....... <"I a coloro che ci fanno soffrire?». Questo atteggiamento devoto, che chiede indulgenza per gli atti omosessuali, ed è quasi amoroso verso una Chiesa che peraltro si definisce santa, introduce e configura qui un rapporto di vassallaggio di tipo medievale. E, come dirà Georges Duby: «Les rapports de vassalité sont très ambigus». Sessualità del cavaliere Un quadro molto vivido dei tempi dei cavalieri civiene offerto dall'ultimo libro di Georges Duby, professore al Collège de France e maftre di storia medievale. Attraverso il racconto della vita di Guglielmo il Maresciallo (nato verso il 1145e morto nel 1219), cadetto d'Inghilterra (sembra quasi la storia di un self made man all'americana!), emerge quell'aspetto singolare della civilizzazione dei cavalieri di cui parla anche Boswell. È l'epoca in cui nasce un nuovo sentimento: l'amore. Si tratta di un sentimento non egocentrico e inteso come mutua relazione fra persone dello stesso sesso. L'amore, questo sentimento nuovo per l'Europa, nasce in una società monosessuale, dove le donne sono messe da parte, e si vive tra uomini, o tra uomini e ragazzi. I nostri antenati del XII secolo vivevano in una società che potremmo definire, con un neologismo, omosociale. La parola amore non è ancora impiegata per designare le relazioni tra un uomo e una donna. Al contrario, la si impiegava talvolta per sottolineare l'affetto che univa due uomini: il cavaliere e il suo signore. Georges Duby nota che esiste l'affetto parentale, esistono anche dolci sentimenti fra marito e moglie, ma rileva anche come la parola «amore» fosse strettamente riservata ai legami tra uomini, all'amicizia virile. Nel libro Duby non parla in nessun momento di omosessualità, né di .gay peoples come Boswell. In «Naissance de l'amour» tuttavia ne parla con il suo intervistatore: «Il XII secolo, di cui parliamo, non ha messo l'accento su questo problema. (... ]. Perché si parla di una cosa a un dato momento e perché non parlarne ad altri? È perché, se non se ne parla, la cosa non ha importanza o interesse, opMichele Cometa lduna. Mitologie della ragione Palermo, ed. Novecento, 1984 Manfred Frank Der kommende Gott. Vorlesungen -iiberdie neue Mythologie Francoforte, Suhrkamp, 1982 pp. 360, s.i.p. Giampiero Moretti Heidelberg romantica Roma, Itinerari Lanciano, 1984 pp. 139, lire 12.000 11 romanticismo inaugura una sorta di carattere infinito della modernità e, come tale, è pervasivo. Si potrebbe così riassume- .s re, forse lievemente distorcendola, ~ la tesi fondamentale del recente lit:l... brodi Michele Cometa, /duna. Mi- ~ tologie della ragione. Si tratta di ....... ~ una lieve distorsione poiché la no- .i:'. zione di pervasività rimanda oltre il §- moderno, reca con sé una connotazione poststorica che è in effetti aliena all'orizzonte dell'utopia ~ estetica dischiuso da questo vo- -c:i lume. ~ ~ È pur vero, d'altro canto, che il pure il fatto è che non si osa parlarne ... Dov'è la censura? lo penso, per ciò che concerne l'omosessualità maschile in quest'epoca, che gli uomini erano più liberi. Ciò che consideravano una colpa per una donna non era importante per un uomo. L'autocensura maschile su quei problemi era indub- .biamente anche molto forte [... ]. Sono portato a pensare che, in questi gruppi d'uomini (qulli dei chierici.e dei cavalieri], la propensione a un'omosessualità liberata o tacita sia esistita. Sono in corso attualmente delle ricerche per scoprire il vero significato dei poemi d'amor cortese. Ci si chiede sedietro il personaggio della dama eletta non si nasconderebbe quello di un uomo, il signore. I rapporti di vassallaggio sono molto ambigui». Riccardo Cuor di Leone, ideale di virtù cavalleresca, amò il giovane Filippo Augusto quando risiedeva alla sua corte e non era che duca d'Aquitania («E il re di Francia