Alfabeta - anno VIII - n. 82 - marzo 1986

Mensile di informazione culturale Marzo 1986 Numero 82 I Anno 8 Lire 5.000 . Edizioni Cooperativa Intrapresa Via Caposile, 2 • 20137 Milano Spedizione in abbonamento postale gruppo IIl/70 • Printed in Italy Difesadella oesia:Aude•Dnanzaemusica:Millos I Ca iersdiValéry:Agosti,CapaHi . ImmaginiF:abre , Corti/Leonetti/Boetti I Ferraris/Esposito/llluminati/Curi : • .... .. . _ ... ' . ~ .. I ::,; .. •-• , . , • . 7-'-- .... . . :.,.. ~ ...."=- ' .. ~-~- '~'- .. •. ~ ~~ ·- . : .._: .. .. •, .• .. ,, •. Suppleme1dIlop:ianetairritalo · . a cura di E.TestaeC.Formenti G.BageBt ozzo,M.Bresso,M.Cini,L.Conti,C.Fo E.Gerelli.,GFiovenale.L,faCecla, A. yarozzi,ETe. ~, ET. iezz1,G.B.Zorzoll . ,

Einaudi WalteBrenjamin Parigciapitale delXIXsecolo Finalmente tradotto il grande work in progress di Benjamin. L'Ottocento visto nello specchio di Parigi e indagato attraverso la moda, il gioco, il collezionismo, la prostituzione, i passages, sullo sfondo della crisi • dello storicismo e delle ideologie dominanti. A cura di Giorgio Agamben. «I millenni», pp. XXII-I I IO, L. 100000 . - RudyarKdipling Qualcosdaime A dnquant' anni dalla morte, l'autobiografia dell'autore di Kim e del Libro della giungla: l'infanzia indiana, i viaggi, gli ·incontri, il lavoro letterario. «Gli struzzi», pp. v-180, L. 9000 AlbinPoierro Unpiantnoascosto L'antologia 1946-83 di un grande poeta visionario del Sud che canta la «terra del ricordo» in un dialetto reinventato.· «Collezione di poesia», pp. xxxm-135, L l0000 • AlfonsBoerardinelli. L'estetea il politico • Nietzsche e Eco, « finis Austriae ».e New York,.· Moretti e Wenders: ..- · • stile, identità e consu~i • del nuovo intellettuale piccolo • borghese. «Nuovo Politecnico», pp. xvm-8~, L. 6500 . GuidGougliel~i Laprosaitaliana· delNovecento Le scritture grottesche e metafisiche, il pastiche e la narrazione combinatoria da Pirandello e D.' Annunzio. a Savinio, Svèvò, Gadda, Manganelli, Calvino. «PBE»,pp.v-263,L. 12000 LudwiWg ittgenstein Zettel Questi« foglietti» riprendono uno dei temi di fondo del pensiero di Wittgenstein: la neutralizzazione della psicologia. A cura di Mario Trinchero. «Paperbacks », pp. XLVII1-60, L. 18ooo WilliamJ.McGrath Artedionisiaecpaolitica nell'Austdriifaine Ottocento La storia inedita di un gruppo di giovani intellettuali, tra i quali Mahler e Adler, e·dell'influenza che esercitò sulla vita politica e culturale austriaca ed europea. «Saggi», pp. XI-250, L. 35 ooo Marivaux Lefalseconfidenze Uno dei capolavori di Marivaux ora sulle scene italiane. A cura di Cesare Garboli. «Collezione di teatro», pp. x1-73, L. 5000 GilleDs eleuze MarcePlrouset i segni Nuova edizione aumentata. «PBE», pp. v-167, L. 12ooo le immagindiiquestonumero Il «Cristo Morto» di Andrea Mantegna è senza dubbio uno dei capolavori del Rinascimento italiano. Ma perché un «capolavoro»? Certo, esso esprime un valore • pittorico intenso, con quella sua sorta di monocromatismo esasperato, molto coerente con l'idea della morte. Ed altrettanto certamente vi si manifesta un pathos «universale» degno non solo degli ideali quattrocenteschi ma anche della nostra sensibilità moderna. Eppure, forse si tratta di un «capolavoro» soprattutto per altre qualità, che sicuramente non sfuggivano al suo stesso creatore. L'immagine di questo «Cristo Morto», infatti, non circolò affatto in epoca coeva. Nell'inventario dell'eredità dei figli di Mantegna esso infatti figura ancora come di loro proprietà. Ma poiché nel mondo umanistico un' opera o era fatta per un committente o era un esercizio privato del- /' artista, se ne può dedurre che il lavoro rappresentava un momento di riflessione personale di Mantegna. Un'altra traccia: il titolo con cui il quadro viene elencato è «Cristo in scurto», cioè «Cristo in scorcio». Segno, quest'ultimo, che si focalizzava l'interpretazione non tanto sul soggetto o tema del dipinto, quanto soprattutto sulla sua tecnica rappresentativa, lo scorcio. Si tratta, pertanto, a maggior ragione di un quadro «sperimentale» de~'artista, svolto a proprio uso e consumo. Un'opera che potremmo Sommario Wystan Hugh Auden ·Breve difesa della poesia . pagina 3 John Meddemmen Epitaffi (Discovering Epitaphs, di G.N. Wright; A small Book of Grave Humour; Dead Funny, di F. Spiegl; The Faber Book of Epigrams and Epitaphs, a c. di G. Grigson) pagina 4 Maurizio Ferraris L'Arca come archetipo (La stanza del collezionista, di M. Sco- • tari, XVII Triennale di Milano) pagina 4 •. Maria Corti Il libro della memoria (Nei campi del Friuli, di N. Naldini) pagina 5 Francesco Leonetti La Gita a Lecce (Collana «La scrittura e la storia») pagina 6 Roberto Mussapi Il mulino di Amleto (Il mulino di Amleto, di G. de Santillana e H. von Dechend; Fato antico e fato moderno, di G. de Santillana) pagina 6 Remo Pagnanelli Serpente e ladro (Paesaggio con serpente; Il ladro di ciliege, di F. Fortini) pagina 7 Prove d'artista: Alighiero Boetti pagina 9 Canto dell'Osso di Luna (traduzione contemporanea a cura di Graziella Englaro) pagine 10-11 Da New York pagina 12 Comunicazione ai collaboratori di ~Alfabeta» Le collaborazioni devono presentare i seguenti requisiti: a) ogni articolo non dovrà superare le 6 cartelle di 2000 battute; ogni eccezione dovrà essere concordata con la direzione del giornale; in caso contrario saremo costretti a procedere a tagli; b) tutti.gli arrticoli devono essere corredati da precisi e dettagliati riferimenti ai libri e/o agli eventi recensiti; nel caso dei libri occorre indicare: autore, titoCarlo Fabre addirittura battezzare come «opera teorica>!.Dare al «Cristo Morto» questo valore, tuttavia, non significa