--- --- del carbone il carbone stesso probabilmente contribuì a suggerire il • mito di uno sviluppo autoalimentante (più carbone si consuma più carbone si avrà); soltanto in questi ultimi decenni, e in particolare dopo lo shock petrolifero dei primi anni Settanta, si è capito che il fenomeno va letto a rovescio, è un processo non di crescita e arricchimento bensì di impoverimento e diminuzione: bruciare carbone per estrarre carbone fa indubbiamente aumentare la produttività del lavoro del minatore, ma fa diminuire la produttività energetica del quintale di•carbone estratto, che va calcolata al netto dell'energia dissipata nel funzionamento dei macchinari della miniera. Era difficile, all'epoca, orientarsi tra questi problemi, perché l'aumento della produzione mascherava le questioni della produttività. Sotto il profilo che qui interessa, e cioè della dialettica del concentrato e del diffuso, il carbone diede vita a un paradosso: i suoi utilizzi come mezzo di produzione (che prevalevano grandemente sugli utilizzi come bene di consumo, costituiti da bracieri e scaldini) erano trasformazioni energetiche concentrate; però, con l'aiuto delle rotaie, quelle trasformazioni concentrate potevano, pur rimanendo concentrate, divenire itineranti. Anche la rotaia è un paradosso: è una struttura fissa che agevola e promuove la mobilità; ma, più che agevolare l'insediamento diffuso, agevola i collegamenti fra insediamenti concentrati; perciò contribuisce ad aumentare l'indice di concentrazione, plasrr.andola però secondo nuovi modelli spaziali. N ei confronti dello sfruttamento delle risorse prelevate dal vivente, il carbone esercita un'influenza che, paragonata a quella che esercita sullo sfruttamento del non vivente, è minima. La macchina termica dell'epoca del carbone era necessariamente molto pesante, sia per il peso della scorta del combustibile sia perché il fluido che con la sua espansione trasformava l'energia termica in energia utilizzabile per il movimento, era l'acqua; il peso era tale che il dispositivo non ~vrebbe potuto avere nessuna utilità economica se non fossero stati eliminati gli attriti delle ruote sul fondo: la macchina a vapore mobile doveva cioè forzatamente essere la ferrovia. Ma il sistema vivente - come si è visto all'inizio-svolge i propri processi su spazi estesi, in quanto si serve dell'energia solare che è una fonte diffusa (è stata paragonata, paradossalmente, a una «pioggerellina» sottile e ubiquitaria): il lavoro dell'agricoltura è in parte un lavoro in movimento su spazio esteso (semina, concimazione, erpicatura, aratura ecc.) e in parte è un lavoro di movimento, da spazio esteso a spazio ri~tretto e da spazio ristretto a spazio esteso: il fieno viene raccolto sullo spazio esteso dei prati, e conferito allo spazio ristretto del fienile sovrastante la stalla, mentre il concio, che è un sottoprodotto della trasformazione del fieno, viene originato nello spazio ristretto della stalla, maturato nello spazio ancor più ristretto della concimaia, e- poi distribuito sullo spazio esteso dei prati (il pro~ blema del contrasto spazio esteso/spazio ristretto è vivissimo ancora oggi: l'additivo antidetonante da. aggiungere alla benzina è più costoso se proviene dall'agricoltura, come propone Ferruzzi, che se proviene dagli idrocarburi come propone l'Eni, proprio perché, se proviene dall'agricoltura,' occorre raccogliere la materia prima su spazio esteso per lavorarla su spazio ristretto, mentre gli idrocarburi provengono da uno spazio ristretto, la petroliera; che poi né la soluzione Ferruzzi né la soluzione Eni siano le soluzioni ottimali, questa è, come si suol dire, «un'altra storia»; ed è una storia un po' triste se si pensa che una terza proposta, quella degli ecologisti, non trova alcun ascolto). Una terza fase del lavoro degli agricoltori non è propriamente «agricola», in quanto costituisce la prima tappa della trasformazione dei prodotti e della loro commercializzazione: per esempio la trebbiatura del grano o l'imballaggio selezionato della frutta: e questa fase è fissa. L'impossibilità di capillarizzare la rotaia sui campi coltivati continuò dunque a far gravare sui costi di produzione agricoli l'incidenza degli attriti, dai quali le ferrovie, le gru, i carrelli del sistema interno degli stabilimenti, e infine le catene di montaggio, esoneravano i costi di produzione industriali. Per questi motivi la meccanizzazione dell'utilizzo del vivente