Alfabeta - anno VIII - n. 82 - marzo 1986

V) <:::! i:: -~ ~ 'O ~ ..... e:, ~ <:::! E Ql i:: ~ ~- ,.t:) $ Sir Walter Torta: «Che cos'è che giace qui?/ Chiesto; rispondi, "La Torta di Natale per il Diavolo". I Morte fu la cuoca, quest'urna è il forno I dove ora la Torta sta bruciando. / Va portata a tavola lo stesso. A presentarla al Diavolo / sono stati in tanti a volerlo, e da tempo». Giocando anagrammaticamente, si sa, vengono alla luce strutture eventualmente profonde, ma nel caso dei nomi spesso basta prenderli semplicemente alla lettera. Ecco un esempio, oggi scomparso insieme con la chiesa londinese che lo custodiva (fino alla resurrezione, una volta si credeva): sfrutta il cognome, giocando sul serio, per meglio piangere la perdita della bellezza fisica, la precarietà della ammirevole destrezza dell'essere umano. Per Valentine Snow (il cui nome era Neve) Handel aveva scritto i più esaltanti dei suoi «a solo» per tromba. Eccolo ora! «Sidissolva ogni petto / Ogni occhio si sciolga nel dolore. / Qui, disfacimento I Per mano della Morte! I Trasformata è in terra e in acqua / La bellezza della Neve. I Oh! Il trombettiere del Re I È sfiatato!». In inglese, «To dirt, to water turn'd I The fairest Snow I O the King's Trumpeter I Has lost his breath». Non tutti i nomi si prestano però a componimenti da Antologia Palatina. Ma qualche cosa si può fare persino per un John Grubb, il cui cognome significa «bruco». Ecco l'epitaffio: «Whenfrom the chrysalis of the tomb I I rise on rainbowcoloured piume I My weeping friends ye scarce will know I That I was but a Grubb below». Gli amici che ora piangono non crederanno ai loro occhi! L'umile amico Grubb sorgerà glorioso con iridescenti ali. Quando Gesù si rivelò trasfigurato, i testimoni smarriti videro i suoi vestiti candidi come neve, «quali niun purgator di panni potrebbe imbiancar sopra la terra» nella traduzione di Diodati; exceeding white as snow; so as no fuller on earth can white them, in quella U . n piccolo libro dal grosso spessore culturale questo di Nico Naldini, Nei campi del Friuli (La giovinezza di Pasolini) e una conversazione di Andrea Zanzotto, Milano, Scheiwiller, 1984 (distribuito a 1985 inoltrato). Sì, un libro sollecitanteperché in effetti qui sono tre i poeti che parlano: Naldini, Pasolini, Zanzotto. Il volumetto si apre con una lirica di Naldini, I vevi doj amis («avevo due amici»), primo segnale di un libro della memoria dal quale è recuperata una lontana adolescenza, sottile ritratto per tocchi e ritocchi dei due amici Comisso e Pasolini, da cui tale adolescenza si sentì indovinata e illuminata. Segue un originale testo a due voci: pagine di un inedito diario di Pasolini, in corsivo, alternate a pagine in tondo in cui Naldini, da m_edievale «sponitore», offre dati biografici assai pertinenti, postilla con lirica eleganza, approfondisce, sicché allafine è come aver letto due diari, dei due cugini (le madri erano sorelle). Più liricamente evocativo quello di Naldini e talvolta dotato di intenso, pacato ritmo: «Il Tagliamento è un fiume strano, il suo sconfinato letto di sassi si 'perde contro le montagne· celesti e viola che in certe ore del giorno si sbiancano e si dissolvono nel cielo bianchissimo·». Più drammatico quello di Pasolini:· «Non ho (ancora) il senso vero• del rimorso, della colpa, della redenzione; ho solo un unico senso del destino ma nel suo farsi precario e inglese del 1611. Verrà poi quel giorno che brucerà come un forno (Malachia 4, 1), e colui che verrà sarà come il fuoco che purifica i metalli, come la liscivadei lavandai (Malachia 3, 2): nell'inglese,for he is like a refiner's fire and like the fuller's soap. Chi ricorda la bellissima aria del Messia di Handel potrà ammirare la sensibilità artistica che scansa i pericoli del sapone. La lisciva in questione, che sporca prima per purificare poi, è comunemente un miscuglio di cenere e acqua: in inglese esiste il termine generico fuller's earth. In questa forma ricorre nelle