Alfabeta - anno VIII - n. 82 - marzo 1986

Ambiente e modo di produzione Il modellobio-economico D a alcuni anni l'uso analogico delle nozioni della termodinamica e particolarmente del concetto di entropia si è diffuso nelle scienze sociali con risultati non sempre convincenti. In economia - grazie all'opera pionieristica di Georgescu-Roegen - mi pare invece si sia giunti ad un uso di queste nozioni che si integra profondamente nel corpo stesso della disciplina, aprendo prospettive rivoluzionarie. Si può quindi affermare che - se anche gli economisti che si sono incamminati su questa strada sono ancora molto pochi - quella «bio-economica» (a volte detta neo-fisiocratica) si sta r_ivelando una strada maestra nel rinnovamento del pensiero economico. Essa permette di comprendere e sistematizzare il complesso rapporto fra le attività economiche dell'uomo e l'ambiente, vivente e no, con cui esse interagiscono. Secondo Georgescu- Roegen l'entropia sarebbe la legge che regola l'economia non solo dell'uomo ma di tutti gli organismi viventi. Essi infatti per mantenere la propria bassa entropia (il proprio ordine) la «prelevano» dal mondo che li circond.1, aumentandone così l'alta entropia, cioè il disordine. Se può quindi sembrare che il mondo vivente riesca ad andare contro la legge dell'entropia (la vita e lo sviluppo di un organismo vivente creano «ordine») in realtà siamo di fronte solo ad un prelievo verso l'esterno. La vita cioè crea il proprio ordine aumentando il disordine del suo ambiente. È facile vedere come questa impostazione offra una solida spiegazione al problema del degrado ambientale: con l'enorme sviluppo dei suoi organi eso-somatici (le macchine, che sono un prolungamento all'infinito delle braccia) l'uomo ha aumentato enormemente la necessità di prelievi dall'ambiente esterno, trasformando così le materie a bassa entropia in rifiuti ad alta entropia. Si definiscono risorse a bassa entropia quelle che per la loro concentrazione sono utilizzabili dall'uomo. Per impostare meglio il problema occorre però fare una precisazione: il sistema terrestre è chiuso per quanto riguarda le quantità disponibili di materie prime ordinate (cioè a concentrazioni utilizzabili) mentre è aperto sul piano energetico per quanto riguarda l'apporto di energia solare, che arriva comunque sulla terra in quantità fissa, che sia utilizzata o no. Da questo fatto nasce la distinzione fra risorse rinnovabili e risorse non rinnovabili. Nel caso delle risorse non rinnovabili il livello di concentrazione utilizzabile varia nel tempo ma ha un limite assoluto nei consumi energetici necessari. Se una certa quantità di ferro (materia prima ordinata) arrugginisce e viene disperso, sarà impossibile recuperarlo e riciclarlo. Il riciclaggio assoluto non è possibile, per cui le risorse non rinnovabili vanno irrevocabilmente dall'ordine verso il disordine (Gèorgescu-Roegen lo definisce «quarto principio della termodinamica»). Ciò vale a maggior àgione per le materie prime energetiche fossili: un pezzo di carbone bruciato è perso per sempre. Quindi se per recuperare ferro (riciclandolo o estraendolo da concentrazioni sempre più basse) usiamo energia fossile o comunque non. proveniente da fonte rinnovabile, provochiamo un degrado irreversibile. Aumentiamo cioè l'entropia del sistema. B en diverso è il discorso per quanto riguarda le risorse rinnovabili: qui ci si può chiedere che cosa vuol dire rinnovabili, poiché la legge della conservazione della materia ci ricorda che non si può distruggere né creare materia. In effetti chiamiamo rinnovabili due tipi distinti di risorse: da una parte l'energia solare, che rinnovabile non è, ma che è disponibile ogni giorno (fino a estinzione del Sole) in quantità praticamente illimitata rispetto ai nostri possibili fabbisogni. Quindi, qualunque sia la quantità utilizzata oggi, domani ne avremo a disposizione altrettanta. Dall'altra_ parte