Alfabeta - anno VIII - n. 83 - aprile 1986

me lui stesso sottolinea, gli studi di «agenda-setting» si prefiggono questo obbiettivo senza avere gli strumenti per raggiungerlo. In un certo senso egli è quindi costretto ad analizzare articolatamente questo tipo di ricerca per illustrare compiutamente la sua tesi, poiché questo materiale è interpretato come una fase ulteriore nel processo di comprensione dell'efficacia dei media come costruttori della realtà sociale. Ovviamente è assurdo supporre l'esistenza di un «effetto» meccanico unilineare, tanto quanto è impossibile pensare che il pubblico accetti e riproduca cognitivamente le «agende» stabilite dai media. Wolf rintraccia ed esplicita le difficoltà metodologiche dell'approccio di «agenda-setting» e parte da una di esse per introdurre la terza parte del lavoro. In breve, una volta che si inizia ad analizzare come le «agende» vengono prodotte, si deve spostare l'attenzione verso le procedure organizzative dei media stessi. E ntra qui in scena la tradizione degli studi sulla produzione, iniziata (come tante altre belle cose) alla fine degli anni '60 e protrattasi con fortuna fino ai tardi anni '70. Radicato nella vasta tradizione della sociologia della conoscenza, questo approccio è sia empirico nello studio accurato dell'organizzazione produttiva, sia critico nella sua analisi dei miti della professionalità giornalistica, compresi quelli dell'autonomia e dell'oggettività. Wolf offre un resoconto dettagliato di questa recente sociologia della produzione di notizie, concentrando l'attenzione sul ruolo dei valori-notizia, delle routines, dei meccanismi produttivi e così via. In quanto esponente di questo tipo di ricerca mi risulta naturalmente difficile resistere all'indicazione di Wolf che la considera uno degli aspetti più significativi della ricerca attuale. Mi limiterò così ad un plauso discreto e all'osservazione che il tempo è passato senza essere riguardoso. Un limite importante infatti della ricerca sulla produzione di informazione è stato proprio il suo concentrarsi sull'attualità, come se ciò esaurisse l'universo discorsivo dei media. Non è così e già iniziano gli studi che si occupano dei programmi culturali e, importantissimo, di fiction. Non siamo per caso diventati troppo succubi di una concezione razionalistica della costruzione della realtà? se la lettura del quotidiano è la preghiera del mattino del realista, dobbiamo pur legarla alla nostra preghiera della sera che comprende il consumo di cinema, di fiction. Wolf sostiene stranamente che lo studio della produzione di notizie è in qualche modo sfociato nella «de-ideologizzazione» del dibattito sui mass media."Almeno in Gran Bretagna, l'effetto è stato, mi sembra, l'opposto; infatti questo tipo di lavoro è stato definito dai professionisti dei media come tendenzioso, ideologicamente motivato e ignorante. Inoltre, partendo dal medesimo metodo etnografico, ora i paladini della professionalità ribaltano la critica e la ritrasformano in senso comune. È in questa luce che va interpretato il recente lavoro di Alastair Hetherington che usa gli strumenti della sociologia per riaffermare la validità del giornalismo inglese «di qualità» sia stampato che televisivo. Un passo avanti, uno indietro? Mi piacerebbe poter essere ottimista e vedere rifiorire ancora una volta questa tradizione di ricerca: purtroppo in condizioni di estrema penuria ci risulta quasi impossibile, e quindi anacronistico, investire. L'ossessione dominante è ormai come ottenere soldi per la cosiddetta «policy research». Anche qui devo dissentire da Wolf quando considera superato il dibattito tra i rappresentanti della teoria critica e quelli della ricerca amministrativa. Se ciò può essere vero rispetto a quel preciso contesto storico, si sta comunque aprendo un nuovo dibattito che ha come tema-cardine lo slittamento di gran