Alfabeta - anno VIII - n. 83 - aprile 1986

■Novità Marsilio • Giuseppe Berto COLLOQUI COL CANE Un padre si interroga sulla ribellione dei figli Un 'opera inedita dell'autore del «Male oscuro» pp. 176, L. 12.000 Ottiero Ottieri TUTTE LE POESIE Il pensiero perverso La corda corta con ottanta nuove poesie Un narratore si rivela poeta pp. 368, rilegato, L. 38.000 Maynard Salomon BEETHOVEN La vita, l'opera, il romanzo familiare I volti segreti di un genio pp. 356, L. 35.000 ·• ~ Claudiano ELOGIO DI SERENA a cura di Franca Eia Consolino con testo latino a fronte Il ritratto di una donna ambiziosa e potente nel tardo impero romano-cristiano pp. 132, L. 12.000 Ippocrate ARIE ACQUE LUOGHI a cura di Luigi Bottin con testo greco a fronte Medicina, etnografia, ecologia in uno dei più famosi trattati dell'antichità pp. 144, L. 12.000 (GV~ G.A. Cibotto DIARIO VENETO Notizie in forma di racconto sul Veneto in ombra pp. 312, rilegato, L. 20.000 Marcello lnghilesi IL FUMO E IL SOLE Ambiente ecologia tecnologia sviluppo Gli scenari, le cifre, gli scontri, i settarismi, le risse. E la qualità della vita prossima ventura? pp. 192, L. 18.000 Elémire Zolla AURE I luoghi e i riti più straordinari d'Europa e d'Oriente TERZA EDIZIONE pp. 184, L. 18.000 Vittorio Sgarbi IL SOGNO DELLA PITTURA Come leggereun'opera d'arte PREMIO ESTENSE 1985 TERZA EDIZIONE pp. 200 con 38 ili., L. 22.000 ,-AL_, d~fi:~ -4·~ CASE DEL POPOLO Un 'architettura monumentale del moderno a cura di Marco De Michelis pp. 240 con 176 ili., L. 35.000 &. L'OFFERTA DI LAVORO IN ITALIA Problemi di rilevazione, valutazione, costruzione di modelli di comportamento a cura di Marina Schenkel pp. 536, L. 65.000 ~ SARIN/TELEMATICA Jean-Paul de Blasis STRATEGIE PER LA BUROTICA Trasformazioni strutturali e impatto sociale dell'ufficio del futuro pp. 128, L. 25.000 Cfr. Schede Le cose penultime Augusto Illuminati Cosa sono le «cose penultime» sulle quali evidentemente poggia l'attenzione dell'autore? Sono gli oggetti di medio raggio, che consentono il rinvio tanto alla micro- quanto alla macro-storia, che si collocano a loro volta in quell'area intermedia (fra mondo della vita quotidiana e grandi verità della filosofia) che è la storia. Kracauer ci dà, con il suo caratteristico tocco eclettico, una teoria della varietà degli approcci possibili e dell'interesse dell'interstiziale, identificato, benjaminianamente, con la causa degli sconfitti, con il rimosso dalla storia dei vincitori. Così nel passaggio conclusivo di un lavoro forzatamente frammentario (ed edito postumo dall'amico e illustre storico P.O. Kristeller): «Concentrarsi sul genuino nascosto negli interstizi fra le credenze dogmatizzate del mondo, stabilendo in questo modo la tradizione delle cause perdute; dare nome a ciò che finora è innominato». Non sorprende che la parte costruttiva del testo sia per lo meno discontinua; ciò che colpisce è la forza con cui vengono messi in discussione (o in ridicolo) accreditati luoghi comuni della storiografia e più ancora della filosofia storiografica. Non pensiamo qui a posizioni ormai largamente desuete (Toynbee), ma anche a generiche formulazioni quali quelle che riducono la storia a storia contemporanea, investite dall'appassionata rivendicazione dell'amore autentico per il passato, dalla coincidenza fra un interesse rivoluzionario per il presente e il compassionevole desidério di scoprire le cause perdute della storia. Lo storico prende possesso del passato proprio quando vi si lascia coinvolgere e immergendovisi ne subisce il distacco (come Orfeo che si volta a guardare Euridice). Qui Kracauer, come nel famoso addio alla Lindenpassage, è vicinissimo a Benjamin, e ancora prima al comune ispiratore Proust. Lo storico è essenzialmente un narratore: ma lo stile della