chiamiamo rinnovabili le risorse di origine animale e vegetale, che grazie all'agricoltura e all'allevamento possono essere prodotte e riprodotte all'infinito, purché beninteso non si superino i limiti della capacità di carico del suolo e della disponibilità di acqua e si evitino gli inquinamenti di acqua, aria e suolo che riducono le potenzialità produttive. Purché, insomma, non si distrugga il supporto terra+ acqua+ aria che rende possibile la produzione. Ma perché parliamo di produzione se la materia non può essere prodotta? In realtà tutte le risorse rinnovabili sono un dono del Sole, poiché il mondo vegetale - grazie alla fotosintesi clorofilliana - crea il proprio «ordine» combinando materia organica, acqua e, appunto, l'energia del Sole e trasformandola in energia biologica, assimilabile dagli animali e dall'uomo. Se dunque il mondo vegetale deve la propria esistenza all'energia del Sole, quello animale la deve a questa capacità che hanno le piante di produrre e ri-produrre all'infinito l'energia biologica di cui ha bisoMercedes Bresso gno per nutrire la propria bassa entropia. In questa ottica le risorse animali sono rinnovabili solo in maniera indiretta. Di questa particolarità che distingue le attività che hanno a che fare con il mondo vivente (l'agricoltura e l'allevamento) si eFano già accorti i primi economisti, detti appunto «fisiocratici» perché mettevano in evidenza come solo l'agricoltura desse un «prodotto netto», consentisse di ottenere cioè più di quanto si immettesse nel processo produttivo con le sementi. Mentre tutte le altre attività non erano che trasformazioni (con perdite di lavorazione) di materie prime esistenti. Noi oggi sappiamo che anche l':.- gricoltura non produce materia: essa è però per il momento l'unica a saper utilizzare l'energia solare per trasformare materia ad alta entropia in materia a bassa entropia. All'agricoltura, e più in generale al mondo vivente, deve quindi rivolgersi l'attenzione dell'economia se vuole assicurare la sopravvivenza della specie umana nel tempo lun- _go.I veri «liiniti dello sviluppo» sono la disponibilità di terra e di acqua: l'inquinamento e il consumo indiscriminato di suolo fertile tendono a ridurre sempre di più le potenzialità produttive del mondo vegetale. L'uomo-industriale ha creduto di accedere al meccanismo della creazione, estraendo dalla materia grezza utilità che ha chiamato prodotti. E non si è accorto che con la stessa velocità stava producendo rifiuti, cioè disutilità. Il bilancio è • nullo e il suo attivo apparente è solo un· prelievo sul futuro. O ggi la maggior parte delle attività industriali sono fondate sull'utilizzo di risorse non rinnov.abili e la stessa agricoltura è fortemente dipendente da esse per i fabbisogni energetici e per i fertilizzanti e i pesticidi. Il processo • economico può essere quindi definito come una trasformazione di risorse a bassa entropia in risorse ad alta entropia (i rifiuti). Poiché il processo non è reversibile ciò significa che la permanenza della specie umana sulla terra dipende dal numero di persone viventi e dai loro consumi. Ogni spreco di una generazione riduce irrimediabilmente gli anni a disposizione delle generazioni a venire. Eppure viviamo tutti nell'illusione che sarà possibile la quadratura del cerchio, cioè che la reversibilità sia raggiungibile tramite il riciclaggio dei rifiuti (che in realtà non può riguardare che una piccola parte dei materiali usati e in nessun caso le fonti energetiche fossili) e tramite il continuo ritrovamento di nuove riserve di minerali e materie prime. Intanto nelle nostre discariche si accumulano milioni e miliardi di tonnellate di rifiuti alla rinfusa da cui più nulla sarà recuperabile. Mentre anche le risorse apparentemente più abbondanti .'sarebbero già oggi scarse se tutti gli abitanti della Terra fossero in grado di esercitare sul mercato una domanda di materie prime pari a quella