Alfabeta - anno VIII - n. 82 - marzo 1986

una caratteristica fondamentale dei sistemi complessi: la variabilità degli organismi che appartengono a una data popolazione del sistema. Una caratteristica che è essenziale per assicurare la sopravvivenza quando mutano in modo imprevedibile le condizioni ambientali. È appena il caso di ricordare che questo è ciò che è accaduto con l'adozione di un limitatissimo numero di varietà disementi per la produzione mondiale di cereali, e l'eliminazione completa della molteplicità di specie che la selezione naturale aveva fatto giungere fino a no1. Un'altra convinzione caratteristica della cultura del macchinismo è quella di poter incrementare il prodotto utile di un dato processo mediante l'apporto dall'esterno di fattori necessari che il sistema non fornisce in quantità sufficienti a ottenere il risultato voluto. Le conseguenze sono opposte a quanto ci si aspetterebbe da una macchina. Non soltanto, infatti, il sistema diventa sempre meno in grado di produrre ciò che prima produceva autonomamente, ma richiede apA lcuni mesi fa ho fatto un sogno. Ero in una bella città. disposta su colline digradanti verso il mare, da cui tentavo disperatamente di uscire perché gli abitanti mi avevano avvertito dell'imminenza di un attacco atomico. Cercando di abbandonare l'abitato alla guida di un'auto, percorrevo strade a mezza costa, quasi a picco sul mare, che invariabilmente finivano per riportarmi fra le case. Dopo molti inutili tentativi, l'angoscia per l'incombente minaccia di morte si attenuava, quasi neutralizzata dal senso di nostalgia provocato dalla struggente bellezza del paesaggio. Definitivamente rientrato in città mi incamminavo sul lungomare, dove, mescolato ad una folla di altre persone, assistevo alle esplosioni che avevano iniziato a verificarsi al largo. I funghi atomici si susseguivano l'un l'altro, cambiando colore come fuochi di artificio e confondendo la loro luce con quella del tramonto. Una specie di aurora boreale che non suscitava terrore, anche perché non si udivano boati, né si avvertivano l'onda d'urto e il calore delle esplosioni; tutto si consumava nel silenzio assoluto di una pura visione. Il sogno non sfidava la mia capacità di interpretazione ma la mia memoria: avevo già vissuto questo tipo di sensazioni, che, infatti, ho finito per associare a quelle che mi avevano suscitato, rispettivamente, la visione di alçune scene di un film e la lettura di un articolo. Il film è Biade runner, di Ridley Scott. Anche qui c'è una città che vive un incubo mortale. La storia si svolge in una babelica Los Angeles del XXI secolo, strutturata su una serie di livelli in cui si succedono stili architettonici, lingue, culture ed etnie reciprocamente alieni. Questo ordine artificiale è minacciato di distruzione da un fenomeno anch'esso di origine artificiale ma che, essendosi sottratto al controllo umano, sembra assurgere al rango di catastrofe naturale: si tratta dell'invasione dei «Replicanti», automi biologici progettati dagli ingegneri genetici per fornire eccezionali prestazioni fisiche nelle situazioni limite imposte dalla coloporti dall'esterno sempre maggiori di quei fattori che non è più in grado di produrre da sé. Diventa tossicodipendente: pesticidi e fertilizzanti insegnano. Una terza abitudine contratta dall'esperienza con le macchine è quella di considerare possibile il variare a piacimento le dimensioni dei sistemi e accelerare quanto si vuole i tempi necessari allo svolgimento dei processi che hanno luogo al loro interno. Nei sistemi complessi, invece, come negli organismi viventi, dimensioni e tempi caratteristici non sono variabili a volontà, ma hanno valori ottimali al di fuori dei quali le molteplici interrelazioni fra le diverse componenti, non più in grado di esercitare un'azione stabilizzatrice, si