affatto sminuirlo, ma anzi cominciare a intravedere almeno uno dei motivi della sua giusta fama di «capolavoro». Non si tratta infatti di un esercizio o esperimento in chiave di puro virtuosismo, ma piuttosto della ricerca di una nuova tecnica di espressione allo scopo di manifestare contenutl m qualche modo inediti, o per i quali ritrovare una maggiore intensità espressiva. Guardiamo infatti più da vicino l'opera. Essa contiene una prospettiva in scorcio del corpo di Cristo sul letto di morte, dopo la _deposizione. Uno scorcio ardito, rischioso, virtuoso, come già si faceva in certi Cfr. pagine 13-14 Testo: Michel MatTesoli Il paradigma estetico pagine 16-17 Stefano Agosti • Valéry e i Cahiers (Quaderni, volume primo, tr.it. di R. Guarini; Cahiers, 2 volumi a c. di J. Robinson; Cahiers, 29 volumi, edizione infacsimile del Cnrs, di Paul Valéry) pagina 19 Alberto Capatti Diari e forbici (Journal d'etnographe, di B. Malinowski; Diario 1941-1942, di H. Hillesum; Quaderni, volume primo, di P. Valéry) pagina 20 Roberto Esposito Sulla fine della storia (Sulla fine della storia, di G. Bataille, A. Kojève, J. Wahl, E. Weil, R. Queneau; La mobilitazione totale, di E. funger in Il mulino, n. 5, 1985; Atti del convegno su funger, Roma, Goethe lnstitut, marzo 1983; Vespere, di A. Rollo, in Peripezie n. 3, 1983) pagina 21 Guido D. Neri Per Antonio Banfi pagina 22 Augusto Illuminati L'avvento della Grande Ignoranza (Idea della prosa, di G. Agamben; Testi gnostici, a c. di L. Mora/di) pagina 22 Antonio Covi Dal certo al probabile (A Treatiseon Probability, di J.M. Keynes; Discorso sull'economia politica, di.,C.Napoleoni; Keynes, una provocazione metodologica, di A. Zanini) pagina 23 Aurelio Milloss La mia esperienza pagine 25-26 Umberto Curi La messa finita pagina 27 lo, ~ditore (con ~ittà e data), numero di . pagme e prezzo; c) gli arrticoli devono essere inviati in triplice copia; il domicilio e il codice fiscale sono indispensabili per i pezzi commissionati e per quelli dei collaboratori regolari. La maggiore ampiezza degli arrticoli o il loro carattere non recensivo sono proposti dalla direzione per scelte di lavoro e non per motivi preferenziali o personali. Tutti gli articoli inviati alla redazione vengono esaminati, ma lariambienti ad esempio germanici a scopo di meraviglia o spettacolarizzazione della pittura. Ma non tutto il quadro segue la medesima legge prospettica. 1 personaggi a sinistra del corpo, coloro che svolgono il lamento, seguono una prospettiva frontale e più «regolare». Errore? Sbadatezza? Imperizia? No. Sembra piuttosto che la loro prospettiva, se noi la facessimo ruotare su un asse fino a spostarla virtualmente nel nostro punto di osservazione del quadro (e di conseguenza del Cristo) coinciderebbe con la nostra. Ne consegue che si può giungere a interpretare l'opera nel seguente modo: se laposizione prospettica dei piangenti viene a coincidere con la nostra, così forse si potrà dare coincidenMaria Leali L'autenticità in musica pagina 27 Lettere pagina 28 Giornale dei giornali L'anno in cui morì il monetarismo pagine 29-31 • Supplemento Il pianeta irritato Enrico Testa La ricchezza di un'ipotesi alternativa pagina I Laura Conti Concentrato/diffuso pagine II-III Enzo Tiezzi La sinistra ha bisogno di biologia pagina IV Fabrizio Giovenale C'era una volta madre natura ... pagina \r Alberto Tarozzi Sfumature di verde pagina VI Marcello Cini La èultura del macchinismo pagina X Carlo Formenti Sognando la bomba pagine XI-XII Gianni Baget Bozzo Ecologia e teologia pagina XIII Gian Battista Zorzoli Pluralismo tecnologico pagina XIII Emilio Gerelli Interessi diffusi e tutela ambientale pagina XIV Mercedes Bresso Il modello bio-economico pagina XV vista si compone prevalentemente di collaborazioni su commissione. Occorre in fine tenere conto che il criterio indispensabile del lavoro intellettuale per Alfabeta è l'esposizione degli argomenti-e, negli scritti recensivi, dei temi dei libri - in termini utili e evidenti per il lettore giovane o di livello universitario iniziale, di preparazione culturale media e non specialista. Manoscritti, disegni e fotografie non si restituiscono. Il Comitato direttivo za psicologica fra loro (piangenti) e noi (osservatori). Il dipinto, in sostanza, ci inviterebbe ad assumere la medesima identità psicologica-emozionale: piangere, il Cristo Morto, manifestare la nostra «pietas». L'indagine spaziale-topologica di Mantegna si rivela così come una tecnica sperimentata al servizio di un'idea, alla resa di un concetto. Le immagini di questo numero tendono a proseguire l'esplorazione de~'artista. Mediante un sistema di proiezioni, la macchina fotografica di Carlo Fabre si muove alla ricerca di nuove espressioni geometriche del medesimo modello rappresentato dal corpo del Cristo. Esplora spazi, volumi, superfici. Rende conto del mutare dei punti di vista, delle luci, delle ombre. Articola una grammatica spaziale-volumetrica. Ma ancora una volta la ricerca non è affatto virtuosa,· non si basa sulla pura formula. Mutando la virtualitàdel volume nello spazio e dellaposizione de~'osservatore in quello stesso spazio, sperimenta le possibilità espressive più connotate sul piano delle passioni, de~'eticità, del/'esteticità de~'opera. o.e. Carlo Fabre Il Cristo del Mantegna e oltre. Azione scenica coordinata da Sandra Borsetti Franco La Ceda Verdi, mafia e moaérnizzazione pagina XYI Le immagini di questo numero Carlo Fabre • à cura di O. C. • alfabeta mensile di informazione culturale della cooperativa Alfabeta Direzione e redazfone: Nanni Balestrini°, Omar Calabrese, Maria Cor_ti,Gino Di ~aggio, -Pmberto Eco, Mauri~io