l'amò come la propria anima; ed erano talmente cari l'uno all'altro che il re d'Inghilterra, Enrico III, stupìto dall'attaccamento appassionato che esisteva tra i due, si chiedeva quale ne fosse la natura», si legge in un documento riportato da Boswell). Nell'epoca dei chierici e dei cavalieri il concetto d'individuo capace di raffinata autocoscienza e quindi di definire se stesso non esisteva. È giusto quindi pensare che i gay peoples di Boswzll siano degli esseri di retorica, che esistono solo nel suo linguaggio? Ma questo è problema oltre che storico soprattutto filosofico e anche politico, che ci porterebbe davvero in medias res, giacché sottende il formidabile problema del significato dell'individualità (vedi peraltro «Individualismo e solidarietà degli anni '80», Il Contemporaneo n. 43, in Rinascita del 16 novembre 1985, dove si è aperto un interessante dibattito sui termini filosofici e politici in cui oggi si pone la questione dell'affermazione e dei diritti dell'individuo). Dovrei aprire altri capitoletti sulla «sessualità del politico» e su quella «del filosofo», e anche per ragioni di spazio concessomi non mi è possibile. Passerò dunque alla «sessualità del poeta». Sessualità del poeta Da leggere dopo Boswell i versi del poeta turco Yunus Emré (XIII secolo), pubblicati recentemente nella traduzione in francese di Yves Regnier per la collana «Métamorphoses» di Gallimard. Vi ritroveremo lo stesso vigore di sentimenti rintracciati da Boswell lungo l'analisi dei testi di chierici, ecclesiastici e cavalieri del Medioevo cristiano. Se Guglielmo il Maresciallo riservava «amore» al suo signore, e Alcuino (della corte di Carlomagno) ai suoi vescovi («Ho così dolci ricordi del vostro amore e della vostra amicizia, reverendo vescovo, che aspiro solo all'istante felice in cui le dita dei miei desideri stringeranno la nuca della vostra dolcezza»), in Turchia, nelra prima metà del XIII secolo, Yunus Emré diventava il più grande poeta turco di tutti i tempi per l'amore di un sultano «prodigiosamente bello». Si conoscono poche cose della vita di Yunus Emré, benché sia molto noto in Turchia e il popolo lo ritenga un santo, attribuendogli tombe ai quattro angoli della Turchia attuale, e persino in Asia minore. («Ho avuto commercio con i dotti -vissuto, ma che importa? - alla corte del re ... »). È come se lo stesso Yunus abbia voluto cancellare le tracce del suo passaggio terreno, affinché venisse ricordato solo il suo canto d'amore a gloria dell'Amico («La nostra Mecca è il volto dell'Amato e la preghiera non ha fine quando si è visto l'Amico ... »). «Cosa importa chi parla?», scriveva Foucault. E, infatti, importa poco anche a noi sapere chi era Yunus Emré. Ciò che conta è che la sua poesia ci sia giunta intatta. Nella prefazione il poeta Yves Regnier racconta la sua sorpresa quando, nel 1945, sentì per la prima volta «un vecchio d'una maestà e di una dolcezza prodigiosa», cantare i poemi di Yunus Emré. Traducendo i poemi con molta sensibilità e partecipazione, Yves Regnier fa emergere un'altra traccia di quell'area di sensibilità che Boswell definirebbe gay. Quest'area sembra comune sia ai cantori medievali europei dell' «amicizia appassionata», sia a quei «pazzi di Dio» come il derviscio turco Yunus Emré che affermava: «Morto e bruciato, le mie ceneri grideranno ancora che non desiderano che Te ... ». Viene in mente quell'«io che brucia» di Pasolini,.in cui l'omosessualità si configura come un'erotica, un errare, appunto, all'incontro di un assoluto che si dà come un misto di potenza vitale e d'inesistenza: suscita, talvolta, un affetto simile a un dolore lancinante ... Sessualità dell'eretico «L'omosessualità sarebbe allora un'altra via verso l'eternità?». «Forse», rispose Pier Paolo Pasolini a Jean Duflot (cfr. Il sogno del centauro, Roma, Editori