Il Esiste l'amore universale? '' Secondo voi preti, c'è l'amore universale? - Secondo noi preti sì; e anche secondo me». Così; in uno dei passaggi decisivi del film, il prete protagonista de La messa èfinita replica all'interrogativo posto da suo padre: il seguito della vicenda descritta da Nanni Moretti si costituisce come una illustrazione, in senso letterale, di questa affermazione, come una chiosa a margine del versetto biblico citato. L' «amore universale», di cui qui si tratta, non ha, infatti, nulla a che vedere con l'eros, di cui Platone discute nel Simposio e nel Fedro, né tanto meno con l' amour-passion della letteratura cortese e rinascimentale, su cui di recente è ritornato Niklas Luhmann (Amore come passione, Laterza 1985); esso non è neppure il termine antitetico all'odio, nel binomio dei sentimenti primitivi studiato dall'etologia, né può essere identificato con la pulsione libidica su cui indugia la psicoanalisi, da Freud a Fromm (E. Fromm, L'arte di amare, Il Saggiatore 1985). Al contrario, ci troviamo in presenza di un riferimento tecnico, terminologicamente e concettualmente determinato, alla nozione di àgape, intesa come rapporto specifico di Dio con l'uomo e degli uomini con Dio, nel duplice processo discensivo e ascensivo estesamente trattato nelle Sacre Scritture. Già nei Vangeli sinottici è espresso - se non il termine - il concetto peculiare dell'amore come fondamento del nuovo «patto», destinato a sostittiire all'antica alleanza l'unità fra gli uomini e Dio; il Sermone della montagna sovverte radicalmente la concezione giudaica dell'amore, che pure è «forte come la morte» ( Cant. dei Cant. , 8,6), ma che è «cosa comandata», limitata al «prossimo», aspetto di una giustizia distributiva incline a remunerare con l'amore gli amici, riservando l'odio ai nemici. Al contrario, l'amore cristiano evangelico è spontaneo, indipendente dal valore di colui a cui si rivolge, creatore esso stesso di valori, capace, soprattutto; di stabilire la comunione fra Dio e gli uomini. Questa nozione trova tuttavia in S. Giovanni e in S. Paolo la sua definizione più rigorosa, in senso teologico e morale. Da un lato, infatti, lo stesso amor~ scambievole per il prossimo, in cui si riassume il principale comandamento evangeLamessafinita lico, trova il suo fondamento nell'affermazione giovannea che «Dio è àgape», sicché «colui che non ama non ha conosciuto Dio», mentre «chi sta nell'amore sta in Dio, e Dio sta in lui» (Johan. I, 4-12); dall'altro, in quel vero e proprio «inno all'amore», contenuto nella prima lettera paolina ai Corinti, ritroviamo la congiunzione dell'àgape con la teologia della croce: non solo l'àgape è «la più eccellente di tutte le .virtù», rispetto alla speranza e alla stessa fede (I, 13), ma essa esprime «l'amore di Dio in Gesù Cristo» (Rom. 8,39) nel sacrificio della croce, «scandalo per i Giudei e follia per i Gentili» (Cor. I, 1,17). In entrambi poi - Giovanni e Paolo - come già embrion?lmente nei sinottici, l' àgape si realizza in quella comunione fra Dio e gli uomini, che la liturgia rappresenta mediante il sacramento dell'eucarestia. La connessione fra questi due aspetti - l'uno dall'altro inscindibile dal punto di vista teologico - appare evidente nelle pratiche del cristianesimo primitivo, dove il «rendimento di grazie» ( eucarestia) avveniva mediante la consumazione in comune ( cum-unio) di un banchetto (àgape), destinato a rinsaldare l'amore con Cristo: «il calice della benedizione - osserva ancora Paolo - non è forse una comunione del sangue di Cristo? Ed il pane che noi spezziamo, non è forse una comunione del corpo di Cristo?» (Cor. I; 10,16). Il banchetto eucaristico è dunque il «mezzo efficace», senza cui I' àgape non può tradursi concretamente in cum-unio; nella comunione del «sangue e del corpo di Cristo» si salda, perciò, l'itinerario • «ascensivo» della creatura verso Dio con quello «discensivo» che da questi conduce all'uomo; è.con essa, allora, ·che prende forma deterUmberto Curi minata l'«amore