spezzano. Come spiega Bateson con la sua «favola del cavallo poliploide», • un cavallo prodotto mediante manipolazioni genetiche che avesse dimensioni doppie di un cavallo ordinario non si reggerebbe sulle gambe, dovrebbe essere raffreddato con getti d'acqua dall'esterno perché le sue budella non cuociano, e ansimerebbe senza riuscire nizzfl.zione dello spazio esterno, i quali, ribellatisi ai loro <<Creatori», tentando di ritornare sulla Terra. Verso la fine del film il protagonista umano, incaricato di individuare ed eliminare i Replicanti, sta per soccombere di fronte al capo dei suoi avversari; bellissimo, dotato di una forza smisurata frutto della manipolazione tecnologica della vita, costui rappresenta paradossalmente il simbolo di una natura scatenata e selvaggia, tornata indomabile. Questa «forza della natura», tuttavia, proprio nel momento in cui sta per uccidere l'antagonista umano, inspiegabilmente si ferma e, prima di abbandonarsi a sua volta a morire (di lasciarsi letteralmente «sciogliere» sotto la pioggia; nel racconto i Replicanti pagavano il loro eccezionale metaad ossigenare bene tutte le sue cellule, otto volte più numerose. e i si può a questo punto dom_a~dare perché la gente ~i ostini a curare con massicce dosi di tecnologia, cioè con la cultura del macchinismo, le disfunzioni, gli squilibri e le contraddizioni di un sistema, la società contemporanea, che assomiglia assai più a un organismo vivente che a una macchina. La risposta non è difficile. Basta pensare che, fin dalla sua nascita circa duecento anni fa, il sistema sociale basato sulla «produzione di merci a mezzo di merci» ha trovato nelle macchine il meccanismo fondamentale del suo funzionamento. Ma è più di un rapp rto meramente strumentale. C'è un vero e proprio isomorfismo fra la cultura del macchinismo e il processo di produzione di capitale a mezzo di capitale. Quest'ultimo ha avuto bisogno per svilupparsi di due condizioni: ordine nella fabbrica e disordine nel mercato. Il quadro corrisponde perfettamente alla descrizione del mondo che, come abbiamo visto, caratterizza la Naturale artificiale bolismo «consumandosi» m uno spazio di vita brevissimo), preferisce salvare il nemico, affidando alla sua memoria il compito di custodire una visione: racconta di una battaglia al largo di un lontano pianeta, delle meravigliose luci delle armi a raggio che sciabolano nel nero assoluto dello spazio interplanetario. Anche qui dunque la morte minacciata dalla natura artificiale si sospende per alludere al mistero di una bellezza disumana. Lf emozione di questo mistero mi si è presentata con altrettanta intensità leggendo un articolo di Giampiero Comolli sul fantasma della morte atomica e sui modi in cui il pensiero tenta di rappresentarlo ed esorcizzarlo (G. Comolli, «Pensare la paprima: un aggregato caotico di componenti deterministiche. Ognuno per sé e dio per tutti, ovvero la somma casuale di fini individuali determinati provvede al bene ·collettivo. Ma da un po' di tempo a questa parte le CQSé stanno cambia.ndo. Non sembra piÌ'.Jtanto ovvio che un processo rigidamente finalizzato all'obiettivo della crescita illimitata, come il processo di accumulazione del capitale, possa continuare a svolgersi senza provocare danni irrimediabili, all'interno di una struttura che per sopravvivere ha bisogno di mantenere delicati equilibri fra processi metabolici del tutto estranei, se non addirittura incompatibili, con quell'obiettivo. Ci sono, è vero, segni che aggiustamenti reciproci stanno avvenendo, ma non mancano nemmeno i sintomi di crescenti difficoltà. Quello che è certo, invece, è che la tradizione socialista, da cent'anni a questa parte, ha coltivato l'illusione di eliminare, o quanto meno imbrigliare il capitalismo, usando gli strumenti della cultura del macchinismo. Nella sua componente coce», Alfabeta