.. , .· ... nenza o la reminiscenza della preistoria è forse quel non ovvio che può mostrare la vita come un mistero assolutamente da non dimenticare: è.il pensiero di ciò che .verremmo a perdere .contrapl)osto al fantasma assoluto visto come ciò che potrebbe sopraggiungere .. Se questo fantasma è:una figura unica, solitaria, non amalgamabile con nulla; la rievocazione della preistoria apre invece a una ridda interminata di figure, immagini, sensazioni; è lo scatenarsi impreveduto, sull'orlo dell'abisso, di una felicità ancora insondata e che ci trattiene da quell'abisso». R . iepilogando: ciò che accomuna l'atmosfera del sogno e quelle del film e dello scritto è l'esperienza paradossale di un sentimento di speranza provato di fronte all'abisso della morte «co- , smica», di una morte, cioè, che non minaccia di annientamento questo o quel soggetto, ma la stessa possibilità di esistenza di qualsiasi soggçtto, di qualsiasi memoria biogra- •fica·o storica; speranza che è susci- •'tata da un'emozione estetica: dal mistero di una bellezza che emana . da fenomeni disumani.e mortali. Come si è appena visto, Comolli •ipotizza, con la sua prosa suggestiva, che il rapporto speranza-bellezza affondi le radici nella reminiscenza della preistoria: è il permanere del primordiale in noi che permette di cogliere il bello nell'orrido, restituendo senso alla vita che stiamo per perdere e dandoci la forza di arretrare dall'abisso. È un'idea che suscita in me un forte moto di assenso; ma ciò avviene per via di suggestione; è una sorta di identificazione empatica che mi spinge a dire: sì, è proprio questa la risposta agli interrogativi sulle emozioni che mi hanno suscitato queste immagini. Vorrei tuttavia sforzarmi di dare qualche motiva~ zione più convincente della necessità che una reminiscenza della preistoria si ripresenti proprio qui ed ora, nell'umanità ipertecnologizzata della fine del XX secolo. In pr~moluogo: come dobbiamo rappresentarci il rapporto dell'uom·o preistorico con la natura? Io me lo.immagino come uno stato di totale iinmmersione nel non umano e nel rischio di morte, condizione magistralmente ricostruita in un _bel film di qualche anno fa (La· guerra del fuoco, di Jean-Pierre Annaud). Gli ominidi non erano certamente in grado di allontanare la natura in un simbolico «fuori·»: animali, deserti, foreste, tempeste, sabbie mobili, tribù nemiche, tutte le infinite potenziali minacce di annientamento li circondavano da-ogni lato irrompendo in ogni istante del loro tempo, anche·in una vita comunitaria che non aveva ancora stabilizzato le proprie regole, e nella quale, quindi, ruoli e gerarchie venivano continuamente rimessi in discussione attraverso sfide che potevano a loro volta divenire mortali. La continua presenza del disumano e della morte impedisce che l'identità u~ana possa apparire come un dato, qualcosa di scontato, la differenza umana non può affermarsi come dominio sul mondo ma come apertura nel mondo: una risata, un soggetto naturale modificato, una capanna che prende forma in una radura, un fuoco non dovuto alla casuale caduta di un fulmme. Ma perché un'identità umana costruita per sottrazione, per piecoli vuoti, discontinuità nel continuum dell'assolutamente alieno, dovrebbe avere qualcosa da spartire con l'umanità del XX secolo, insediata in un dominio tecnologico che ha ormai disteso il paesaggio artificiale su quasi tutta la superficie planetaria? Per dare una rispo- ·sta occorre riflettere sugli esiti di questa totale immersione dell'uomo contemporaneo nell'artificiale. È proprio la straordinaria accelerazione dell'evoluzione tecnologica che, paradossalmente, spegne l'illusione del dominio umano sulla natura (illusione radicata nella plurisecolare. opposizione fra natura e cultura, fra il «dentro» del territorio umano strutturato dal progettare tecnico e politico e il «fuori» del territorio naturale ancora da assoggettare, nel quale possono essere simbolicamente espulsi i fantasmi dell'alienità e della morte). Già il pensiero del secolo scorso, con Marx, è in grado di cogliere la trasformazione dell'oggetto naturale modificato che si interpone fra l'uomo e la natura in processo industriale, mettendo in luce come quest'ultimo non si presenti più come «strumento» del lavoro umano, bensì come «seconda natura», ordine artificiale che inquadra il soggetto produttivo con la stessa necessità dell'antico ordine naturale. La nostra epoca ha sviluppato questa tendenza sino ad esiti assai più radicali, proiettandola ben al di là dello scenario della produzione industriale: non sono più solo la fabbrica e il territorio metropolitano a strutturarsi secondo un ordine tecnologico che trascende l'intenzionalità del progetto _umano, è l'intero pianeta che appare ormai trasfigurato dalle leggi di una natura artificiale che ci fa sentire nuovamente immersi nel non umano, nel rischio permanente di annientamento. Naturalmente nemmeno I più elevati livelli di violenza urbana prospettano per il singolo una condizione di terrore paragonabile a quella in cui vivevano gli uomini preistorici. Tuttavia l'identificazione culturale e la sicurezza offerti dalla comune appartenenza al territorio - comunque configurato - di una polis sono ormai un ricordo. Ogni forma di identità - etnica, sociale, politica, religiosa, sessual~, generazionale - è intercambiabile e omologabile nei circuiti mondi.ali di un sistema comunicativo che neutralizza le differenze . spaziotemporali su cui è strutturata l'esperienza umana., Si risveglia allora il ricordo di un sapere primordiale:. nell'indifferenziato si nasconde il rischio permanente di una violenza arbjtrar-ia, insensata. Così l'universo «telematico» non rispecchia l'utopia d.el dominio tec;nologico, ma il fantasma della megamorte ed i suoi svariati volti: guerra nucleare, disastro ecologico, malattie degenerative, fame ecc; il non umano e la morte appaiono tanto più insensati e feroci quanto più sono il prodotto imprevisto e non voluto di processi intenzionali dell'agire umano (e quanto più assumono dimensioni di massa). • L'immaginario ecologico è inconcepibile al di fuori di questa esperienza storica di immersione in una natura artificiale che traccia il limite dell'umano con violenza e arbitrarietà primordiali. Quanto alla speranza e al desiderio _divita che nascono da tale immaginario, mi pare che essi si fondino sull'allusione ad uno spazio per l'umano che torni a strutturarsi per sottrazione, come differenza fra differenze invece che come soggetto del dominio. Così interpreto il significato dei discorsi scientifici che hanno fondato ilvunto di vista ecologico. Cibernetica, teoria dei sistemi, teoria dell'informazione, nell'interpretazione offertane da pensatori come Gregory Bateson, propongono un' immagine del mondo proiettata oltre le opposizioni natura-cultura, soggetto-oggetto, dentro-fuori, un' immagine del mondo come totalità senza centro né direzioni di sviluppo, una rete complessa di interazioni fra differenze cui il soggetto umano appartiene senza che gli sia lecito rivendicare altro che quella peculiare modalità di autorispecchiamento della rete che è la nostra coscienza. Una prima versione di questo scritto è stata letta in occasione del colloquio «Ecologia e letteratura», tenuto a Milano, Palazzo delle Stelline, il 5.12.85, e organizzato dal- /' Editore Tranchida per presentare la collana «li bosco di latte». ..... ~ "t::! s:: -~ (:s 1:.:). 'O ~ ..... C) N .... (:s t: bel i:: s <Il ..t:) ~ ~ (:s s s:: <Il E <Il ~ 1:.:). §, "'
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