Ferraris, · • Cariò Formenti, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella, Paolo Volponi Art director: Gianni Sassi Editing: Florian~ Lipparini Grafici: Raul Lecce, Roberta Merlo Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redazione e amministrazione: via Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Coordinatore tecnico: Luigi Ferrari Pubbfiche relazioni: Monica Palla Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 342 del 12.9.1981 Direttore responsabile: Leo Paolazzi Composizione: GDB fotocomposizione, via Tagliamento 4, 20139 Milano Telefono (02) 5392546 Stampa: Rotografica, viale Monte Grappa 2, Milano Distribuzione: Messaggerie Periodici Abbonamento annuo Lire 40.000 estero Lire 55.000 (posta ordinaria) Lire 70.000 (posta aerea) Numeri arretrati Lire 6.000 Inviare l'importo a: Intrapresa Cooperativa di promozione culturale via Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Conto Corrente Postale 15431208 Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati

e.. Breve -- Wystan Hugh Auden poesia L e discussioni sul ruolo dell'artista nella ·società risultano troppo spesso inconcludenti, perché i partecipanti non definiscono i termini di cui si servono. Finché si continuerà a fraintendere quello che gli altri dicono, non sarà possibile parlare di accordo o disaccordo autentici. Pertanto comincerò con alcune definizioni. Individuo. In primo luogo, un termine biologico - un albero, un cavallo, un uomo, una donna. In secondo luogo, poiché l'uomo è un animale sociale e nasce privo di modalità istintive di comportamento, è un termine socio-politico - un americano, un dottore, un membro della famiglia Smith. Come individui, indipendentemente dalla nostra volontà, siamo membri di una o di più società, la natura delle quali è determinata da necessità biologiche ed economiche. Come individui siamo frutto della riproduzione sessuale e dei condizionamenti sociali, e possiamo essere identificati solo in base alle società di cui facciamo parte. Come individui siamo confrontabili, classificabili, enumerabili, sostituibili. Persona. Come persona ciascuno di noi può dire io in risposta ai tu degli altri. Come persona ciascuno di noi è unico e irripetibile, membro di una classe composta da una sola unità, con un'unica prospettiva sul mondo. Il mito della discendenza di tutti gli uomini da • uno stesso progenitore, Adamo, • sta a significare che siamo chiamati ad una esistenza personale non da un processo biologico, ma da altre persone (i genitori, gli amici, ecc.); infatti, ognuno di noi è Adamo, l'incarnazione di tutta l'umanità. Come persone non siamo membri di società, ma siamò liberi di formare comunità, uniti ad altre persone dal comune amore verso qualcosa d'altro da noi - dalla musica, dalla filatelia o da quello che vi pare. Come persone non siamo confrontabili, classificabili, enumerabili, sostituibili. S embra che la maggior parte . degli animali disponga di un codice di segnali per comunicare tra individui della stessa specie, che permette loro di trasmettersi informazioni vitali sul sesso, sul territorio, sul nutrimento, sui nemici ecc. Tra animali sociali, come l'ape, questo codice può diventare estremamente complesso, ma ; ' .• resta pur sempre un codice, uno·: ..di qualcuno è una necessità gram~··::• 4~ri~i. Tutti sono impegnati nello strumento impersonale di comuni~ :: •.maticale, ma pensare agli altri c.o-·.'·f-~tesso genere di attività economicazione: non può svilupparsi in u.n •.. ll)e a lui o a lei, è pensarli non comè ·;ca;· tutti si conoscono personallinguaggio, in quanto un )inguai,: ·,:.personema come individui. :: ·: ·.:;:mente e hanno più o meno gli stessi gio non è un codice ma è Ja parola: -'. :'I nomi propri sono intraducibili·,. •.ìnieressi. Inoltre, in una società vivente. Solamente le persone p:os~.·:·Nella versione inglese di un rom&n~·-·'.ip(imitiva, la poesia - il linguaggio sono creare linguaggio, in quanto· ·: .zo tedesco, il traduttore manterrà.:. • :delf'apertura personale - non è del solamente le persone desider<!oq·-, ',il nome originale dell'eroe, Hein;:.- ::·tutto separato dalla magia- il.ten- ·!iberàmente aprirsi tra foro, ess#~ . . rich, e non lo cambierà in He11.,y.···..~: '·tativo di controllare le forze della apostròfate con la prima o la se~on-.. , .• 'Il linguaggio poetico è il più pe.i~... -'.-ri~turacon la manipolazione verda persona o con un nome proprid,: sb.nale e intimo dei dialoghi. Ùn • ·.b~le. E ancora, fino all'invenzione mentre tutti i codici, per quan.fo.:. · t~sto poetico non vive fino a che\iri. > della scrittura, il fatto che la poesia elaborati, si limitano alla terza per:' : • lettore non risponde alle par91è • :_·fossepiù facilmente memorizzabisona. .··scritte dal poeta. ·.. ,_._le.dellaprosa, dava alla prima un S_iccomegli uomini sono sia indi-. ' ~ La propaganda è un monologo· ·lmpòetico valore di utilità sociale, •vidui sociali sia persone, necessita~ eh~ cerca un'eco, non una risposta, . • una sorta di mnemotecnica per trano di un codice e al tempo stessò di'. è dicendo questo non voglio con- ·: mandare conoscenze fondamentali un linguaggio, l'uno e l'altro fatti di dannare la propaganda in quanto • •da una generazione all'altra. parole: ma tra l'uso delle parole co- •. : tale: è un'esigenza dell'intera vita .. ··:•· • . me segnali o come linguaggio per~-.. sociale. ~a il non riconoscere la / ··a··. i fronte ai mali della società, sonale c'è un abisso insormontabi- differenza tra la poesia e la propa- • . la poesia è un'arma inefficale. Se non prendiamo coscienza di ganda danneggia enormemente sia· . ce. Accanto all'azione politiquesto fatto, non