura Industria: Peter Behrens e la Aeg 1907-1914, Milano, Electa; 1979, p. 9. (19) P. Behrens, «Der Fabrikneubau», in Das Echo, Deutsche Export-Revue, n. 1936, 16.10.1919, p. 1295. (20) H.R. Jauss, Apologia dell'esperienza estetica, Torino, Einaudi, 1985, p. 34. (21) I. Kant, Critica del giudizio, Bari, Laterza, 1970, p. 182. Laculturadell'imitazione ~.; ~ .. ~ 1 Claude Schnaidt, architetto, ultimo rettore di,Ulm, e e ora professore a Parigi, nel suo pamphlet, che è anche un'ispezione critica approfondita delle radici «dispotiche» dell'attuale neopassatismo: L'imitation et l'invention, 1 contrappone con amara fermezza la posizione di Gropius che affermava: «Un nuovo edificio è un'invenzione, non µna imitazione», 2 alla voce di uno degli «idoli» della teoria architettonica di oggi: «... non si tratta di fare dell'archeologia, ma piuttosto di copiare con la massima destrezza». 3 È come se ci fossimo improvvisamente risvegliati immersi in una cultura dell'imitazione, dopo aver vissuto per quasi un secolo nel culto dell'innovazione. C'è nell'aria come un continuo invito a servirsi al grande menù delle forme e delle idee, rappresentato dalla intera storia della cultura. C'è una spinta a copiare come se sembrasse che tutto sia già stato inventato. Va detto p~rò che ci sono diverse pronunzie di questa cultura dell'imitazione: una cultura del plagio e una cultura della citazione. Un processo tecnologico che aveva finito per sviluppare in modo vertig{noso le proprie facoltà (direi quasi i propri organi) di riproduzione, senza impegnarsi eccessivamente in un analogo sforzo in favo- . re delle pratiche di produzione: e ·quindi finendo col divinizzare la progettazione, cioè col preferire per essa il nome creazione, ha fatto sì che il plagio abbia perso il suo carattere di crimine, come lo aveva nella_concezione liberalista, nella cultura del diritto d'autore. Ri-~ mosso l'anatema si può passare a un modello spregiudicatamente circolatorio. Mi hanno recentemente riportato il caso di una società di software che offre proGiovanni Anceschi voleva proporre l'identificazione di un repertorio di fonti o di maestri, come si è poi verificato nei piccoli Aufsaetze per immagini confezionati dai medesimi grafici per la mostra «Dedicato a», tenutasi a Torino nel marzo del 1984, e ripregrammi protetti da copywright, in •.::§:::: grado di saltare le protezioni anticopiatura dei programmi altrui. ,J 2 Copiare è un termine e una pratica che si incontra e sempre più sovente, di questi tempi. Ma copiare può semplicemente significare appartenere a un filone culturale: l'esclamazione« ... insomma bisogna dire [confessare), da chi copiamo ... », di Gianfranco Torri, ad un seminario ormai storico, almeno per. i grafici di pubblica utilità,4 tenutosi a Venezia, presso il dipartimento di Urbanistica, nel febbraio del 1984, FD. si di recente dai grafici romani nella mostra e nella manifestazione «Progettografico» tenutesi all'Inarch nell'ottobre del 1985. Oppure copiare può significare la esplorazione di un particolare tipo di strategia comunicativa intenzionalmente opportunistica, come era inteso nel seminario «L'arte di copiare», guidato da Tomaso Mario Bolis e Salvatore Di Blasi (per il corso di «Struttura della figurazione» tenuto da Lamberto Pignotti, e per i miei corsi: «Tepria delle forme» e «Sistemi grafici>>p, resso l'Istituto di discipline della comunicazione, università di Bologna, 1984-85). Ed ancora copiare è stato invece un procedimento praticato nella ricerca: Catalogo del!'espressività eidomatica, compiuta da Andreina Dellacasa, Nicoletta Marcialis, Giuliana Mulas, Chiara Negri, Luisa Teruzzi (nel quadro della disciplina di «Basic design» da me tenuta presso il «Corso per tecnici eidomatici», organizzato dalla Eidos di Milano, 1984). Anche qui si ripropongono due approcci contrapposti: quello che si oppone alla copiatura, che tende cioè ad adeguare l'invenzione alle peculiarità morfologiche indotte dalle caratteristiche tecniche del mezzo (tipico approccio pionieristico, ed infatti è stata la tesi sostenuta, nelle sue incursioni presso il corso, da Bruno Munari); il secondo approccio, che significativamente è quello prediletto dall'ingegneristica informatica, consiste invece nel simulare le modalità esecutive più abituali della produzione di immagini (penna calligrafica, pennello, aerografo ecc.). Esiste però una terza modalità del copiare. Il copiare un effetto, un risultato non significa in area _informatica imitare una singola immagine. O meglio, imitare anche solo una singola immagine significa in realtà produrre per induzione il sistema (il programma) che l'ha prodotta, o uno analogo, o uno migliore. Il copiare possiede qui dunque un autentico valore euristico. 3 Comunque invenzione e imitazione sono termini e del vocabolario poietico, mentre plagio e citazione sono entrambe espressioni del logos. Vediamo come può aiutarci invece un'espressione come riuso, la quale deve alla teoria della cultura materiale la propria legittimazione ad un impiego in area comunicativa. A una concezione cioè che vede anche la comunicazione come articolata negli oggetti prodotti che ne sono il veicolo. E addirittura può pensare la strumentazione comunicativa e il singolo artefatto comunicativo come aggregati di compo-

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