narrazione deve essere adeguato ai modelli contemporanei, alla moderna percezione della discontinuità del tempo. Proust, appunto, il cinema, la fotografia. È in queste lampeggianti illuminazioni che il testo offre momenti di chiarimento e discussione a una moderna prassi storiografica. Siegfried Kracauer Prima delle cose ultime Casale Monferrato, Marietti, 1985 pp. XI-201, lire 22.000 Nel labirinto esplosivo Francesco Muzzioli Saggista nel campo della letteratura e delle arti figurative, Claudio Mutini interviene in poesia (è questa la sua prima raccolta, comprensiva dei testi scritti tra 1980e '85), con un linguaggio fortemente sperimentale, di rara complessità sintattica e semantica. La completa abolizione della punteggiatura e - per coerenza - delle iniziali maiuscole, rende tanto più incidenti, nel continuum, le pause di fine verso, e quegli spazi bianchi che l'autore, in alcuni componimenti, usa per di-· videre l'unità metrica in tre parti,accentuando così, con lo stacco fra le tre battute principali, l'insistenza ritmica. La sintassi viene costretta a saltare, e il soggetto del discorso ne risulta spesso spiazzato, a vantaggio della impersonalità del testo: nella pluralità del soggetto si evidenzia la sostanza e il valore collettivi dell'operazione linguistica, nella elisione del soggetto balzano in primo piano i movimenti semantici affidati all'attività delle forme verbali. La presenza di «architetture» e la stessa titolazione del Perimetro interno fanno pensare ad una sorta di «urbanistica» del linguaggio, do-. ve il problema principale è quello della distribuzione delle parole («ecco pensavamo la distribuzione è fatta»), e la loro densità («forse la densità è una congettura»); ma in cui il testo non può riscontrare che una segnaletica incerta e contraddittoria, in un andamento fluttuante che altera senza sosta le linee divisorie appena fissate. Si intrecciano da un lato l'attenzione gnomica e riflessiva, dall'altro i ribaltamenti dell'immaginazione; qui la rete di rapporti che si aggroviglia in «labirinto», là le insurrezioni pulsionali-corporee (e troviamo non per caso un «mosaico di cavalli imbizzarriti»). Ma, su un lato come sull'altro, il processo testuale registra intoppi critici: l'ordine relazionale si trova a mettere insieme, in bricolage, soltanto parziali frammenti, secondo una «microfisica» che opera «per segmenti»; dal canto suo, l'analogia si scopre «simulazione» e, muovendosi tra «sosia» e doppi di approssimativa equivalenza, giunge a considerare la caducità materiale dei simulacri (accanto alla monumentale «pietra dura» circolano qui la malleabile «cera» e il «gesso» da calchi di seconda mano); sicchè, insomma, il «prestigio» degli «idoli» si ritrova «in rovina» - in un verso incontriamo «fe- . ticci dementi e poveri dèi» - bersagliato dall'irriverenza; a contraltare della ritualità sacrale sta il corpo con i suoi flussi materici (che si accampano in insiemi di soli sostantivi), i suoi «spurghi» e «coaguli». Se il perimetro suggerisce uno spazio di superficie, in questi testi di Mutini c'è una isotopia tra le più rilevanti che introduce inquietanti connotazioni di rottura interna: «fessure», «feritoie», «crepe», «fenditure», «lame» e «rasoi». Queste sconnessioni (il cui equivalente operativo sono gli sbalzi della sintassi) aprono spiragli nella asfissiante totalizzazione e controllo delle merci e nella uniformità restrittiva dei codici («al mercato vendono coppie di paraocchi») dominanti la «fabbrica del linguaggio». Non per niente, l'«intreccio» di «filo finissimo», apparentemente indicatore di rapporti in reticolo, oppure, semmai, di una direzionalità nel labirinto, si trasforma invece nella sottile miccia pronta «per l'esplosivo». Ricordiamo che Mutini, in un saggio