potremo mai ca~ •l'una che l'altra: la poesia perde il:. ca diretta, l'unica arma è il semplipire un'arte letteraria come la p0e- proprio valore, e la propaganda la ce reportage - fotografie, statistisia, e comprenderne la funzione: • sua effi.cacia_. • che, testimonianze oculari. I pronomi di prima e seconda . In organizzazioni sociali più pri. :. · Le condizioni sociali che conopersona sono privi di genere, men- mitive della nostra, per esenipip scO'personalmente e nelle quali mi tre quello di terza persona ha più nelle società tribali o contadine, là • frovo a lavorare, sono quelle di una generi, e in effetti dovrebbe chia- natura personale della parola poe- prospera società urbanizzata e tecmarsi pronome impersonale. Usa- tica è oscurata dal fatto che società nologicamente avanzata, e sono re la terza persona quando si parla e comunità sono più o meno coinci- convinto che in ogni società che abbia raggiunto lo stesso livello di sviluppo tecnologico, di urbanizzazione, e di ricchezza, indipendentemente dalla sua struttura politica, il poeta si trovi di fronte agli stessi problemi. È diffidle concepire una società ricca che non sia organizzata in funzione dei consumi. In tale società è tipico correre il rischio d~non distinguere i beni che possono essere consumati e dimenticati (come i generi alimentari) o gettati o sostituiti (macchine e vestiti), dai beni spirituali (come le opere d'arte) che offrono un nutrimento solamente se non vengono consumati. In una società ricca come gli Stati Uniti, i diritti d'autore concessi dagli editori ai poeti sono un segno emblematico della scarsa popolarità che la poesia gode presso il pubblico dei lettori. Sono convinto che, per tutti quelli che lavorano in questo campo, ciò sia motivo d'orgoglio e non di vergogna. Il pubblico dei lettori ha imparato a consumare anche la migliore narrativa come fosse minestra in scatola, così come ha imparato a degradare la musica più grande a semplice sottofondo per lo studio o la conversazione. Gli uomini d'affari possono comperarsi quadri d'autore e appenderli alle pareti come trofei del proprio status. Con una visita guidata di un'ora, i turisti «~ifanno» il meglio dell'architettura. Ma, grazie a Dio, la poesia è ancora considerata dal pubblico come qualcosa di difficile digestione; essa deve ancora essere «letta», vale a dire penetrata grazie a un incontro personale, oppure abbandonata. Anche se i suoi lettori sono un numero molto ristretto, ogni poeta è certo almeno di una cosa, e cioè che essi hanno una relazione • personale con il suo lavoro. Equesto è più di quanto ogni autore di best-seller possa osare affermare. traduzione da/l'inglese di Stefano Rosso Questo scritto inedito di W.H. Auden è il testo di una comunicazione letta dall'autore nell'ottobre 1967, a Budapest, in occasione di una tavola rotonda su « Tradizione e innovazione nella letteratura contemporanea», ed è apparso sul n. 1, voi. XXXIII, gennaio 1986, della New York Review of Books, che ne ha autorizzato la traduzione.

Geoffrey N. Wright Discovering Epitaphs Aylesbury, Shire Publications, 1972 pp. 64, s.i.p. Fritz Spiegl A small Book of Grave Humour London, Pan, 1971 Fritz Spiegl Dead Funny London, Pan, 1982 The Faber Book of Epigrams and Epitaphs a cura di Geoffrey Grigson London, Faber & Faber, 1977 pp. 291, s.i.p. P ersone di passaggio, temporaneamente di riguardo, salimmo, a tratti quasi inerpicandoci, •per l'immenso scalone, una volta d'onore. Fuori sul muro, un cartello intiinava un divieto non del.tutto decifrabile. All'interno, si schiudeva la pur sempre impressionante vastità dell'ex c6nvento, costruito evidentemente con secentesca fede nella permanenza, ma poi (molto secentescamente) trasfor- • matosi prima in ospedale, poi in mezza rovina. Nel labirinto dei ,suoi corridoi, nella penombra delle grandi sale, calcinacci scricchiolavano sotto piedi insicuri, e si intravvedevano sagome di non ben definiti cumuli. Raccolsi e portai momentaneamente alla luce le cartacce trovate per terra; si trattava, vidi, di cartelle cliniche dell'inizio del secolo. Lessi cognomi, nomi, mestieri; e poi la data del ricovero e quella del decesso. Tutti qui erano stati «accolti» o, _peradoperare un'espressione (forse scherzosa) in uso presL a Triennale di quest'anno, dedicata al Progetto domestico, comprende in sostanza due livelli: la progettazione contemporanea (con campioni molto importa.nti, come Eisenmann, Riva, Sottsass), e le forme del progetto domestico nella tradizione pre-moderna e moderna (cucine, finestre, letti delle epoche in cui il progetto non si imponeva come programma individuale ma procedeva secondo i tempi lunghi e relativamente inconsci della tradizione). Questi due livelli concettuali corrispondono a due forme di esposizione qui rese complementari, la collettiva di architettura considerata arte visiva e la esposizione· «povera» non ahzitutto di capolavori del passato, ma di reperti minori con interesse storico-antropologico (precedenti possibili, il Musée de l'homme a Parigi o il Museum of American History a Washington, la mostra su Trieste alla Conciergerie e al Beaubourg di Parigi). Il filo conduttore che unisce progetti moderni e reperti vecchi o antichi è dato, mi pare, dal riconoscimento di archetipi abitativi che si ripetono nella architettura di ambienti e di interni nella nostra tradizione: finestre, letti, bagni e bidet, cucine. Più, ovviamente, l'idea di abitazione in generale, che serve da archetipo degli archetipi so certi ospedali odierni, «allettati», cioè infilati in un letto, circondati da eventuali cure, per morire poi. Non tanto agli augelli che virgilianamente dall'alto