universale». N e La messa è finita il tema dell'amore prevale nettamente su altri aspetti, presenti quanto marginali: l'amore del prete spretato, quello del padre adultero e della sorella del protagonista, quello dell'amico omosessuale e quello dell'ex leader sessantottino, quello dell'amico deluso votatosi alla solitudine e quello del giovane adepto della lotta armata - «figure» diverse e fra loro irriducibili di un sentimento analizzato nelle contraddizioni insuperabili che ne costituiscono la fattispecie «mondana_». La ricerca dell'«altro», inteso come completamento del proprio essere, la tensione verso la propria «metà» (symbolon), di cui parla il mito narrato nel Simposio platonico, sembra essere inesorabilmente destinata allo scacco; le diverse «posizioni» sull'amore descritte nel film ne sottolineano i tratti di dissoluzione e di autodistruzione, piuttosto che la natura di divina mania o di slancio autopoietico proteso verso l'immortalità. L'amore che si rinchiude nel breve cerchio del rapporto di una coppia, comunque atteggiato, è intrinsecamente esposto al fallimento, o all'infedeltà, o ad entrambi; nessuna fra le «maschere» di questa amara rappresentazione dei «limiti dell'umano», riferito all'amore, appare capace di eludere la solitudine che si esprime nei discorsi e nei comportamenti di tutti. Quando non è sesso, di cui compiacersi vanagloriosamente (lo spretato), o di cui ridere (l'allievo del corso prematrimoniale) o di cui temere le conseguenze (la sorella del protagonista) o subire le ritorsioni (l'amico omosessule), l'amore semplicemente non c'è, di esso resta sol- > tanto il nome. Sul piano dei rapporti fra gli uomini, qualunque sia l'intonazione specifica, lo «stile», la combinazione di caratteri e di situazioni possibili, l'amore appare precario e ingannevole, incapace di motivare scelte esistenziali anche radicali (come quella del padre che abbandona la propria casa o del prete che rinuncia al sacerdozio), o di placare l'inquietudine che pervade i protagonisti della vicenda, chi più chi meno tutti sospinti a cercare - in luoghi naturali incontaminati o nell'adesione mistica agli ideali della lotta armata - una risposta all'ansia di completezza da cui essi risultano dominati. Ma se, per quanto diverse siano le figure in cui si esprime, l'eros - l'amore che tende alla ricostituzione della «forma piena» originaria, la tensione incessante alla realizzazione della propria individualità mediante il ritrovamento dell'altro, la ricerca del symbolon, con cui ripristinare l'intero - è destinato al fallimento, neppure l'àgape, l' «amore urliversale», capace di ricondurre gli uomini a Dio, non già attraverso l'unità terrena della «coppia», ma per mezzo della comunione, che salda insieme il mortale e l'eterno, neppure esso risulta possibile, alla luce dell'apologo illustrato da Moretti. Nonostante l'impegno a funzio- . nare come «mediatore» fra i! piano umano e quello soprannaturale, a dispetto dello sforzo costante, spinto ai limiti del sacrificio personale, per ricondurre ed unificare le sparse membra di un'umanità divisa e dolente verso l'unità del corpo mistico di Dio, il prete non riesce a portare a compimento la propria «missione», risolvendosi alla fine ad abbandonare la parrocchia verso una terra ai confini del mondo. Indizio tangibile di questo ulteriore fallimento, nella ricerca di un amore «possibile», è la completa assenza, nell'intero sviluppo di un film meticolosamente punteggiato dalla descrizione di molteplici celebrazioni liturgiche-il battesimo, la confessione, l'ordine, il matrimonio, l'unzione - di tale sacramento della comunione che rappresenta, come è noto, il vero e proprio fulcro della liturgia cristiana. Qui i richiami a Bunuel, almeno a L'angelo sterminatore e a Il fascino discreto della borghesia, risultano più nitidi, conferendo maggiore spessore al disincantato agnosticismo professato dall'autore. Nessuno dei diversi rapporti bilaterali, che il prete istituisce, riesce a tradursi in un rapporto nel