A cent'anni dalla nascita e a quasi trenta dalla morte (1957), la figura di Antonio Banfi non ha ancora assunto, nella cultura italiana, una fisionomia precisa e una dimensione adeguata. La logica di vecchi schieramenti (alla quale certo anche Banfi, ma in tempi molto diversi dai nostri, aveva dato il suo contributo) continua a influire negativamente sulla valutazione e sulla stessa ricostruzione storica del suo pensiero. Ai riconoscimenti, che non mancano, di una sua funzione centrale in un periodo drammatico della vita italiana ( cfr. ad es. gli scritti di E. Garin) fanno riscontro strane lacune o giudizi critici che sembrano esteriori, se non anteriori, rispetto alla lettura delle sue opere. E questo vale, si direbbe, tanto per i critici di parte contraria (per esempio di tradizione cattolica o neoidealistica) che per gli estimatori, alcuni dei quali sembrano troppo preoccupati di difendere «tutto Banfi», interpretato monoliticamente alla luce del suo tardo marxismo «copernicano». Per Tra i motivi che rendono così sfocata e controversa l'eredità di Banfi sta certamente la duplice personalità che caratterizza il suo ultimo periodo: quella del filosofo e quella - che finì spesso per sovrapporsi alla prima - dell'ideologo militante. Banfi aveva sempre affermato che il carattere pratico, «militante» appunto, della filosofia, consiste proprio nella sua pura teoreticità. Con questo voleva sottrarre la filosofia a qualsiasi contaminazione ideologica e valutativa. Ma non si mantenne fedele fino in fondo a questa sua massima; o piuttosto si convinse, dopo la seconda guerra mondiale, che filoso- (ia e ideologia avevano trovato nel movimento comunista una forza definitiva di integrazione, una garanzia di soluzione della crisi radicale dell'umanità. Sulla base di questa visione ottimistica della storia contemporanea Banfi fu indotto anche a reinterpretare la propria vita filosofica come un passaggio progressivo dall'ideale al reale, dalla posizione dei problemi alla loro soluzione. Ionio Banfi Guido D. Neri Ma se oggi l'ottimismo copernicano di Banfi ci lascia perplessi, sarà bene evitare di leggere la sua opera nella sola prospettiva degli ultimi anni. Di una maggiore diffe-. renziazione, del rilievo di momenti intimamente contraddittori, l'immagine di Banfi non può che avvantaggiarsi. Con ciò acquisterebbe anche una maggiore drammaticità e verità la storia della sua vocazione filosofica e politica. Per richiamarla almeno nelle grandi linee può essere utile partire da un parallelismo con i suoi quasicoetanei G. Lukacs e E. Bloch (nati entrambi nel 1885), di cui Banfi condivise almeno in parte la formazione culturale e le grandi scelte di campo. A Berlino, nel periodo compreso tra il 1908 e il 1910/11, furono tutti e tre nel numero degli allievi privilegiati di G. Simmel. L'influenza del maestro tedesco si fece sentire in modo diverso su ciascuno, ma in tutti e tre Simmel accese l'interesse per Marx e per i rapporti tra vita della cultura e mondo capitalistico. Lukacs e Bloch ruppero con Simmel all'inizio del primo conflitto mondiale, rimproverandogli il suo sostegno ideologico alla Germania in guerra. Cominciò per loro in quegli anni una lunga militanza filosofico-politica, ispirata a una forma di comunismo utopico ma sintonizzata nella misura del possibile con la realtà del comunismo sovietico. Da parte sua anche Banfi, rientrato in Italia, visse la guerra con un sentimento di rifiuto quasi angoscioso (si vedano le belle lettere pubblicate in A. Banfi, Incontro con Hegel, 1965); come loro si avvicinò al marxismo e al socialismo e seguì con partecipazione le vicende della rivo1uzione russa. Ma- più cauto e più fedele allo spirito del maestro berlinese - si guardò dall'identificare il proletariato con il soggetto-oggetto identico della storia e dal considerare la Rivoluzione come la soluzione di ogni problema umano. La storia, almeno in quegli anni, gli appariva come il campo di un conflitto di forze e valori inconciliabili. La filosofia non doveva pretendere di fornire soluzioni universali né di realizzare il Regno del Bene in una società determinata. Su questo punto dunque Banfi restava legato alla critica neokantiana della ragione storica, che proibiva di pensare la storia in termini organici e teleologici, cioè nel senso di Hegel o di Marx. Le cose presero una diversa piega nei decenni successivi, quando Banfi concepì una forma di impegno più concreto verso il presente e ne fu indotto ad accettare una visione positiva e costruttiva della storia. L'attività nella Resistenza, gli impegni organici presi nel Pci, modificarono la sua immagine di studioso e di professore, facendogli assumere una funzione di punta nella cultura militante del dopoguerra. Così Banfi, superate le vecchie riserve, si trovò a coprire un ruolo parallelo a quello di Lukacs a Budapest e di Bloch nella Ddr: simboli, tutti e