mare d'inverno calano infreddoliti a terra pensai, davanti a questo archivio in disfacimento, davanti a questi pietosi nomi così spietatamente sparpagliati (o, come dicono nei più up to date laboratori, «scatterati»): pensai piuttosto a quelle tante e tante foglie che nell'estremo autunno per le selve cadono. Per una breve stagione l'albero del mondo avrà ben trasmesso loro qualche tremito della sua vita, ma questi nomi di allora, per noi che siamo di una diversa stagione, ora non sono altro che nomi: significanti del tutto privi di significati. Morte livellatrice. Ma l'ottundente dolore di chi si trova abbandonato si appaga anche nelle consuetudini del caso, esprimendosi per vie consuete, mediante sintagmi di circostanza. I giornali ci informano che quotidianamente schiere di sconosciuti sono «mancati» agli affetti dei loro cari, a volte «serenamente». Per ciò che riguarda le iscrizioni sulle tombe, The Churchyards Handbook della Chiesa anglicana, citato da Spiegl, dà istruzioni specifiche: «Un epitaffio diventa di dominio pubblico e quelli che lo leggeranno non sentiranno nessun interesse personale per la persona alla quale fa riferimento». Quasi sempre difatti i poveri morti si annullano nella banalità delle formule, spariscono defi- •nitivamente dietro ai nomi di ogni giorno, nomi che nella vita di ogni (loro) giorno servivano per distinguerli. Nei paesi anglosassoni, un giorno dei morti, collettivamente inteso, non esiste, e un bel mazzo di crisantemi, presentato in regalo ad un'anziana signora, la riempirà solo di gioia. Era con la testa piena di fantasmi da best-seller gotico che le britanne vergini solevano frequentare gli orti «de' suburbani avelli»; e i loro discendenti (le apparizioni erano innocue), ma con ben altra anima, a tutt'oggi si precipitano a frugare beatamente fra i monumenti di ogni cimitero di campagna che vedono. Sono in cerca della storia, delle abitudini sociali, dell'arte dello scalpellino; ma, come i succitati titoli avranno già fatto intuire, sperano anche di imbattersi in qualche epitaffio fuori del comune. Li avr·anno quasi certamente accontentati i superstiti dei silenziosi sotterrati, con contributi alla «memoria» non solo irrispettosi, ma a volte addirittura ostili. e ominciamo con alcuni esempi che riguardano i mestieri. Bryan Tunstall fu il più bravo pescatore dei dintorni (di Ripon) fino al giorno (il 21 aprile 1790) in cui Morte, invidiosa, non lanciò la lenza sua, prendendo all'amo lui, per abbandonarlo poi arenato. L'orologiaio Thomas Hinde, diciannovenne, morì il 15 agosto 1836;giace ora dove visse (a Bolsover in Derbyshire), sicuro che il suo Creatore avrà tempo di prenderlo in mano, pulirlo, ripararlo e far sì che in un mondo migliore funzioni anche meglio di prima. Tale uso metaforico, tanto desiderata apoteosi del quotidiano, viene espresso con la debita umiltà sulla tomba di uno dei presidenti della corporazione dei fornai di Bristol, la quale tomba non è altro che il forno entro il quale l'impasto in riposo aspetta di lievitare. È un topos che si presta a riscrittura, poco benevola e fors'anche diabolica. Nel 1635, il giorno di Natale di mattina, morì l'avvocato Pye, il cui nome in italiano potrebbe essere L'Arcaomearchetipo Maurizio Ferraris (se gli uomini non avessero incominciato ad abitare, il che non è pacifico né automatico, ovviamente non ci sarebbero né letti né cucine o finestre. Per cui l'ideale di abitazione costituisce un presupposto culturale della ominizzazione allo stesso livello, per esempio, del linguaggio). Così che il riconoscimento di archetipi abitativi è la base tematica di un accostamento· tra architettura, arte contemporanea, antropologia e etnologia. Ciò è del tutto chiaro, in particolare, in due pezzi esposti: un bellissimo igloo di Mario Merz (che condensa con una straordinaria energia estetica tutti questi aspetti: l'idea di storia e di preistoria, l'ideale di abitazione, il rapporto tra arte, architettura, antropologia) e l'arca di Massimo Scolari che, progettata ad hoc, incarnaforse anche megliò dell'igloo di Merz l'ideale di abitazione: in questo caso, l'Arca è l'archetipo dell'idea di casa in generale. Se l'igloo di Merz propone una etnologia degli altri, almeno come punto di partenza, l'Arca di Scolari è il tentativo di una etnologia di noi stessi, di una etnologia e di una mitologia bianche che risalgono alle origini delle nostre abitudini di pen,siero. In che senso? Ovviamente, tutti i simboli molto antichi sedimentano così tanti significati che in fin dei conti non sembrano più possederne di precisi. Mi limito a indicarne qualcuno, tra i più legati alla idea di abitazione nella nostra tradizione. 1. L'Arca come Arcaico. L'Arca ci riporta alle origini trascendentali (nel senso che più indietro non si risale) delle nostre consuetudini abitative. Pare essere la prima casa della storia (anche se indubbiamente prima ce n'erano altre) alla luce della nostra tradizione, che si autocomprende non incominciando dalle caverne o dalle piramidi, che sembrano separate da noi da una insuperabile alterità, bensì piuttosto dal racconto biblico. Mli' Eden (che • è ali'origine dei giardini di delizie e di Disneyland) non c'era bisogno di case; la Torre di Babele non aveva finalità abitative, ma astronomiche, teologiche e tecnologiche; così che solo l'arca incarna un primo progetto domestico compatibile con le nostre consuetudini culturali. Ma ovviamente nel/'arca confluisce anche la tradizione precedente: come sottolinea Scolàri attraverso quella che mi pare una citazione pittorica (l'arca dipinta da Paolo Uccello in Santa Maria Novella), vista di fronte l'Arca ricorda Ziggurat o la stessa Torre di Babele. Però a differenza di Ziggurat o di Babele è stata effettivamente abitata. 