procedette secondo uno schema completamente diverso da quello che si riscontra nella storia dell'utilizzo delle risorse prelevate dal non vivente. In una prima lunga fase le macchine agricole, sia fisse che mobili, furono macchine operatrici funzionanti a energia animale (non solo le macchine fisse, alle quali corre subito la memoria, hanno una storia antica, come i mulini o le macchine per il sollevamento del- !'acqua: hanno una storia antica anche le macchine operatrici mobili, si sono trovate vestigia di macchine aratrici/seminatrici esistenti già negli imperi neolitici, e sotto l'impero romano i galli o i germani assoggettati cercarono di sostituire con macchine falciatrici, delle quali si sono ritrovate le vestigia, le braccia dei giovani figli che i dominatori avevano razziati o deportati come schiavi). La prima macchina motrice al servizio della macchina operatrice, il mulino idraulico o eolico, aumentò la distanza tra lo spazio esteso di produzione delle risorse provenienti dal vivente, e lo spazio ristretto di trasformazione iniziale, accentuando la concentrazione del processo trasformativo: infatti il mulino a mano era collocato nelle abitazioni dei contadini, ma il mulino ad acqua chiedeva maggior tempo, e maggiori quantità di energia umana e animale, per il conferimento del grano all'impianto di macinazione. La fase successiva vide una nuova macchina motrice, la macchina termica, applicata alle macchine operatrici agricole: ma si trattò pur sempre di macchine fisse, come le trebbiatrici. Nell'ambito dell'agricoltura la macchina motrice poté venire applicata alla macchina operatrice mobile solo quando trovò soluzione il problema del rapporto sfavorevole fra il peso del combustibile, e'del fluido di espansione, e l'energia necessaria a vincere gli attriti. Tre furono le condizioni che permisero di trovare la soluzione: *a sostituzione del combustibile solido corcombustibile liquido, la sostituzione del fluido liquido di espansione, l'acqua, con il fluido gassoso fornito dalla combustione stessa, e le modifiche alle ruote mediante cingoli e appropriati rivestimenti. e i si sarebbe potuti aspettare che queste nuove tecniche avrebbero risolto, o almeno attenuato, le difficoltà provenienti dal contrasto fra l'esteso e il ristretto che avevano pesato da sempre sull'utilizzo delle risorse provenienti dal vivente. Non fu così, e anzi il contrasto si aggravò: tanto che si mise in moto un processo di concentrazione delle attività agricole su spazi sempre meno estesi, con l'abbandono di gran parte delle terre coltivate (e conseguente dégrado della collina e della montagna) e intensificazione della coltivazione degli altri territori (e conseguente impoverimento dei suoli e inquinamento delle acque). Come mai la soluzione del problema aggravò il problema? Anche questa dovrebbe venire considerata «un'altra storia», troppo complicata per affrontarla qui. Sinteticamente però si potrebbe dire che la soluzione trovata al problema dell'esteso e del ristretto, del diffuso e del concentrato, avvenne median~ te la separazione tra funzioni prima svolte da un unico impianto: l'animale aveva fornito energia, concime, e cibo carneo e latteo; ma l'avvento del trattore, affidando alla macchina motrice funzionante a energia fossile il compito di fornire energia alle macchine operatrici fisse, e soprattutto alle operatrici mobili, isolò la funzione ene~getica dalle altre; portò in seguito all'isolamento della funzione di concimazione dalla funzione di produzione di cibo; e questa tendenza separatrice, specializzatrice, prosegue ancora con la separazione dell'allevamento da riproduzione dall'allevamento da ingrasso, e con la separazione dell'allevamento da carne dall'allevamento da latte. Probabilmente, se sviluppassimo la riflessione su spazio esteso anziché su spazio ristretto, arriveremmo a concludere che le soluzioni tecniche trovate, per il problema dell'energia da mettere a disposizione delle macchine operatrici mobili, vennero adottate e sviluppate non già in ordine alla possibilità di aumentare la produttività di tutti i fattori di produzione che entrano in un processo produttivo, bensì in ordine alla possibilità che tali soluzioni tecniche offrivano, di aumentare la produttività di un solo fattore: il lavoro umano. Un'ultima riflessione può trovare un angolo marginale in questo spazio ristretto: non è solo la lavorazione delle risorse attinte al non vivente che richiede