quale - secondo il «comandamento» evangelico :...l'amore scambievole agisca come efficace partecipazione dell'amore divino; nessuna reale conversione di anime a Dio è possibile, nessuna «penitenza», somministrata col sacramento della confessione, riesce più a condurre davvero alla com-unione. La messa finisce, ma senza che si sia celebrata l'eucarestia, senza che, perciò, nel banchetto eucaristico abbia potuto manifestarsi, nei «segni» visibili del sacramento più importante, l' «amore universale». L' «antica alleanza» -non si è rinnovata; il nuovo patto fra Dio e gli uomini, di cui il prete avrebbe dovuto essere «ministro», resta incompiuto: al fallimento del protagonista che diserta il proprio posto, corrisponde un balletto finale, in cui l'autenticità del rapporto d'amore si estenua nella pura esteriorità figurata del legame della danza. Incapace di istituire la comunione, pur credendo - in quanto «prete», ma anche come persona - ali' esistenza dell' «amore universale», il protagonista non riesce a farsi portatore di un'àgape che sappia risollevare il suo prossimo dalle miserie di un eros creatore di infelicità, solitudine e lutti. L'epilogo del film, in cui crescono in maniera assordante il suono della musica di sottofondo e la voce stessa del prete (entrambi resi più suggestivi dall'uso del sonoro in diretta), ricalca con grande eleganza, pur se con mesta rassegnazione, l'esordio del paolino encomio dell'amore: «Se le lingue degli uomini io parli e degli angeli, ma àgape io non abbia: divenni bronzo risonante o cembalo vibrante». L'autenticitiànmusica t-.... I n ttno scritto del 1972 Gianni ~ Vat~imo sosteneva che la musi- .5 ca s1presenta come momento ~ cen_tralein quell1t filosofie che attribuiscono all'arte un carattere utopico in quanto il linguaggio artistico, a differenza dei linguaggi comuni banalizzati e mercificati della società di massa, include residui di autenticità, che non ne consentono la facile collocazione tra questi. ~ L'ambiguità del linguaggio artisti- -e co è vista come manifestazione di ~ ~ autenticità e quindi come speranza concreta di opposizione ad un ordine che tende vieppiù al livellamento dei bisogni e delle manifestazioni dell'uomo. È di rigore il riferimento al Bloch di Geist der Utopie, che dedica appunto una lunga parte della trattazione alla musica intesa però in modo particolarissimo, muovendosi dal «Sogno» in cui l'uomo è visto come ascoltatore di se stesso e perciò chiuso all'esterno, ma nel quale «divampa il suono come una fiamma, il suono ascoltato, non il Maria Leali suono in sé o le sue forme. E senza mezzi estranei ci indica il cammino, il cammino &t<;>ricamentientimo, come un fuoco in cui non l'aria vibrante ma noi stessi incominciamo a tremare ed a togliere il mantello». Questa premessa sembra importante perché i discorsi sulla musica, anche se seri e rivestiti di scientificità, lasciano sempre un certo disagio di fondo, come se qualcosa fosse sempre e ancora al di là delle pur valide parole. È ovvio che ogni discorso va articolato per settore e che. ogni discorso parziale rappresenta una tappa di accerchiamento, per così dire, della verità; le modalità: strutturalismo, teoria della comunicazione, sociologia dell'ascolto, estetica, ed altro, vengono spesso a capo di nodi che potevano sembrare insolubili. Ciò che sfugge è il senso ultimo di queste operazioni ovvero l'obiettivo finale; non è sempre chiaro se si vuol rimanere nello specifico musicale o se si tenta di andare oltre, di affrontare la domanda: in chv modo e con quali fondamenti collocare il fenomeno musica nell'esperienza dell'uomo, nel suo essere nel mondo, nella sua vita individuale? Perciò, ancorché vaga se attribuita alla palese concretezza della musica nella società, la direzione di Bloch sembra offrire un riferimento unificante e reale alla parzialità dei discorsi specifici. Affrontiamo un discorso specifico; la nozione di autenticità, che per Benjamin è il supporto esclusi-
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