Riuniti, 1981). Questa apparente «deviazione» ci porta nel segreto della camera degli uomini, al cuore del nostro soggetto - e completa il quadro del presente articolo. Si tratta di ritrovare il filo di una coerenza, di una continuità che in qualche modo si sostituirebbe alla continuità della specie, al ciclo procreazione-distruzione. Si tratta, in altre parole, non più di una «sottocultura gay», ma della continuità della stessa conoscenza e della cultura. Più che avente radici da qualche parte nella storia europea, l'omosessualità sembra essere proprio la forma dell'erranza maschile in generale. 1 Le donne, penso, avrebbero molto da dire su una conoscenza e su una cultura costantemente tentate dalla metafisica, dallo spiritualismo e dall'angelizzazione, forse· proprio perché la cultura è stata, finora, fatta da maschi, e quindi attraversata da quel desiderio omosessuale che - consapevolmente o no - ha sempre tenuto insieme gli uomini, marcando della sua inconfondibile impronta le società che hanno dominato, le civiltà edificate, e le opere e i saperi da essi inventati. C'è, in altre parole, un Fallo da qualche parte: e cioè quasi un potere, di cui ogni maschio teme - fin nel fondo della sua carne - le seducenti devastazioni. Certo, è per questo che - come dice Duby - «Les rapports de vassalité sont très ambigus» (cfr. «La naissance de l'amour», intervista di Francis Lacombe a Georges Duby·in Gai Hebdo Pied, novembre 1984, pp. 32-33). Così il posto - o il non posto - li lavorodel·mito congiungere il romanticismo alla pervasività ci conduce entro quell'orizzonte del continuum del nuovo, che costituisce, dal punto di vista estetico, il tratto saliente della modernità anche quando essa si celi sotto spoglie postmoderne. 1 Non si tratta in fondo che di un passo compiuto per cogliere in un suo aspetto-chiave l'attualità del romanticismo (che il suo carattere pervasivo rischia di dissolvere), di cogliere quell'angolatura contraddittoria a partire dalla quale è possibile intendere un ossimoro romantico come «mitologie della ragione». È difficile infatti affermare che la concezione della mitologia elaborata dalla Fri.i.hromantik negli ultimi anni del Settecento, oggetto dell'attenzione di Cometa, non abbia un carattere pervasivo: il mito costituisce infatti, in quest'ottica, un evento della ragione, al tempo stesso la razionalità deve farsi mitica se vuole realizzare il proprio compito emancipativo. Si trascorre così da un ossimoro a un paradosso: la mitologia (della ragione) viene infatti a coincidere con quella Federico Vercellone che noi possiamo definire l'ermeneutica del mito; esso si risolve nella razionalità discorsiva ma al tempo stesso quest'ultima viene ad assumere un volto mitologico. Si tratta di un paradosso che, nell'ambito della cultura tedesca contemporanea, m autori quali Manfred Frank, Blumenberg, Habermas - per citare solo tre tra i rappresentanti più significativi della nuova Mythos-Debatte - si è dischiuso in tutta la sua portata. Attraverso la tematizzazione delle problematiche attinenti I'«ermeneutica del mito», si sono infatti dischiuse nuove prospettive su questioni quali l'eredità del passato e il suo eventuale contenuto utopico, l'alternativa mito-logos e quella, a essa strettamente connessa, ragione-ideologia. Cometa accoglie queste caratteristiche in senso lato «politiche» proprie dell'ermeneutica del mito e rivendica il carattere utopico di quest'ultimo: «Non che il mito possa significare di per sé la soluzione, lo strumento di una ricomposizione sociale strutturale prima ancora che sovrastrutturale; esso è piuttosto l'indicatore, il campanello d'allarme nel "momento del pericolo", esprime il "disagio della civiltà", non lo sana» (p. 24). Q uesta trasposizione nell'ambito della cultura italiana della