su Arte e letteratura, considerava la rivolta come «accensione del negativo» che sommuove gli spazi dell' «urbanità»: «Nella manipolazione delle parole d'ordine il codice del potere si inceppa». Questi testi si muovono ora proprio nel tentativo di praticare l'interruzione e l'irruzione, dentro il perimetro interno della specificità poetica. Claudio Mutini Il perimetro interno Caltanissetta-Roma, Sciascia, 1985 pp. 66, lire 6.000 Poesia a Valverde Eugenio Vitarelli Valverde è una cittadina addossata alle falde dell'Etna, ed ha appreso dal vulcano la dote dell'irriducibilità. Nutre una sua realtà culturale, fitta di scelte e prospettive, che si esprime nel Gruppo Teatro Nuovo. Questa associazione, creata e diretta da quell'uomo entusiasta e infaticabile che è Angelo Scandurra, da anni persegue il fine di un dibattito culturale stimolante, rea- _lizzato di volta in volta attraverso incontri con le personalità più significative del nostro panorama artistico-culturale e con la proposta di mostre critico-filologiche di prestigio. Col vento vacuo che tira da ogni parte, questo gruppo possiede l'epicità. Ogni volta che vado in Sicilia, a Valverde c'è organizzato qualcosa di interessante. Conferenze, mostre, incontri, spettacoli. E ci vado a guardare, ad ascoltare. Adesso è la volta della «Mostra nazionale del libro di poesia contemporanea», allestita con la direzione scientifica di Giorgio Barberi Squarotti, curata da Antonio Derro, coordinata da Angelo Scandurra, nata per l'iniziativa della rivista Il Girasole e organizzata dal Gruppo Teatro Nuovo e del Centro Internazionale del Libro di Poesia (col patrocinio del comune di Valverde, della presidenza della Regione, dell'Ente prov. turismo e dell'Amm. prov. di Catania). Noi sappiamo che gli atri e le sale dei palazzi comunali, anche quando sono piccoli, diventano grandi all'occhio del cittadino per una sorta di magia municipale, ma immensi rendono le scale, i corridoi e i saloni le migliaia di volumi di poesia italiana del Novecento e le centinaia di pannelli con documenti, fotografie, inediti, manoscritti e testimonianze sapientemente disposti. È un assai stimolante omaggio al poeta e al suo editore. Questo Gruppo Teatro Nuovo di Angelo Scandurra, ho già detto, vuol fare di Valverde un luogo di incontro e di confronto, e ci riesce. Mostra nazionale del libro di poesia contemporanea Valverde (Catania) 21.12.1985 - 16.3.1986 Pensieri che bruciano Charles Debierre Nessun libro scritto ora da un italiano poteva essere meno italiano, meno nelle consuetudini del gusto letterario di questo paese, di questo Bruciapensieri di Gregorio Scalise edito, non a caso, dal Cavaliere azzurro, una piccola e ~uratissima casa editrice di Bologna dall'indirizzo chiaramente francofilo (ha pubblicato infatti Leiris1 Blanchot, Serrera, La Clezio, Michaux ecc.). Ed io essendo francese ho subito sentito la vicinanza del libro di Scalise con la letteratura francese (di origine borghese) che spazia dall'aforismo all'autobiografia, dal fragment al volo pindarico a carattere satirico. Scalise chiama il suo libro sulla poesia una «biografia intellettuale»: si tratta di appunti diaristici di cui immediatamente il lettore percepisce l'innaturalità, qualunque purissima «verità» ci sia dentro; e di capitoli più tematici, tra cui un bel saggio su Cavalcanti, ma sempre svolti con la presenza dell' «io» Scalise. Questa prevalenza del- !' «io»mi ha riportato in terra conosciuta: quella degli spiriti in agguato, occupati con minuzia a semiologizzare la circostante xerosfera in cui vivono, di quegli spiriti afflitti da un morbo mentale che gli mostra il nemico ovunque. Tale malattia è molto diffusa soprattutto a Parigi dove tali scrittori si possono vantare di avere verve, di essere astuti e di