parte.della ricerca mediologica verso il clientelismo, e in cui l'agenda è determinata da criteri spuri di rilevanza. Nell'oscurità dominante ci sono però sprazzi di luce e interessanti tentativi d'apertura. Il recente lavoro di Jean Padioleau su due quotidiani d'élite ha, per esempio, posto alcuni quesiti fondamentali su come condurre la ricerca comparativa. Ed anche altri studi in corso promettono prospettive più vaste con un crescente interesse per l'analisi del discorso e per la produzione e il consumo di cultura popolare. Lavori di questo genere, essenzialmente artigianali, esulano necessariamente da una definizione rigidamente produttivista, e anche se verrano emarginati ancora per qualche tempo, mantengono comunque in vita un'alternativa onorevole. A tempi miglipri. Unamutmi~.~!privilegiata Darko Suvin Le metamorfosi della fantascienza Bologna, Il Mulino, 1985 pp. XV-379, lire 30.000 Vedute videoracconto realizzato da Studio Azzurro per «Cuore di video» Venezia, Palazzo Fortuny settembre 1985 i Farò il mio rapporto come se ~arr~s!i una s~oria,perche mi e stato insegnato, sul mio mondo natale, quand'ero bambino, che la verità è una questione di immaginazione.» (U.K. Le Guin) La storia della science-fiction, così come è scritta dai suoi stessi testi, è storia di annessioni. La fine della sua storia, l'impossibilità, oggi, di annettere altro che se stessa. Creatura dotata di un carattere aggressivo quanto ingenuo e di una pratica grossolana ma implacabile, la science-fiction ha sistematicamente invaso, uno dopo l'altro, i generi del soprannaturale storico, l'intera paraletteratura, sino ad approdare ai generi letterari colti, al mainstream in generale, senza risparmiare nessuno. Realizzato il desiderio di conquistare il cielo, ma perso il proprio orizzonte, oggi è dappertutto. Di fronte a questo nuovo ordine che le cose hanno assunto non resta che alzare il tiro, e la Sf, ultima delle sue meraviglie, muore. «Se un uomo potesse avere i poteri degli dei, la sua natura umana lo spingerebbe a comportarsi come dice la leggenda.» (R. Zelazny) L'ipotesi che la Sf, meccanismo composito dove tutti i generi letterari hanno cittadinanza, si sia dissolta, seminando embrioni di forme narrative più adeguate nell'esprimere la sostanza attuale del nostro universo mentale, è suffragata dalla profusione di paesaggi, di ogc::s ::! getti, di figure, di personaggi e di -~ situazioni, proprie del genere, che ~ sfilano tranquillamente in tutti i ~ campi dell'immagine, che sotten- -. ~ dono ai processi produttivi delle "- fabbriche pensanti, che animano §, l'informazione, che generano la neomerce e che alimentano e/o ~ creano violenza e morte. Una mu- ~ tazione fondata sull'irruzione del- l l'elettronica nell'intera gamma ~ delle attività umane, con il risultato di una irrealtà quotidiana e di una quotidianità dell'irreale. Ecco, inevitabile, il ricorso a rappresentazioni che hanno prefigurato questa condizione ovvero, se gli uomini vivessero in un mondo da fantascienza, si rifarebbero inevitabilmente a quanto prodotto dal loro immaginario tecnologico. Allora, se esiste Sf quando la realtà di nemici di classe, guerre. imperialistiche, macchine produttive, inconscio, cronaca e via di seguito lascia spazio ad una rappresentazione immaginaria altrettanto forte, quando il confine sfuma nell'indefinito, nel!'aleatorio, quando a perdersi non è solo la specificità del reale ma anche quella dell'immaginario, quando va in crisi non solo il rapporto tra l'uomo e la natura, tra l'uomo e i materiali, tra l'uomo e lo spazio esterno, ma anche il rapporto tra l'uomo e i materiali mentali, non si dà più science-fiction. «lo sono Ubik. Prima che l'universo fosse, io sono. Ho creato i soli. Ho creato i pianeti. Ho creato gli esseri viventi e i luoghi in cui essi vivono; io li comando a mio giudizio. Io sono chiamato Ubik, ma questo non è il