Mythos-Debatte è tuttavia cauta, evita un approccio eminentemente teorico ai problemi e si affida piuttosto a una ricognizione storiografica attraverso la quale emergono alcune categorie portanti di un orizzonte, di un prodel femminile nella continuità della conoscenza e della cultura europea, sembra probabilmente appartenere a un'altra storia: una storia alla quale, nonostante le salutari spallate del femminismo, le donne trovano ancora oggi non poche difficoltà a partecipare insieme agli uomini. Questi, a loro volta, difficilmente e solo molto lentamente son0 disposti ad abdicare ai loro «secolari privilegi». E, aggiungerei, a smetterla di idealizzare la pulsione, sognando magari in tal modo·di·poter rendere eterno il loro passare, il loro patire; in poche parole: di continuare a eternizzare il transitorio. Nota (1) L'erraticità sembra essere proprio il modo primario di funzionamento del desiderio, prima che esso venga imbrigliato nella struttura (morale) edipica. Non a caso, quindi, l'omosessualità è una sessualità corsara, una sessualità nomadica, che eccede ogni volta il quadro delle civilizzazioni edipiche, rappresentando la «deviazione», l'Edipo detronizzato e che percorre le strade all'incontro della sua Sfinge, il tempo delle occasioni, delle rivelazioni e - talvolta - la deriva. Sulla sessualità del bucaniere, Marcello Flores (il manifesto, 14 novembre 1985) recensisce l'agile e piacevole studio di B.R. Burg Sodomy and the pirate tradition (New York, University Press, 1984, 215 pagine). La pratica comune dell'omosessualità fra i gruppi maschili della pirateria nel diciassettesimo secolo, così come anche nei gruppi giovanili sulla strada, bande delinquenziali, vagabondi, marinai di sottomarini o piroscafi, mi sembra costituire il paradigma stesso dell'instabilità fondamentale della condizione omosessuale. La sessualità del corsaro è dispersiva, nomadica, sempre in cerca di occasioni, e si dispiega nel viaggio, all'aperto - non è cioè confinata al privato. Così è anche il cruising (o drague, o battuage, come si dice in gergo gay) degli omosessuali delle grandi città nelle società moderne ad alto livello di sviluppo. La passeggiata dell'omosessuale attento a tutto ciò che può venire a innestarsi sul proprio desiderio non può non ricordare ciò che potremmo chiamare «la passeggiata del corsaro», ed ha qualche rapporto con ciò che L'Antiedipo (G. Deleuze e F. Guattari) chiama «lapromenade du schizofrène». Sulla differenza fra gli «amori civilizzati» e quelli che chiamerei «amori corsari» vedi anche Le désir homosexuel di Guy Hocquenghem, Parigi, Editions Universitaires, 1972 (in traduzione italiana: L'idea omosessuale, Roma, Tattilo, 1973). getto utopico. Cometa illustra, in un'indagine minuziosa e avvincente, i lineamenti del progetto di una neue· Mythologie così come esso si è sviluppato nell'ambito della cerchia romantica jenese tra il 1795e il 1800, considerando in particolare l'evoluzione spirituale di Friedrich Schlegel e di Schelling. Viene così percorso l'arco di esperienze teoriche che conducono da uno dei documenti più importanti sulla genesi dell'idealismo, quello che è stato pubblicato da Franz Rosenzweig con il titolo Das aelteste Systemprogramm des deutschen Ideali-. smus, sino allo schlegeliano Discorso sulla mitologia, al Sistema dell'idealismo trascendentale e alle lezioni schellinghiane sulla filosofia dell'arte tenute a Jena e aWiirzburg e poi pubblicate postume con il titolo Philosophie der Kunst. In tal modo si ricostruiscono sino alla loro compiuta maturazione le tappe di quella che può essere considerata la «Grunderfahrung politica», l'esperienza politica fonda~ mentale del protoromanticismo jenese; essa prende forma intorno alla «necessità di ristabilire un rap-
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