sapersi oggetto degli sguardi altrui. Qui invece il morbo è rappreso in una struttura molto più pensosa, forse anche più colta, e terribilmente colpevolizzata di essere quella che è: un luogo isolato-estraneo a tutto. Così manca o viene repressa la verve, mancano le fusées attese in un libro di «noiosi pensieri», mancano i fuochi d'artificio che schioppettano nei libri francesi, in compenso vi sono pensieri «bruciati» e vi si respira un'aria mitteleuropea, direi «generazionale». Così Scalise sembra dirci che le frasi troppo' smaglianti sono un sintomo di pericolo per il pensiero come se il pensiero non fosse abbastanza agile da sapere parlare bene ... «La mia impressione generale - scrive Scalise - è questa: una generazione sommersa, nata postuma. E una generazione precedente che "discuteva" col potere» (p. 100); citerei anche queste parole: «La mia tesi è semplicemente questa: la mia generazione ha vissuto e vive da estranea tutta la storia di questi anni» e «siamo "inglesi" nelle nostre città». Dopo tali dichiarazioni bisogna che il lettore abbia il coraggio di pensare questo «salto di disintegrazione», che al parere di Scalise, c'è stato. Lo deve avere per pensare che Scalise lascia la «buona scrittura», per dirlo con la retorica, perché la accusa di superficialità, ancora una volta come se la sola pubblicità avesse dato il colpo di grazia all'arma segreta della retorica: la persuasione. Per essere puliti, oggi, non bisogna scrivere.convincente e non rimane altra uscita: scegliere l'estraneità, «essere inglesi»nelle proprie città, non solidarizzare con nessuno. Va bene, ma come conciliare un simile programma con un libro come questo in cui non c'è lettura possibile se il lettore non si lascia convincere almeno di questo - visto che i mezzi di seduzione sono repressi-: vale la pena di ascoltarlo fin in fondo? Infatti il pericolo di tali «pensieri bruciati» è di sembrare il frutto di una téte brulée come dicono i francesi, vale a dire di una fretta nel bruciarsi le idee. Premura tanto più inutile dato che si dovrebbe scrivere questo tipo di libri nel margine dell'attualità, al di sopra delle zone d'influenze... Proprio qui, mi pare, si annida il problema più acuto che pone il libro di Scalise. Vi si nota un'ipertensione per proteggere un Bello che starebbe tra verità e cultura, e questa tensione lo porta ad essere vendicativo, a voler 'colpire un nemico «terrorista» in modo anch'esso «terroristico». Tuttavia non si può, in un breve articolo, rischiare di falsare le intenzioni di un libro che si dichiara di primo acchito sotto la protezione di una pietà: l'immaturità che il lettore troverà in questo libro è un momento attraverso il quale tutti dobbiamo passare, un necessario momento di formazione. Davanti a tanta «verità» come il lettore potrebbe tirarsi indietro? In tali libri scritti dal punto di vista del moralista conta solo l'accordo che la moralità del lettore dà a quella dello scrittore, e basta. Tale contratto di letteratura prevede il «continuamente rimotivato» ma prima ancora l'ascolto di un Dire imponente, l'accettazione di un caso limite della ragione del discorso in quanto tale libertà dello scrivere è sempre folle. Non c'è che l'evento che assale la mente, e la mente l'evento, fino alla morte, esiste solo disordine. La vicenda che ci «narra» Scalise ne rende perfettamente conto benché non offra al lettore l'«utopia» di un testo poetico allorché parla continuamente di poesia, benché non gli offra quest'utopia realizzata che solo un colpo di forza del linguaggio può farci intendere. Scalise ha ragione di volere allarmare il suo lettore e difenderlo dall'insidia del realismo, ma a volte dimentica di combattere il terribile e subdolo

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