2. L'Arca come Enciclopedia. L'Arca era un contenitore destinato ad alloggiare e salvare uomini e animali, ·e introduce una prima classificazione del mondo vivente. Il progetto abitativo è quindi già un progetto culturale (in senso non solo antropologico) e enciclopedico. Come Babele, ma con la differenza che la torre espone il sapere come hybris umana e volontà di· potenza, mentre l'arca nasce dal-· l'esigenza di salvare una tradizione consegnandola al futuro;· se quindi la torre è una prefigurazione apocalittica del legame tecnicametafisica, l'arca potrebbe valere come simbolo della zoologia, della filologia e del/'ermeneutica. Scolari sottolinea l'aspetto enciclopedico collocando nella stanza del/'Arca e al suo interno delle classificazioni zoologiche e delle Wunderkammer, che erano piccole enciclopedie barocche in forma di raccolte, in cui il principio della classificazione era data dall'arguzia (si prenda un esempio molto diffuso: sullo stesso scaffale erano raccolte una venere callipigia, un pezzo di basalto e un diamante. spesso è stata dipinta. Scolari ricorda che, stando alla descrizione biblica, era piuttosto una Houseboat o una Show-boat, una casa a più piani galleggiante. Ma il mito del/'arca non si riduce alla formacasa, e ha assorbito al proprio interno anche le ca,;atterizzazioni della nave e del pesce come abitazioni natanti. L'ingresso dell'arca di Scolari è infatti anche la bocca di una balena, da cui sporge unpavimento che ha la forma di un pesce, quindi una itticitàalla seconda potenza; il che non esclude un progetto domestico: la balena di Giona o il tonno di Pinocchio e Geppetto erano effettivamente abitazioni, tra il protettivo e l'inquietante (questo secondo aspetto prevale nella balena bianca di Me/ville).·E anche la nave è una casa (per cui, ali'interno del/'arca, il contenitore di immagini antropologiche e zoologiche che funge da Wunderkammer ·ha la sagoma di un transatlantico). Massimo Scolari Che cos'hanno in comune? L'ap- La stanza del collezionista partenenza strutturale al regno mi- «Il progetto domestico, • nera/e). - la casa dell'uomo, 3. L'Arca come Balena e corne archetipi e prototipi» nave. In realtà, l'arca non assomi- XVII Triennale di Milano gliava a un grosso cargo, come 18.1.86-23.3.86

V) <:::! i:: -~ ~ 'O ~ ..... e:, ~ <:::! E Ql i:: ~ ~- ,.t:) $ Sir Walter Torta: «Che cos'è che giace qui?/ Chiesto; rispondi, "La Torta di Natale per il Diavolo". I Morte fu la cuoca, quest'urna è il forno I dove ora la Torta sta bruciando. / Va portata a tavola lo stesso. A presentarla al Diavolo / sono stati in tanti a volerlo, e da tempo». Giocando anagrammaticamente, si sa, vengono alla luce strutture eventualmente profonde, ma nel caso dei nomi spesso basta prenderli semplicemente alla lettera. Ecco un esempio, oggi scomparso insieme con la chiesa londinese che lo custodiva (fino alla resurrezione, una volta si credeva): sfrutta il cognome, giocando sul serio, per meglio piangere la perdita della bellezza fisica, la precarietà della ammirevole destrezza dell'essere umano. Per Valentine Snow (il cui nome era Neve) Handel aveva scritto i più esaltanti dei suoi «a solo» per tromba. Eccolo ora! «Sidissolva ogni petto / Ogni occhio si sciolga nel dolore. / Qui, disfacimento I Per mano della Morte! I Trasformata è in terra e in acqua / La bellezza della Neve. I Oh! Il trombettiere del Re I È sfiatato!». In inglese, «To dirt, to water turn'd I The fairest Snow I O the King's Trumpeter I Has lost his breath». Non tutti i nomi si prestano però a componimenti da Antologia Palatina. Ma qualche cosa si può fare persino per un John Grubb, il cui cognome significa «bruco». Ecco l'epitaffio: «Whenfrom the chrysalis of the tomb I I rise on rainbowcoloured piume I My weeping friends ye scarce will know I That I was but a Grubb below». Gli amici che ora piangono non crederanno ai loro occhi! L'umile amico Grubb sorgerà glorioso con iridescenti ali. Quando Gesù si rivelò trasfigurato, i testimoni smarriti videro i suoi vestiti candidi come neve, «quali niun purgator di panni potrebbe imbiancar sopra la terra» nella traduzione di Diodati; exceeding white as snow; so as no fuller on earth can white them, in quella U . n piccolo libro dal grosso spessore culturale questo di Nico Naldini, Nei campi del Friuli (La giovinezza di Pasolini) e una conversazione di Andrea Zanzotto, Milano, Scheiwiller, 1984 (distribuito a 1985 inoltrato). Sì, un libro sollecitanteperché in effetti qui sono tre i poeti che parlano: Naldini, Pasolini, Zanzotto. Il volumetto si apre con una lirica di Naldini, I vevi doj amis («avevo due amici»), primo segnale di un libro della memoria dal quale è recuperata una lontana adolescenza, sottile ritratto per tocchi e ritocchi dei due amici Comisso e Pasolini, da cui tale adolescenza si sentì indovinata e illuminata. Segue un originale testo a due voci: pagine di un inedito diario di Pasolini, in corsivo, alternate a pagine in tondo in cui Naldini, da m_edievale «sponitore», offre dati biografici assai pertinenti, postilla con lirica eleganza, approfondisce, sicché allafine è come aver letto due diari, dei due cugini (le madri erano sorelle). Più liricamente evocativo quello di Naldini e talvolta dotato di intenso, pacato ritmo: «Il Tagliamento è un fiume strano, il suo sconfinato letto di sassi si 'perde contro le montagne· celesti e viola che in certe ore del giorno si sbiancano e si dissolvono nel cielo bianchissimo·». Più drammatico quello di Pasolini:· «Non ho (ancora) il senso vero• del rimorso, della colpa, della