prediche del Seicento: Eachard nel 1670 consola il suo pubblico, «Le macchie del peccato verranno facilmente eliminate mediante il sapone del dolore e la lisciva della contrizione» ( by the soap of sorrow and_the fuller"s earth of contrition). La mente di tal prosatore è al contempo biblica e interamente casalinga. Si capisce quanto fosse facile per gli amici del pastore e scrittore Thomas Fuller, che morì nel 1661, escogitare l'ammirevole brevità della sua iscrizione: Fuller's Earth. A utore di dottissime disquisizioni (la validità del battesimo era la sua specialità), William Walker, amico di Isaac Newton, all'epoca era famoso pri-· ma di tutto per un suo manuale di grammatica universalmente adoperato, A Treatise of English Particles. Da queste particelle sue derivò il soprannome, «Particles Walker». Sulla tomba scrissero: Walker' s Particles. Nella vita di ogni giorno, davanti a cognomi che servono a designare persone a noi note, solo eccezionalmente diamo peso ad eventuali sensi secondari. Isolato, in assenza del titolare, il nome si presta più facilmente ad accogliere referenti non-personali. Hallowed be the _SabbaothI And farewell alt worldly Pelfe I The Weeke begins on Tuesday I For Munday hath hang'd himselfe (St. Olave's, Southwark): con Lunedì impiccato, la settimana per forza comincia martedì. Tale non ambigua tecnica per la nullificazione dell'individuo è particolarmente cara alla tradizione popolare. Life's not a bed of roses, non tutto è rose e fiori in questa vita; nella tomba, però, si riposa. Il sollievo della Famiglia Rose è evidente: This Grave's a bed of Roses! L'anziana signora Mann, quando non c'è più, si riduce a mero paradosso: Here lies the body of Anne Mann, I Who lived an old woman I and died an old Mann. Morirono il 16 luglio 1837, e furono sepolte insieme nel cimitero londinese di Hornsey le gemelle Emma e Maria Littleboy (un cognome che in italiano si potrebbe tradurre con «Ragazzini»). L'iscrizione funebre, dopo la recita convenzionale, aggiunge: Two Littleboys lie here I Yet strange to say I These «little boys» are girls. Nel 1537 fu impiccato e squartato a Londra Thomas Fitzgerald, Conte di Kildare, capo di una fallita rivolta anti-inglese; fu squartato di nuovo epigrammaticamente in effigie verbale (kill vale ammazzare, e dare, osare): Who kill'd Kildare? Who dar'd Kildare to kilt? I Death kill' d Kildare, who dare kilt whom he will. Nei cimiteri di campagna si trova sì la denuncia esplicita («fu ucciso dall'incompetenza del farmacista», «questa pietra non fu eretta dalla risposata sua vedova»); di rado, però, si trova.tanta animosa abilità. La paronomasia, in una lingua satura di omofonie com'è l'inglese, è statisticamente la figura pl"eferita. Il defunto era tintore? Si fa in fretta a dare forma concreta alla sua totale dedizione al lavoro, dato che die «morire» e dye «tingere» si equivalgono: Here lies fohn Hyde. I He first liv'd, and then he died. I He dyed to live, and liv'd to dye, I And hopes to live eternally, dove vale la pena di notare la tecnica quasi sempre impiegata in casi analoghi (ad esempio, dal Joyce di Finnegans Wake): siccome il gioco è fonico e non grafico, viene chiarito anche per il lettore eventualmente distratto dall'impiego della forma sintagmaticamente meno prevedibile. Tornando ai nomi, ricorderemo l'eroe dell'Odissea che sparì dal cannibalesco antro grazie a Tarnkappe verbalmente tessuta (chi era? era Nessuno). In inglese il cognome, non infrequente, Knott è omofono di «not» privativo e distruttivo. La doppia valenza viene sfruttata appieno in questo esempio: Here lies fohn Knott: I His father was Knott before him, I He lived Knott, died Knott, I Yet underneath this stone doth lie I Knott christened, Knott begot, I and here he lies and stil! is Knott: dove si annulla a furia di parole non solo la persona ma ogni esperienza che potrebbe chiamarsi sua. Chi muore lascia, volente o nolente, la sua chiara fama in pegno (in pasto?) a estranei: ti