Alfabeta - anno VIII - n. 82 - marzo 1986

I n ottobre, l'autorevole commentatore del Financial Times Samuel Brittan trovava che il monetarismo fosse ancora in ottima. salute e ben lungi dal morire (Monetarism: far from dead, 24 ottobre 1985);. tuttavia, specificava, «la parola "monetarismo" è una di quelle che di solito cerco di evitare poichè è degenerata, nella discussione politica, in un termine di cui si fa un abuso senza significato». Il 5 dicembre la prognosi era già riservata. Questa era l'impressione che si ricavava leggendo l'editoria-· le The Problem of Monetarism dell'autorevole Wall Street Journal, dove, per· esempio, si affermava che «i monetaristi sono attualmente i principali oppositori intellettuàli di ciò che consideriamo il progresso nella politica economica» e che «l'influenza i_ntellettuale del monetarismo è declinante». In effetti, l'il1ustre ammalato doveva già essere in coma perché poco prima di Natale un altro commentatore dell'autorevole Financial Times, Anthony Harris, ànnunciava «la morte del monetarismo e la conseguente caduta del dollaro» (vedi Dollar's decline is good news forali, 21 dicembre) ... Le cose si complicano un pochi~ no all'inizio dell'anno. L'autorevole settimanale britannico The EcoGiornale dei giornali l'annoincuimorì il monetarismo Index - Archivio Critico dell'Informazione nomist dedica all'argomento addirittura la copertina del primo numero del 1986 (1s this the year mo- • netarism vanishes?, 4 gennaio); l'editoria!~ di apertura ripropone l'angosciosa domanda<& l'anno in cui il monetarismo muore?» (The year monetarism dies?). Pare di capire che l'anno in questione sia qu~llo in corso, non il 1985; dunque, Anthony Harris si era sbagliato, il mone,tarismo non era morto, anche se le sue condizioni sono tali da.far temere che non superi l'anno nuovo. L'editoriale dell' Economist propone una distinzione che potrebbe salvare la vita del paziente, anche se dovrà stare riguardato: «Mese per mese il monetarismo può essere diventato una guidavolubile» e dunque poco affidabile, ma «nel lungo percorso, le sue regole appaiono ancora sorprendentemente utili». Qualche giorno dopo, sul Sole 24 Ore che, almeno in Italia, è senz'altro autorevole, Antonio Martino scrive che il monetarismo è stato «incompreso» (11 monetarismo incompreso, 7 gennaio): «Sotto il proti.Io teorico, il successo delle teorie monetarie o "monetariste" è innegàbile~> è «àlrreitanto impor-- tante appa-re la .s.ua influ~nza per . quanto riguarda la concezione della politica monetaria». Se il monetarismo non sembra in forma smagliante è perché «tanto Margaret Thatcher quanto Ronald Reagan si rifanno alle tesi di Friedman,._ma senza capirle né applicarle». In sostanza, dice Martino, se l'inflazione in Gran Bretagna e negli Stati Uniti è stata sconfitta «controllando la crescita della quantità di moneta in circolazione» lo si deve al monetarismo; se alcune cose non· vanno troppo bene in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, ciò non si deve al monetarismo, ma a chi non ha saputo capire e app~e le sue tesi («queste considerazioni non impediscono, tuttavia, ai soliti "bene informati" di attribuire al monetarismo la responsabilità degli alti tassi di interesse negli Stati Uniti e la lunga recessione che ha preceduto la ripresa in corso in Gran Bretagna»). Verso la fine del mese, i dubbi divengono sempre più radicali_. Ma c'è mai stato il monetarismo? si chiede Giacomo Vaciago in un commento sul Mondo del 27 gennaio. La linea di ragionamento è simile a quella di Martino: «La politica monetaria realizzata in numerosi paesi nel 1985, e la stessa politica prevista per il 1986, hanno indotto numeIOsi osservatori (da ultimo anche The Economist) a sostenere che il monetarismo sta per Indice della comunicazione essere abbandonato. In realtà, bi- do sia al fine tuning discrezionale, sognerebbe anzitutto dimostrare sia a considerare i tassi d'interesse che il monetarismo ha ricevuto un' come indicatori della politica moeffettiva applicazione negli anni netaria». passati». . All'incirca, ,Samuel Brittan nelCondusion·e del ragionamento: !"'articolò sul Finandal' Times del se il monetarismo non c'è mai sta- 24 ottobre indicava negli stessi to, non può neppure defungere, né punti gli «insegnamenti chiave» del è lecito farsi tr9ppe domande sul monetarismo, ma aggiungeva che suo stato di salute. Scherziamo, na- «queste verità erano -note a David turalmente, per rendere un poco Hume nel XVIII secolo e·ai gesuiti meno pesante al lettore questa ras- spagnoli del XVI, quando reagirosegna di·autorevoli opinioni che si no all'afflusso di oro dal Nuovo sono avvicendate negli ultimi mesi Mondo». Ciò non implica però che sui giornali specializzati: Abbiamo «sia possibile fissare un'arbitraria sottolineato i contrasti, ma - come definizione di moneta in un'econos'è.visto- i çontrasti ci sono, e sono mia complessa basata sulla moneta notevoli. Qualche lettore potrà "pi· carta" o stabilire rigide lichi~dersi, •a.qu~sto purit.o,·.che.cosà•• nèe-guida per la crescita futura di si·ail m·onétarismo e per;ché sia'ta·n: .