tre, dell'unione tra la grande filosofia classica e il marxismo, tra la filosofia e la politica, nel contesto di una cultura progressiva che aveva trovato il proprio baricentro ideale nel Mondo Nuovo, il mondo del socialismo L'avventodellaGrandeIgnoranza Augusto Illuminati N arra dunque Ippolito, nella sua Confutazione di tutte le eresie1 , che per lo gnostico Basilide e i suoi seguaci la fine del mondo avverrà così: una volta riassorbita nel pleroma la filialità pneumatica, la creazione (cioè gli psichici, il mondo inferiore demiurgico) troverà «compassione», pace. Infetti questa•«finora geme e s'angustia e aspetta la rivelazione dei figli di Dio, affinché tutti gli uomini della filialità salgano di qui in alto. Allorché ciò sarà avvenuto, Dio distenderà su tutto il mondo la grande ignoranza, affinché ogni creatura resti nella sua condizione naturale (katà physin) e nessuno desideri alcunché di ciò che è contro natura (parà physin). Così tutte le anime che si trovano in questa estensione, quante sono destinateper natura a rimanere immortali soltanto in questa sede, rimarranno qui nulla conoscendo superiore e migliore del loro spazio; e non ci sarà né notizia né conoscenza della realtàsopramondana, al fine di evitare che le anime sottostanti, desiderando cose impossibili, siano tormentate, quasi· un pesce che voglia pascolare con le pecore sui monti: infatti tal desiderio rappresenterebbe la loro rovina... Così ci sarà reintegrazione di tutte le cose stabilitesecondo natura in principio nel seme dell'universo, reintegratenei momenti che loro competono». Questo dono benevolo del!'oblìo - ben raro nella tradizione gnostica, che è cultura del/'anamnesi, della ricordanza eletta di una verità nascosta, di una «perla smarrita» è destinato alla secolarizzazione non meno (ma in senso inverso) della ben nota macchina processuale della teologia gnostica2. Alla secolarizzazione storicistica dei miti della memoria (recupero dialettico di un'origine perduta come finalità/necessità di uno svolgimento progressivo) corrisponde così il ricorrente mito del- /' oblìo, della possibilità di ricominciamento su una pagina bianca, scosso via il sovraccaricoparalizzante della tradizione. Non si può non pensare che il gesto nietzschiano di apologia del!'oblìo storico nella Il Inattuale sia la forma secolarizzata e affermativamente voluta del grànde oblìo consolatore che i più benevoli fra gli gnostici elargivano a chi non era capace di recuperare la purezza dello sprito. Nella secolarizzazione di queste due metafore simmetriche si esprimono anche due alternative di redenzione: nella e contro la storia. Con Nietzsche non è solo la tradizione storica ad esseresospesa, ma la validità stessa di ogni mondo al di là del mondo, di ogni «retromondo» dei valori. La concessione basilidiana diventa rivendicazione affermativa di questa vita. Ma naturalmente la baldanza giovanile di siffatto gesto è dolcemente illusoria e quando ha voluto sorreggerla organicamente Nietzsche è stato costretto a costruirvi intorno una mitologia ancor più intenibile de~'Eterno Ritornò, un'utopia di rovesciamento della cristiana irreversibilitàdel tempo. Già il fatto che le due rinnovazioni moderne della polemica fra Agostino e i fautori pagani ed eretici del tempo ciclico - W eininger e Nietzsche - si muovessero sul terreno tutto moderno e cristiano del- _ l'etica (e non più della cosmologia e della storia sacra) mostra chiaramente che si tratta di estremi fra i quali si muove e dei quali (di entrambi i quali!) si nutre la condizione moderna. Non a caso Benjamin fissava in Freud, Kafka ·e Proust tre modalità di commistione fra memoria e oblìo cui poteva appoggiarsi un'istanza o un auspicio di redenzione. Benjamin ricava (da Freud e da Reik) l'idea che coscienza e traccia mnemonica in un certo qual modo si oppongano e che dunque, nella terminologia proustiana, la mémoire involontaire esprima proprio ciò che non è stato vissuto consapevolmente, l'opposto dell'Erlebnis, una protezione dagli choc del bombardamento degli stimoli esterni. Il nietzschiano eccesso di memoria è paralizzante tanto per l'esperienza del singolo quanto per quella collettiva; l'involucro protettivo dell'oblìo consente di tramandare e recuperare energie che altrimenti sarebbero bruciate dal!'azione livellatrice e dispersiva del!'accumulo delle esperienze. È, per così dire, una memoria di ciò che non è mai stato, di quanto non è stato mai portato alla coscienza (dunque, anche la virtualità di una storia futura, dell'utopia indenne dal logoramento storico). Nella conclusione del Notes magico Freud, che aveva confrontato l'apparato psichico con un blocchetto (allora in voga), costituito da una tavoletta cerata coperta da un foglio sottile protetto a sua volta da una pellicola di cellophan, che consentiva di scrivereper pressione, e cancellareper distacco dei due strati (pur restando