ridimensionerà chi, godendo ancora di buona salute, per il momento prevale. Ecco ciò che dice la lapide di John Sand: «E chi del fiato altrui vivrà? / La fama viene meno alla fiducia di chi muore. / E siccome, morti, i nostri nomi cambiano/ Io, che fui Sabbia, ora son polvere». Sand I was, and now am dust. Il barocco abbraccia nella multisfaccettata sua impostazione esempi polarizzati ma confortanti; il grido solitario che ci arriva dalla raggiunta e moderna civiltà può al contrali librodellamemoria confuso». Oppure: «Un giorno mi dicevo che tutti gli uomini hanno davanti a sé un'uguale quantità di vita, e che quindi, poiché io ne divoro con maggiore avidità di una. parte degli altri, stava nella logica dei fatti che io dovessi morire assai giovane». In questo diario, scritto a venticinque anni fra il giugno del '46 e il dicembre del '47 su quaderni scolastici lasciati al cugino allorché abbandonò il Friuli per Roma, Pasolini da un lato segue accortamente, quasi con acribia, il destarsi dei propri «sentimenti sensuali» dal- !' età di tre anni, quando ricorda di aver già provato solletico, seduzione; violenza di desiderio alla vista delle gambette dei ragazzi piegate nelta corsa e nel gioco ai giardini pubblici di Belluno,- sino agli eventi del/'adolescenza, sempre ansiosamente curioso di capirsi. D'altro lato affiora l'esperienza intellettuale del giovane e la sua precoce tendenza a vivere la cultura in modo eccezionalmente attivo, produttivo, sia attraverso l'insegnamento in una scuola sia con vere operazioni culturali, quale la creazione a Casarsa dell' Academiuta de lenga furlana, di cui oggi vediamo la grande differenza dalle accademiette della provincia italiana per la sua importanza a livello letterario nazionale. Su questo aspetto della form(lzione culturale e artistica pasoli- • niana risultano assai suggestive, oltre che di notevole importanza, tanto le notizie offerteci da NaldiMaria Corti ni .quanto le riflessìoni di Zanzot~ to. Ecco puntuale Naldini sulle prime letture del cugino: molto Leopardi, Tasso, Ungaretti più che Montale, i lirici spagnoli di Carlo Bo, quelli greci di Quasimodo, le poesie di Penna. All'università di Bologna Pasolini fu redattore capo del Setaccio, rivista del Guf dove pubblicò le prime poesie friulane. Nel '42 egli stampa a sue spese le Poesie a Casarsa, presto riconosciute nella loro novità da Gianfranco Contini: « Le cartoline postali di Contini, scritte con la meticolosa bellezza di un ideogramma cinese, furono da quel momento dei messaggi celesti». Alla fine del '43 esce il primo numero della rivista friulana Il Stroligut, stampata a spese di Pasolini e su cui scrissero anche Naldini e altri giovani amici che Pasolini con la sua carica artiS!ica espansiva invogliava a poetare. Anche qui sarà Contini a comprendere per primo l'iniziativa dirimpetto alla prevedibile ottusità dei tradizionalisti dell'uso del dialetto, fregiando del chiaro nome di félibrige la giovane produzione ca~ sarsese. Sulla scelta del dialetto di Casarsa come lingua della poesia Zanzotto fa degli acutissimi rilievi nella intervista qui edita, fattagli dal poeta friulano Amedeo Giacomi- • ni. Pasolini, si noti bene, fu attratto da vari dialetti friulani e veneti: «In questo quadro si, ass(ste in lui alla dilatazione del concetto'di plu~. ralità dei dialetti a tutta l'area romanza: Scriveya ..hei vari ·dialetti dell'area friulana (ma anche in catalano e in castigliano.. .) e compiva nel contempo un percorso d'identificazione etnica del Friuli come Nazione». Alla fine del lungo processo di riconoscimento linguistico vi fu quello di identificazione col dialetto di Casarsa; dice ancora Zanzotto: «ricerca del volgare illustre che diventa per lui il casarsese. Paradossalmente si è trattato di un'operazione anche un po' dantesca: il casarsese trattato alla stregua in cui Dante finisce per trattare il fiorentino, ponendolo al centro della propria realtà linguistica». A Zanzotto si deve anche un'altra osservazione