• .•un. aggregato monetario, prescinto importante. ·• • • ••• derido da qualsiasi mutamento nel • • sistema finanziario». R _idiamo~a parola a Vàciag~: : La definizione degli aggregati •«Come e noto, del monetan-. • .~ntrò cui fissare gli obiettivi (tarsmo sono state date.n'umero-· gets) delta crescita monetaria è sose e in part~ contrastanti versioni, a . lo un aspettò della questione, ma è partire dai famosi lavori di Milton un aspetto importante, sia sotto il Friedman di 30 anni fa. Ma due a- profilo· ·reorico sia sotto il profilo spetti sono sempre stati considerati pratico: Il monetarismo nasce in essenziali: l'ipotesi che variazioni •"reazione· alle· comp_l~sse «mano- . dei trend di crescita della moneta vre~>della _politicaeconomica di i.- hanno ·solo effetti .n.qmi_nali,<:ioè spirazione;keyqesiana':_ in. termini • . spiegano· solo l'~ndam~n.to delJ:ins· p9veri,·, e~so s;Ùggetisq:. dj .non • .: . flazione; e la.regola .eh~ depb)1·'.e's'- .;•<<Smanettarè;>'tfoppole leve di po- .• ;: ' • sere perseguita una crescita stabile litica monetaria nel tentativo di e ridotta della moneta, rinuncian- «regolare» l'economia (il famoso Il temposicompraesivende LI Italia è il paese che trasmette più pubblicità televisiva al mondo. Batte di un'ora e mezza al giorno gli Stati Uniti d'America, che sono secondi. Il confronto con gli altri paesi europei non va neppure tentato, tanto poco essi si avvalgono della pubblicità televisjva per reclamizzare le loro merci. Per lo più a causa delle regole restrittive imposte·alle televisioni di stato per non turbare l'afflusso di pubblicità diretto ai giornali, quotidiani e periodici. La conseguenza è una forte pressione da parte delle agenzie di pubblicità sulle emittenti televisive per accaparrarsi i pochi spazi disponibili ed una ampia domanda inevasa di pubblicità televisiva. Per fare un esempio: una marca di detersivi non farà pubblicità sui quotidiani, essendo le persone cui la marca si rivolge delle massaie, ed essendo i quotidiani poco letti dalla categoria. In Italia poco letti in generale, tanto che i maggiori responsabili delle agenzie di pubblicità operanti nel nostro paese invitano gli editori a fare dei giornali più letti anziché chiedere restrizioni e protezioni. Però quando nacquero le televisioni private locali le agenzie di pubblicità non si eccitarono più di tanto. Pianificare una televisione per ognuna delle province d'Italia implica una buona conoscenza di mo(tissime emittenti e molto tempo per studiare la pianificazione più adatta, cliente per cliente. Insomma lavoro in più. Poiché nel frattempo il settore televisivo veniva lasciato andare a regime· di libero, liberissimo mercato, alfiIndex - Archivio Critico dell'Informazione dato alla speculazione privata, come sempre avviene in questi casi i privati più potenti distruggono i più piccoli, e furono le reti nazionali. In seguito il privato con maggior volontà di investire eliminò gli sparagnini, e fu monopolio. Nell'operazione si sono perduti migliaia di posti di lavoro, e ingenti capitali, soprattutto quelli decentrati, sono stati bruciati sufi'altare della concentrazione. Sparita la quasi totalità delle emittenti locali e quindi semplificatosi il mercato, ecco che le agenzie di pubblicità prendono ad investire sul mezzo televisivo. Tutto il sottosistema «televisione privata», piccolo o grande che sia, è previsto, in regime di mercato, che si basi sulla pubblicità, ed è per questo anche chiamato della «televisione commerciale». La pubblicità rappresenta la voce di entrata determinante e dominante per ogni emittente televisiva privata. Il meccanismo della compravendita è questo: l'emittente televisiva vende i telespettatori che la guardano, che guardano quel programma e quel canale; li vende attraverso una concessionaria di pubblicità, quasi sempre appartenente alla stessa proprietà del/'emittente, che raggruppa i telespettatori di tutte le reti, e emittenti, che ha in concessione; l'agenzia di pubblicità compera dalla concessionaria questi telespettatori e li