tracce invisibili a prima vista ma decifrabili sulla cera della tavoletta), osserva che è essenziale in questa tecnica di appunto tanto l'incidere messaggi quanto il cancellarne periodicamente la traccia visibile mediante il gesto della mano che alza il f oglio superiore. Questa alternanza nella scrittura è anzi l'avvio del/'esperienza soggettiva della scansione temporale, tanto che Derrida - in..,unfamoso commento a questo testo - osserva che il tempo si configura qui come «economia di una 'scrittura». È questo scuotersi via il carico di una missione storica che alita, lieve speranza, nei più sereni presagi di Kafka, nell'avvocato Bucefalo, nell'indistruttibilità del protagonista di Amerika. L'incubo è altrove, nel sovraccarico di coscienza. Se allora nella teologia gnostica il processo fondamentale è il risvegliare dal/'oblìo alla rzcordanza dell'origine - sia pure di un indicibile - la crisi della sua secolarizzazione storicistica3 ci sospinge a forme secolarizzate che prendono per direzione principale quella suggerita solo marginalmente, residualmente dalla teologia del!'oblìo. L'intermittenza dell'oblìo apre la dimensione dell'utopia e dell'ineffabilità allo stesso tempo, come nella bellissima Idea dell'immemorabile che si pone al centro del libro di Agamben, è uno dei suoi esiti volutamente «politici». La memoria involontaria è un «ricordo che ci restituisce la cosa dimenticata (ma) ne è esso stesso a sua volta dimentico e questa dimenticanza è la sua luce», il suo momento di nostalgia: «il ricordo che non ricorda nulla è il-ricordo più forte». Non ciò che abbiamo dimenticato torna imperfettamente alla coscienza, bensì accediamo in quel punto «alla dimenticanza come patria della coscienza», laddove l'immemorabile si fa propriamente indimenticabile. «Questo indimenticabile oblìo è il linguaggio, è la parola umana», così compiuta da riconsegnarci all'infanzia. Qui - e in Idea dell'epoca, dove si vagheggia, nella e contro la caleidoscopica epocalità del postmoderno, il presagio di un arresto messianico della storia - Agamben ripropone l'utopia (l'etica, la politica) di una pura differenza non risolta in un'ennesima tradizione. Nel dramma cosmologico descritto dal valentiniano Trattato tripartito, uno dei testi gnostici rinvenuti a Nag Hammadi 4 , la rottura del Pleroma avviene quando il Logos tenta di comprendere l'incomprensibile, invece di limitarsi a parlare del desiderio di comprensione.: «Nella pienezza, infatti, vi è un limite per la parola: perché si mantenga il silenzio a proposito dell'incomprensibilità del Padre, e perché si parli del desiderio di comprenderlo». Le spiegazioni custodiscono l'inesplicabile, come il desiderio rispetta il limite dell'incomprensibilità. Ma degli esiti secolari di questa sottile questione teologica non siamo affatto sicuri. Se ben conosciamo le forme profane della chiacchiera, della dissipazione saccente delle «esperienze» non sappiamo proprio quale può essere la forma di una lingua universale, redenta e redentrice. L'intermittenza del/'oblìo apre non solo su un paesaggio anteriore ma sulla possibilità de~'azione, del «nuovo» in senso autentico; teologico è appunto che le due cose possano coincidere, ma secolarmente cosa può ciò significare? Sempre che non ci si accontenti, alla maniera del pensiero «debole», del semplice oblìo e si continui a esigere una modesta dose di impossibilità, . di conflittualità che spezzi il cerchio della presenza e de~'armonia. Giorgio Agamben Idea della prosa Milano, Feltrinelli, 1985 pp. 106, lire 10.000 Testi gnostici a cura di L. Moraldi Torino, Utet, 1982 pp. 760, lire 50.000 Note (1) VII, 27. Compresa fra le opere di Origene nella Patrologia graeca del Migne; ed. critica di P. Wiedland nel GCS voi. 26; ·tr. it. in M. Simonetti, Testi gnostici cristiani, cit., pp. 115-6. I termini «pleroma», «psichici», «pneumatici» - non specificamente basilidiani - sono liberamente usati secondo. la più comune terminologia gnostica. (2) Ogni indagine sulla secolarizzazione della teologia rinvia evidentemente ai classici modelli di Schmitt e Lowith; la gnosi come archetipo del dramma storico-progressista è stato studiato, invero alquanto tendenziosamente, con impostazione spiritualistica da Voegelin ( Caratteri gnostici della moderna politica economica e sociale, tr. it., Roma 1980) e Del Noce (L'epoca della secolarizzazione, Milano 1970), e popperiana da Topitsch (Marxismo e gnosi, in Per una critica del marxismo, tr. it., Roma 1977). (3) Ricordiamo qui incidentalmente che porre un qualsiasi gruppo di teorie e schemi interpretativi come esito secolarizzato di teologie non implica nessun giudizio né svalutativo né particolarmente apprezzativo: l'origine è totalmente indifferente a questo livello di forme elementari, diciamo di sintassi del pensiero. (4) Testi gnostici, cit., p. 369.
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