chiarificatrice: Pasolini amava sì come Naldini e gli altri amici del gruppo la fiaba idillica delle estati friulane, le gite al · Tagliamento, deliziosamente descritte da Naldini, i tuffi nei laghetti, le pause georgiche, ma era «uno costretto a vivere in modo infernale dentro un ambito che è idillico»; di qui lo scattante stato nevrotico o la sottesa inquietudine. Va dato merito a Naldini di aver portato alla superficie con assoluta discrezione , e signorile grazia la complessa e segreta situazione psicologica, le bufere familiari, sensuali e ideologiche che si scatenavano al di sopra dei verdissimi e profumati campi del Friuli. Come pure di aver ottimamente descritto il distacco finale dal mondo friulano avvenuto in modo quasi·neutro, , senza rimpianto, senza rancori: , «I{ suo tempo friulano era epoché, pi divenne mito, poi storia e infine rio rivelarsi agghiacciante: Edith Bone,.dopo anni di prigionia politicamente motivata, poco prima di morire (nel 1975) scrisse un epitaffio per se stessa: Here lies the body of Edith Bone. I Alt her /ife she lived alone, I Unti! Death added the final SI And put an end to her loneliness. Dopo tanta singolarità sofferta, la Bone diventa le proprie ossa; trova la pace, anatomizzata, nel nulla. E ~co un testo che affida tutto alla esigenza formale della rima baciata iniziale, la cui paradigmaticità genera una affermazione da ridimensionare in seguito: Here lies fohn Bun, I He was killed by agun; sistemato questo (e stabilito il fucile in quanto agente), occorre ridimensionare: il nome della vittima non era Bun, era Wood. «Wood» però non faceva rima con «Gun», «Bun» invece si incasellava a meraviglia! La (tardiva) rettifica gioca sull'omofonia Woodlwould come si vede: His name was not Bun, but Wood I But Wood would not rhyme with Gun, I But Bun would. In realtà è la morte stessa che conferisce un anonimato inevitabile, che può essere anche assoluto. A Kendal leggiamo, «Dorme sotto questa umile pietra/ Un teschio di nome ignoto». La voce che dalla tomba ci parla solo in apparenza è una voce personale; ma ciò che asserisce (anche se per interposta persona) è pur ·sempre un'uguaglianza oggettivamente raggiunta. La popolana sepolta fuori chiesa così si esprime: «Io giaccio qui, alla porta della chiesa. / Giaccio qui ·perché sono povera./ Più paghi, e più dentro stai. I Io giaccio qui: calda ·quanto loro». A Tetbury in Gloucestershire non si tratta di stendere un pietoso velo su esistenze laboriose ma di accettare la non pertinenza di un'anagrafe: «Nella fossa comune, qui sotto,/ Sono sepolte le lavandaie di questa parrocchia. / I dettagli saranno resi noti il Giorno del Giudizio». divenne la poesia di Il sogno di una cosa e La meglio gioventù». Per Naldini menzionare i giovani amici delle lontane estati friulane significa interiormente evocare quel mondo: così è nato il racconto dal titolo La tomba di Pasolini, che da un lato è tragico per la vicenda di Attilio, ma dall'altro nella sua pacatezza stilistica supera il dramma, restituendo ancora una volta le cose dentro un alone di freschezza adolescenziale mitica. Se il volumetto si apre sul tema della memoria dei due grandi amici di Naldini, Comisso e Pasolini, noi abbiamo la tentazione di chiuderlo con una riflessione sulla felice ventura dei due, cui la Fortuna ha dato un erede di memorie e di affetti del livello di Naldini che con questo libretto, col precedente Poesie e pagine ritrovate (ancora in collaborazione con Zanzotto), Roma, Lato-Side, 1980, e coi due volumi su Comisso (Veneto felice del 1984 e Vita di Giovanni Comisso del 1985) ha dato grande luce alla seconda vita dei suoi eccezionali amici, quella che comincia dopo la morte. Nico Naldini Nei·campi.del Friuli (La giovinezzadi Pasolini) e una conversazione di AndreaZanzotto Milano; Scheiwiller, 1984 pp. 74, lire 10.000 <::·:·!'-----------~-----------------------------------...;._--------------------------------

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