divide per target (fasce di reddito, fasce di età, zona di residenza, grado d'istruzione, ecc.); i produttori di merci e di servizi comperano i telespettatori attraverso l'agenzia di pubblicità di cui sono clienti, la quale si vede riconosciuto dall'emittente presso cui ha • acquistato telespettatori un 15% di «ristorno d'agenzia». Tutto questo commercio di telespettatori non è una tratta di consumatori in carne ed ossa. Cosa vendono allora e cosa comperàno esattamente emittenti e produttori di merci? Oggetto della compravendita è il tempo dei telespettatori. Il tempo dei telespettatori diventa la merce di scambio. Non tutto il tempo di una singola persona, ma il tempo che ogni singola persona dedica a guardare i programmi televisivi. Tuttavia il fatto in sé che una persona si rilassi guardando dei programmi televisivi, non interessa né l'emittente né il produttore di merci; il tempo «utile» per lo scambio è quello che il telespettatore passa a guardare gli spot pubblicitari. Questo tempo affidato dai nostri governanti alla privata speculazione si traduce in una straordinaria quantità di spot pubblicitari trasmessi durante i programmi; programmi che hanno solo la funzione di far da esca per attirare telespettatori. I telespettatori non guadagnano niente, in denaro, dalla vendita del loro tempo, anzi è presumibile ed altamente probabile che ci rimettano, nel momento in cui acquistano quei prodotti reclamizzati in tv sul cui prezzo incide il costo della pub,blicità. Il telespettatore guadagna dalla cessione del proprio tempo uno spettacolo tee levisivo. I dati sull'ascolto rilevati per l'attuale stagione televisiva iniziata al primo di . ottobre mostrano che il numero di apparecchi televisivi dichiarati accesi dalle persone interpellate telefonicamente, non è poi così alto. Rispetto alle aspettative. La ricerca condotta lo scorso anno, da altri istituti e con metodi diversi, commisswnata direttamente dalle emittenti private, senza partecipazioni «super partes», dichiarava che la quasi letalità degli italiani era ogni sera davanti al proprio televisore. L'indagine di quest'anno, «garantita» dalla associazione degli investitori in pubblicità e da quella delle agenzie di pubblicità, rileva che nel/'ora di punta, 20.30-21.30, i televisori aecesi variano•t.ra il 60 e il 67 per cento, per poi scendere con il trascorrere delle ore. Il che significa che il 40% circa degli italiani alla domanda «co~a sta guardando in tv?» risponde che non sta affatto guardando la tv. Una tremenda verifica della disaffezione degli italiani alla televisione la si è avuta nei giorni festivi che intercorrono tra Natale e Capodanno. I pubblicitari e i proprietari di emittenti pensavano che, avendo più tempo a disposizione, le persone ne impiegassero di più di fronte al televisore. Sono inveceproprio di quei giorni i dati di ascoltopiù bassi dell'intera stagione. A Natale «solo» il 49% degli italiani aveva il televisore acceso e a Capodanno il 43%, ma i dati sono bassi per tutto il periodo festivo. Segno che la televisione non è più elemento di aggregazione, come alle origini, ma elemento di alienazione cui si sfugge appena si può, quando si è in compagnia per esempio, e quando si hànno i soldi per poter uscire di casa. Inoltre molti telespettatoriselezionano i programmi da guardare ed accendono il televisoresolo in quelle particolari occasioni. Le partite di calcio internazionale e il Festival di Sanremo ne sono la riprova. Il Festivalha avuto una quota di tv accesi del 76% al giovedì e del 70.3% nella seratafinale (un sei per cento di italiani ne aveva già abbastanza dopo laprima sera). La domenica successiva, che non presentava programmi di particolare rilievo, la quota di tv accesi è stata del 63%. L'enorme quantità di spot trasmessi ha setiz' altro contribuito al crollo dell'immagine del medium tv. Devono averlo pensato anche le imprese che investono il loro denaro in pubblicità televisiva. Se non c'è il pubblico che cosa compriamo a fare? si son detti. È di questi giorni la notizia che la loro associazione ha convinto il monopolista nazionale privato à diminuire considerevolmente il tempo dedicato agli spot, pena la moratoria e il non pagamento dello spazio pubblicitario. I produttori di merci sono infatti dispostissimi a sopportare un aumento dei costi-contatto (costo di ogni singolo telespettatore), purché i «contatti» ci siano. Ben Siliato Il tempo si compra e si vende Avanti! 15 agosto 1946 The sky's limit for broadcasters The Economist 14 febbraio 1986

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