n. 62/63, luglio-agosto 1984). L'articolo inizia declinando come impossibile il compito di pensare la pace muovendo dall'ovvietà della minaccia atomica: il fantasma della Bomba è troppo ingombrante, ossessivo, del tutto incapace di suscitare emozioni catartiche; il pensiero se ne ritrae, rimuovendolo o inserendolo appunto nell'orizzonte dell'ovvietà quotidiana. Occorre quindi sottrarre l'orrore all'ovvietà, o meglio: imparare a guardare con occhi diversi all'ovvio. Cercando in questa direzione si cita a un certo punto una intervista a Saul Bellow, il quale, mentre contempla lo spettacolo di un bellissimo tramonto su una metropoli industriale, ricco di colori mai visti, generati dalle esalazioni -. gassose dell'inquinamento, invita a munista, infatti, ha tentato di raggiungere il medesimo obiettivo di crescita illimitata attraverso l'estensione all'intero tessuto sociale dei meccanismi deterministici di controllo caratteristici delle macchine. Nella sua componente riformista, invece, ha cercato di facilitare il processo di crescita, che rimane affidato ai meccanismi tradizionali, mediante l'introduzione di dispositivi di controllo a retroazione destinati a impedire che componenti sociali fondamentali per il processo produùivo venissero a trovarsi in condizioni di vita insufficienti alla sopravvivenza, o comunque tali da generare tensioni distruttive all'interno del sistema complessivo. Ma, come ho cercato di argomentare, la cultura del macchinismo non basta più. Non basta a far funzionare beoe il sistema attuale, figuriamoci se può bastare per trasformarlo in un sistema migliore. Citando ancora una volta Bateson, bisogna cominciare a «pensare come pensa la natura». Che aspettiamo, che sia una macchina a farlo per noi? guardare alle città degradate in cui viviamo imparando a «intuire il bello anche nell'orrido». Capace di questo sarebbe un essere umano composto di uno strano miscuglio di elementi animali e metropolitani, e che «fa pensare a una bonarietà della natura che si manifesta proprio oggi, che si ren- ~e accettabile solo oggi, nell'orrore di un presente prodotto non dalla natura, ma dall'uomo. Questa immagine dell'animale con sentimenti umani possiede un fascino misterioso e particolare: a differenza del fantasma della Bomba, solleva dietro a sé un insieme di figure e ricordi disparati». Comolli prosegue evocando alcune di queste figure: gli ominidi provenienti dall'Africa che, un milione di anni fa, si avventurano per la prima volta nell'Asia ancora deserta, e annusando l'aria contemplano i nuovi territori dalle profondità di un pensiero senza parola; il «discorso» del Salto. Angel, la più alta cascata del mondo, che con il rombo provocato dal suo salto di più di mille metri dà vita ad un «linguaggio» costituito da un'unica, eterna tonalità; la reminiscenza di un episodio di cannibalismo sulla banchisa polare, confessato da un capitano alla futura moglie in un racconto di Con rad; il ricordo di un viaggio che lo stesso Comolli ha compiuto fra gli «ultimi pagani» del Borneo, visitando i loro tristi déi che stanno per morire. Figure accomunate da un fascino primordiale m cui s1 mescolano «una sacralità arcaica o un'orrida bellezza», ci suggeriscono tutte insieme l'idea che nel preistorico «vi sia un qualche segreto che ci riguarda, che proprio oggi ci sollecita più che mai». Non ovvio è quindi il permanere del primordiale- dentro di noi, unica possibilità di riempire il disumano di sentimenti umani: «Riuscire ad avvertire, proprio oggi, a causa del fantasma-Bomba, ma anche nonostante il_fantasmaBomba, la presenza della preistoria, mi sembra un'esperienza capa-· ce di aprire un paesaggio inaspettato e lussureggiante nella propria vita trasformata in ovvietà e minacciata di incenerimento. La perma-

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