mio nome.» (P.K. Dick) L a Sf ha vissuto di un unico e sempre diverso scenario, via via animato da alieni, robot, mutanti, androidi, superuom1m, immortali, cyborg e semplici eroi. Un fondale illustrato da apocalissi, utopie, distopie e ucronie. Una mappa disegnata da previsioni e da fantasie scientifiche, percorsa da viaggi.nel tempo e nello spazio. Il suo catalogo illumina a meraviglia l'imperialismo culturale che ha contrassegnato il secolo. Sono molteplici i testi-chiave di questa parabola, ne bastano tre per riassumerla. In Universo (Heinlein, 1941) si narra di una gigantesca astronave lanciata nello spazio in un interminabile viaggio interstellare. L'equipaggio, nello svolgersi delle generazioni, perde il ricordo della missione assegnatagli; smarrita la memoria della propria realtà, finisce per credere che l'astronave sia l'universo e che fuori di essa non vi sia altro che il nulla. L'eroe di turno perviene progressivamente all'intuizione della verità: l'universo è ben altro, tutto da esplorare e da conquistare. Programma realizzato con cura; in trent'anni la Sf accrescerà a dismisura i suoi territori, immagazzinando con disinvoltura tutta la cultura del secolo, come è ben messo in mostra da J. Sladek nel suo Il sistema riproduttivo (1968). Qui, uno scienziato pazzo e i suoi due assistenti mettono a punto un ambizioso progetto: costruire una macchina autoriproducentesi. Saccheggiando ,l'intero repertorio dei luoghi comuni del genere a partire dall'inventore stra-lunato. e dalla sua invenzione folle, la storia di Sladek rende trasparente il meccanismo occulto della Sf. La macchina, una volta realizzata, comincia a funzionare, •ovvero a riprodursi. Solo che per farlo deve letteralmente inghiottire quanto la circonda e in breve minaccia l'intero pianeta. Lo sfacciato happy end la dice lunga sull'irreversibilità del processo, che il saggio Le metamorfosi della fantascienza di D. Suvin (1979) conferma appieno. Suvin fa risalire le origini della Sf alla cultura greca o, fuor di metafora, alle origini della cultura scritta occidentale, non escludendo che sia sorta in tempi antichi anche nel resto del mondo. Questo perché «la fantascienza è una tradizione letteraria coerente, parte di una letteratura popolare che si è diffusa attraverso i secoli, vuoi per trasmissione orale, vuoi attraverso altri canali non ufficiali, e che è penetrata nella Letteratura e Cultura alta, ufficialmente accettata e normativa, solo in momenti storici favorevoli» (p. 112). Di questa forza del genere, gli scrittori di Sf sono sempre stati coscienti; ad esempio D. Knight, con candore stupefacente, dichiarava che Sf è tutto ciò che viene presentato come tale, e Dick avanzava l'idea di una letteratura degli universi paralleli ossia una cornice (quella delle situazioni storiche non realizzate) dove può essere inserita tutta la letteratura di fiction; concetto che Lafferty ribadiva sostenendo che nel racchiudere in sé tutti i fenomeni, essa include necessariamente tutta la narrativa e la saggistica. Infine, l'opinione della signora Le Guin, che intende per Sf i racconti dove la scienza è essenziale solo di lunedì, pensando spesso, già al martedì, ad altro. D'altronde lo stesso Suvin si riconosce «colpevole di imperialismo teorico annettendo alla Sf non solo la letteratura dell'utopia ma anche i Gulliver's travels» (p. 10). Insomma, tutti i grandi generi letterari creano i loro precursori. A ncora una considerazione: nella prefazione italiana, Del Buono suggerisce, con arguzia, di leggere il saggio di Suvin come un romanzo di fantascienza, ironizzando sulla capacità indiscussa dell'autore di portare a termine, come tutti gli eroi della fantascienza, un'impresa impossibile. Vero e da meditare: la Sf approda al romanzo-saggio, annettendosi un'altra fetta della grande cultura e dell'immaginario toutcourt. Il cerchio si chiude. La Sf (meta) genere onnivoro, destinato .per natura a inghiottire dell'intera cultura, pone fine alla storia e divora se stessa. «Sulle riviste questo era chiamato l'Inevitabile Slittamento Transdimensionale, ma in privato lo si definiva l'Ipotesi Bevi-Questa-ECredi-A-Tutto. » (P.J. Farmer) La science-fiction negli ultimi vent'anni ha solo riscritto se stessa. Se questa pratica sfonda il suo limite, costituito dalla costruzione di un macrotesto letterario universale che produce testi attraverso le infinite possibilità combinatorie della letteratura fatta con il calcolatore, i problemi che sorgono dinanzi agli scrittori di Sf sono quelli complessivi della scrittura nel tempo (il nostro) del cosmo elettronico e, infatti, tutta la migliore produzione letteraria contemporanea di sciencefiction è un poderoso trompe-memoire. L'adeguamento, paradossale, a tematiche più attuali perché più concrete (ad es. la clonazione), il cambio della guardia con un manipolo di scrittrici e il belletto della nuova fantascienza avventurosa non reggono ugualmente i colpi di avvenimenti come il lancio del primo Sputnik, l'uscita di 2001, l'allunaggio, il conflitto UsaNietnam, la morte di J. Lennon e, per posizioni più radicali, l'agosto 1945. Al di là dello svelamento e della esibizione dei suoi dispositivi testuali, che la riscrittura agita, la Sf non procede, si sfalda; consumato il suo ciclo vitale, ci lascia, diventando un genere storico. Allora se non è più la Sfa narrare in forma di utopia negativa la metropoli (e il pianeta), o in forma di guerra spaziale la legge statunitense della frontiera, le visioni dell'Occidente dovranno assumere le forme proprie di una coscienza senza più oggetto, incline a trasformarsi in psycho-chip in un mondo di oggetti animati. Forse la sciencefiction si fa discreta? «Mi ritrovai a dover accettare quel vago principio filosofico secondo il quale il vero nome della scienza è magia.» (H. Ellison) Si è parlato spesso dell'inadeguatezza che il termine fantascienza possedeva nel tradursi dalla dicitura anglosassone di science-fiction. Oggi, proprio in virtù della sua espressione composta, fantascienza appare la definizione più felice nell'esprimere quanto (più che altro in sede extra-letteraria) si produce sul terreno delle narrazioni contemporanee, mentre science-fiction è effettivamente la for- _ mula più valida nell'indicare il ge- _ nere letterario della narrativa scientifico/finzionale sin qm descritta. Dunque fantascienza dove la sensibilità elettronica restituisce il sapore magico della creazione artistica, ma il cui status tecnologico incorpora e trasmette biologicamente l'immaginario della sciencefiction che sognava la macchina e che si è fatta concreta coincidendo con la macchina stessa. Oppure fantascienza dove la scrittura interagisce con questa condizione, annotando tra i suoi materiali l'archeologia del futuro, la Sf appunto; in questa luce vanno visti ad esempio certi racconti di Ballard, Disch, Lafferty e Malzberg. Certo la Sf esiste ancora come genere e a quella letteraria venata di malinconia succede oggi il cinema, che si propone come il più formidabile (ri)scrittore della matena: l'impero Lucas/Spielberg lo prova ampiamente. Altrove il cinema vive ancora della bipolarità fantastico/elettronica che produce movimento a senso unico in un verso o nell'altro. Schematicamente, si pensi da un lato a La mente che cancella, L'ultima onda e L'enigma di Kaspar Hauser, dall'altro, su tutti, Un sogno lungo un giorno. Al bivio resta Biade Runner a cui è imputabile unicamente di affiancare distintamente la magia dei mezzi (lo straordinario scenario) e i tratti tipici della fiction (replicanti troppo perfetti per replicare l'uomo, Frankenstein tirato a nuovo); su questo punto L'impostore di Dick ha ancora da insegnare. Dove, invece, il binomio fanta-

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