del modello che viene loro proposto: gli Stati U~iti. Su questa strada esistono solo soluzioni di breve periodo che spostano il problema dell'esaurimento delle risorse e della crescita dell'inquinamento di qualche decennio al massimo. Mentre l'obiettivo deve essere quello della preservazione . della specie in tempi biologici, cioè per milioni di-anni. In questo senso si può propriamente parlare di bio-economia: si tratta di un tentativo di conciliare i tempi del mercato ed i tempi della. specie. Esiste sulla terra un perfetto meccanismo «a cerchio chiuso» che è costituito dalla produttività del mondo vegetale. Bio-economia vuol dire imparare a trarre il massimo da questa gigantesca macchina per produrre e riciclare, grazie all'aiuto del Sole. Abbiamo già detto che alcuni economisti attenti alla problematica ambientale si definiscono neofisiocratici poiché ritengono necessario un riorientamento della scienza economica nel senso di una maggiore attenzione al mondo vi-· vente ed alle sue potenzialità produttive e che si preoccupano dei pericoli che esse corrono in una società che sembra avere perso il senso dei tempi lunghi e che quindi privilegia il più facile ricorso alle fonti non rinnovabili. Essere neofisiocratici non vuol dire subire supinamente il dominio della natura; vuol dire riconoscere che la più efficiente impresa di produzione è quella che si appoggia sulla ·natura e sulla sua capacità di fare della Terra un ecosistema aperto all'apporto dell'energia solare. Sempre più, a mio avviso, le risorse di base dovranno provenire dalle fonti rinnovabili: usare la terra, l'acqua, l'aria, mettendone in valore le proprietà autorigenerative (sfruttando cioè la capacità di ricreare bassa entropia dall'alta, grazie al «prodotto netto» del Sole») e impegnando in questa battaglia le enormi capacità di ricerca e di sapere dell'uomo. Ciò significa però essere consci dei «limiti dello sviluppo», che non sono quelli degli stock di risorse non rinnovabili, ma quelli del sistema produttivo bio-economico. Il capitale di cui disponiamo non sono le riserve di petrolio né quelle di petrodollari, ma la terra, l'acqua, l'aria, il sole, la conoscenza delle interrelazioni complesse che li legano. I limiti della nostra crescita sono quelli del nostro patrimonio naturale. La sua produttività può essere aumentata fino al punto in cui il patrimonio non viene distrutto .. Spetta a noi trovare i modi per spostare in là quei limiti. Questa è probabilmente la direzione prioritaria per la ricerca in una società bi.o-economica. S ulle risorse non rinnovabili abbiamo fondato l'era del bene mobile: quella società degli oggetti e dei consumi opulenti analizzata impietosamente da Baudrillard. La crescita continua della disponibilità di oggetti ci ha appesantito di cose inutili e dei loro compagni: i rifiuti. Oggi sempre più la saturazione da oggetti si accompagna all'incubo della montagna di rifiuti ingombranti e spesso non smaltibili. Ma il sistema produttivo della natura ha risolto il problema del riciclaggio continuo dei rifiuti. Una scienza e una ricerca intelligenti devono saper «copiare» le soluzioni più efficienti. Bio-economia vuol dire saper risolvere problemi nuovi e soddisfa{e bisogni nuovi senza distruggere il capitale naturale e senza ingombrarci di rifiuti. Vuol dire spostare in là i limiti dello sviluppo in modo reale e non illusorio come abbiamo fatto finora, concentrando nel tempo le generazioni future. L'uscita dal «regno degli oggetti» può avere, a mio avviso, due direzioni: da una parte l'aumento dell'utilità dei beni rispetto al loro contenuto in risorse non rinnovabili e la loro progressiva sostituzione con beni immateriali o quasi (è un tema molto .complesso che non posso qui trattare compiutamente). Ciò può. avvenire per molti prodotti industriali ma non, ovviamente, per quelli agricolo.-alimen-

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