spazi ristretti (perché richiede energia concentrata), ma richiede spazi ristretti anche lo sviluppo della cultura. Perché lo sviluppo della cultura è basato sulla trasmissione delle informazioni sia nello spazio che nel tempo, e questa trasmissione è sempre avvenuta, sinora, mediante supporti materiali che richiedevano notevoli quantità di energia sia nella registrazione dei messaggi sia nel trasporto dei supporti, che inizialmente erano addirittura inamovibili, come le scritte scolpite sul marmo. Tali costi energetici contribuivano a rendere sempre più importante la trasmissione diretta, verbale, interpersonale, delle comunicazioni, pur mentre procedeva la progressiva smaterializzazione dei supporti (dalla pietra alla tavoletta d'argilla,alla pergamena, al papiro, alla carta) con la conseguente riduzione del relativo costo energetico: e questo dipende dal fatto che, più si comunica, più cresce la quantità di informazioni da comunicare; poiché l'accrescimento della quantità di informazioni da comunicare procedeva più rapidamente della smaterializzazione dei supporti e della diminuzione dei costi energetici, anche lo sviluppo della cultura si avvantaggiava della concentrazione abitat"iva e perciò la promuoveva. Ma è giunto un momento di crisi: la registrazione delle informazioni su carta sta consumando tante risorse viventi, gli alberi, da rivaleggiare con la produzione di cibo e da mettere in pericolo l'equilibrio del sistema vivente spingendo grandi aree alla monocoltura di piante a rapida crescita. L'alternativa è: o costruire una soci'età mandarina, nella quale l'accessibilità alle informazioni è riservata a un'élite detentrice di ogni potere, oppure correre verso un particolare aspetto della catastrofe ecologica possibile, dominato dalla sostituzione delle foreste con pioppete industriali. La registrazione delle informazioni su filo magnetico, la teletrasmissione, il calcolatore, ci salveranno da questa Scilla e da questa Cariddi? F orse sì, a una condizione: che la rivoluzione informatica non sia, come lo fu il trattore, adibita esclusivamente ad aumentare la produttività del lavoro umano, fino a farlo sparire nella sua accezione industriale così come il trattore lo fece quasi sparire nella sua accezione contadina, ma venga utilizzata nella dimensione di un intero e complesso sistema che attende riconversione. In ogni caso, anche nel migliore dei casi, questa riconversione costerà dolore. Sartre, negli ultimi tempi della sua vita, si doleva che la cecità, rendendolo schiavo dei mezzi magnetici di registrazione, lo costringesse a un rapporto diverso con l'informazione. L'informazione altrui, giungendogli attraverso la bobina del registratore, passava attraverso l'udito anziché attraverso la vista, e·cioè attraverso un senso che coglie solo il diacronico e non il sincronico; e l'informazione che egli stesso registrava per gli altri, sottratta a quel confronto tra i diversi momenti che si pratica nel rileggere quanto si è scritto (e in realtà non si «scrive» quasi mai, ma si «scrive-legge-riscrive-rilegge»), lo costringeva a un modo di lavorare meno assiduamente autocritico. Quelli che sono cresciuti leggendo, e dovranno lavorare ascoltando, oppure sono cresciuti leggendo uno scritto che permane sulla pagina, e dovranno lavorare leggendo uno scritto che fugge sul video, soffriranno un tipo di sofferenza che in qualche modo somiglierà a quella di chi diventa cieco in un'epoca della vita in cui il rapporto con l'informazione è già istituito (vedo certi miei amici, felicemente inebriati del loro calcolatore, che premono incessantemente e con entusiasmo il comando stampante; ma scusa, gli dico, perché attacchi un cavallo alla tua automobile?). Questo è un tipo di sofferenza che colpirà una o due generazioni, e poi si risolverà. Ma io mi dolgo sin d'ora di un amore che andrà perduto. Sinora abbiamo amato i supporti materiali dell'informazione: gli· obelischi scolpiti, i messali miniati, i portali romanici, gli incunaboli, e le edizioni originali di up secolo fa, e anche i libri moderni quando sono «fatti bene» nella loro materiale oggettualità. Se vivrò ancora abbastanza a lungo da vedere in atto la rivoluzione informatica, mi riuscirà di amare una bobina di filo magnetizzato? Forse sì, se mi riuscirà di immaginare, dietro quella bobina, una motosega che viene di~attivata prima che aggredisca un altro albero.
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