redenzione; ho solo un unico senso del destino ma nel suo farsi precario e inglese del 1611. Verrà poi quel giorno che brucerà come un forno (Malachia 4, 1), e colui che verrà sarà come il fuoco che purifica i metalli, come la liscivadei lavandai (Malachia 3, 2): nell'inglese,for he is like a refiner's fire and like the fuller's soap. Chi ricorda la bellissima aria del Messia di Handel potrà ammirare la sensibilità artistica che scansa i pericoli del sapone. La lisciva in questione, che sporca prima per purificare poi, è comunemente un miscuglio di cenere e acqua: in inglese esiste il termine generico fuller's earth. In questa forma ricorre nelle prediche del Seicento: Eachard nel 1670 consola il suo pubblico, «Le macchie del peccato verranno facilmente eliminate mediante il sapone del dolore e la lisciva della contrizione» ( by the soap of sorrow and_the fuller"s earth of contrition). La mente di tal prosatore è al contempo biblica e interamente casalinga. Si capisce quanto fosse facile per gli amici del pastore e scrittore Thomas Fuller, che morì nel 1661, escogitare l'ammirevole brevità della sua iscrizione: Fuller's Earth. A utore di dottissime disquisizioni (la validità del battesimo era la sua specialità), William Walker, amico di Isaac Newton, all'epoca era famoso pri-· ma di tutto per un suo manuale di grammatica universalmente adoperato, A Treatise of English Particles. Da queste particelle sue derivò il soprannome, «Particles Walker». Sulla tomba scrissero: Walker' s Particles. Nella vita di ogni giorno, davanti a cognomi che servono a designare persone a noi note, solo eccezionalmente diamo peso ad eventuali sensi secondari. Isolato, in assenza del titolare, il nome si presta più facilmente ad accogliere referenti non-personali. Hallowed be the _SabbaothI And farewell alt worldly Pelfe I The Weeke begins on Tuesday I For Munday hath hang'd himselfe (St. Olave's, Southwark): con Lunedì impiccato, la settimana per forza comincia martedì. Tale non ambigua tecnica per la nullificazione dell'individuo è particolarmente cara alla tradizione popolare. Life's not a bed of roses, non tutto è rose e fiori in questa vita; nella tomba, però, si riposa. Il sollievo della Famiglia Rose è evidente: This Grave's a bed of Roses! L'anziana signora Mann, quando non c'è più, si riduce a mero paradosso: Here lies the body of Anne Mann, I Who lived an old woman I and died an old Mann. Morirono il 16 luglio 1837, e furono sepolte insieme nel cimitero londinese di Hornsey le gemelle Emma e Maria Littleboy (un cognome che in italiano si potrebbe tradurre con «Ragazzini»). L'iscrizione funebre, dopo la recita convenzionale, aggiunge: Two Littleboys lie here I Yet strange to say I These «little boys» are girls. Nel 1537 fu impiccato e squartato a Londra Thomas Fitzgerald, Conte di Kildare, capo di una fallita rivolta anti-inglese; fu squartato di nuovo epigrammaticamente in effigie verbale (kill vale ammazzare, e dare, osare): Who kill'd Kildare? Who dar'd Kildare to kilt? I Death kill' d Kildare, who dare kilt whom he will. Nei cimiteri di campagna si trova sì la denuncia esplicita («fu ucciso dall'incompetenza del farmacista», «questa pietra non fu eretta dalla risposata sua vedova»); di rado, però, si trova.tanta animosa abilità. La paronomasia, in una lingua satura di omofonie com'è l'inglese, è statisticamente la figura pl"eferita. Il defunto era tintore? Si fa in fretta a dare forma concreta alla sua totale dedizione al lavoro, dato che die «morire» e dye «tingere» si equivalgono: Here lies fohn Hyde. I He first liv'd, and then he died. I He dyed to live, and liv'd to dye, I And hopes to live eternally, dove vale la pena di notare la tecnica quasi sempre impiegata in casi analoghi (ad esempio, dal Joyce di Finnegans Wake): siccome il gioco è fonico e non grafico, viene chiarito anche per il lettore eventualmente distratto dall'impiego della forma sintagmaticamente meno prevedibile. Tornando ai nomi, ricorderemo l'eroe dell'Odissea che sparì dal cannibalesco antro grazie a Tarnkappe verbalmente tessuta (chi era? era Nessuno). In inglese il cognome, non infrequente, Knott è omofono di «not» privativo e distruttivo. La doppia valenza viene sfruttata appieno in questo esempio: Here lies fohn Knott: I His father was Knott before him, I He lived Knott, died Knott, I Yet underneath this stone doth lie I Knott christened, Knott begot, I and here he lies and stil! is Knott: dove si annulla a furia di parole non solo la persona ma ogni esperienza che potrebbe chiamarsi sua. Chi muore lascia, volente o nolente, la sua chiara fama in pegno (in pasto?) a estranei: ti ridimensionerà chi, godendo ancora di buona salute, per il momento prevale. Ecco ciò che dice la lapide di John Sand: «E chi del fiato altrui vivrà? / La fama viene meno alla fiducia di chi muore. / E siccome, morti, i nostri nomi cambiano/ Io, che fui Sabbia, ora son polvere». Sand I was, and now am dust. Il barocco abbraccia nella multisfaccettata sua impostazione esempi polarizzati ma confortanti; il grido solitario che ci arriva dalla raggiunta e moderna civiltà può al contrali librodellamemoria confuso». Oppure: «Un giorno mi dicevo che tutti gli uomini hanno davanti a sé un'uguale quantità di vita, e che quindi, poiché io ne divoro con maggiore avidità di una. parte degli altri, stava nella logica dei fatti che io dovessi morire assai giovane». In questo diario, scritto a venticinque anni fra il giugno del '46 e il dicembre del '47 su quaderni scolastici lasciati al cugino allorché abbandonò il Friuli per Roma, Pasolini da un lato segue accortamente, quasi con acribia, il destarsi dei propri «sentimenti sensuali» dal- !' età di tre anni, quando ricorda di aver già provato solletico, seduzione; violenza di desiderio alla vista delle gambette dei ragazzi piegate nelta corsa e nel gioco ai giardini pubblici di Belluno,- sino agli eventi del/'adolescenza, sempre ansiosamente curioso di capirsi. D'altro lato affiora l'esperienza intellettuale del giovane e la sua precoce tendenza a vivere la cultura in modo eccezionalmente attivo, produttivo, sia attraverso l'insegnamento in una scuola sia con vere operazioni culturali, quale la creazione a Casarsa dell' Academiuta de lenga furlana, di cui oggi vediamo la grande differenza dalle accademiette della provincia italiana per la sua importanza a livello letterario nazionale. Su questo aspetto della form(lzione culturale e artistica pasoli- • niana risultano assai suggestive, oltre che di notevole importanza, tanto le notizie offerteci da NaldiMaria Corti ni .quanto le riflessìoni di Zanzot~ to. Ecco puntuale Naldini sulle prime letture del cugino: molto Leopardi, Tasso, Ungaretti più che Montale, i lirici spagnoli di Carlo Bo, quelli greci di Quasimodo, le poesie di Penna. All'università di Bologna Pasolini fu redattore capo del Setaccio, rivista del Guf dove pubblicò le prime poesie friulane. Nel '42 egli stampa a sue spese le Poesie a Casarsa, presto riconosciute nella loro novità da Gianfranco Contini: « Le cartoline postali di Contini, scritte con la meticolosa bellezza di un ideogramma cinese, furono da quel momento dei messaggi celesti». Alla fine del '43 esce il primo numero della rivista friulana Il Stroligut, stampata a spese di Pasolini e su cui scrissero anche Naldini e altri giovani amici che Pasolini con la sua carica artiS!ica espansiva invogliava a poetare. Anche qui sarà Contini a comprendere per primo l'iniziativa dirimpetto alla prevedibile ottusità dei tradizionalisti dell'uso del dialetto, fregiando del chiaro nome di félibrige la giovane produzione ca~ sarsese. Sulla scelta del dialetto di Casarsa come lingua della poesia Zanzotto fa degli acutissimi rilievi nella intervista qui edita, fattagli dal poeta friulano Amedeo Giacomi- • ni. Pasolini, si noti bene, fu attratto da vari dialetti friulani e veneti: «In questo quadro si, ass(ste in lui alla dilatazione del concetto'di plu~. ralità dei dialetti a tutta l'area romanza: Scriveya ..hei vari ·dialetti dell'area friulana (ma anche in catalano e in castigliano.. .) e compiva nel contempo un percorso d'identificazione etnica del Friuli come Nazione». Alla fine del lungo processo di riconoscimento linguistico vi fu quello di identificazione col dialetto di Casarsa; dice ancora Zanzotto: «ricerca del volgare illustre che diventa per lui il casarsese. Paradossalmente si è trattato di un'operazione anche un po' dantesca: il casarsese trattato alla stregua in cui Dante finisce per trattare il fiorentino, ponendolo al centro della propria realtà linguistica». A Zanzotto si deve anche un'altra osservazione chiarificatrice: Pasolini amava sì come Naldini e gli altri amici del gruppo la fiaba idillica delle estati friulane, le gite al · Tagliamento, deliziosamente descritte da Naldini, i tuffi nei laghetti, le pause georgiche, ma era «uno costretto a vivere in modo infernale dentro un ambito che è idillico»; di qui lo scattante stato nevrotico o la sottesa inquietudine. Va dato merito a Naldini di aver portato alla superficie con assoluta discrezione , e signorile grazia la complessa e segreta situazione psicologica, le bufere familiari, sensuali e ideologiche che si scatenavano al di sopra dei verdissimi e profumati campi del Friuli. Come pure di aver ottimamente descritto il distacco finale dal mondo friulano avvenuto in modo quasi·neutro, , senza rimpianto, senza rancori: , «I{ suo tempo friulano era epoché, pi divenne mito, poi storia e infine rio rivelarsi agghiacciante: Edith Bone,.dopo anni di prigionia politicamente motivata, poco prima di morire (nel 1975) scrisse un epitaffio per se stessa: Here lies the body of Edith Bone. I Alt her /ife she lived alone, I Unti! Death added the final SI And put an end to her loneliness. Dopo tanta singolarità sofferta, la Bone diventa le proprie ossa; trova la pace, anatomizzata, nel nulla. E ~co un testo che affida tutto alla esigenza formale della rima baciata iniziale, la cui paradigmaticità genera una affermazione da ridimensionare in seguito: Here lies fohn Bun, I He was killed by agun; sistemato questo (e stabilito il fucile in quanto agente), occorre ridimensionare: il nome della vittima non era Bun, era Wood. «Wood» però non faceva rima con «Gun», «Bun» invece si incasellava a meraviglia! La (tardiva) rettifica gioca sull'omofonia Woodlwould come si vede: His name was not Bun, but Wood I But Wood would not rhyme with Gun, I But Bun would. In realtà è la morte stessa che conferisce un anonimato inevitabile, che può essere anche assoluto. A Kendal leggiamo, «Dorme sotto questa umile pietra/ Un teschio di nome ignoto». La voce che dalla tomba ci parla solo in apparenza è una voce personale; ma ciò che asserisce (anche se per interposta persona) è pur ·sempre un'uguaglianza oggettivamente raggiunta. La popolana sepolta fuori chiesa così si esprime: «Io giaccio qui, alla porta della chiesa. / Giaccio qui ·perché sono povera./ Più paghi, e più dentro stai. I Io giaccio qui: calda ·quanto loro». A Tetbury in Gloucestershire non si tratta di stendere un pietoso velo su esistenze laboriose ma di accettare la non pertinenza di un'anagrafe: «Nella fossa comune, qui sotto,/ Sono sepolte le lavandaie di questa parrocchia. / I dettagli saranno resi noti il Giorno del Giudizio». divenne la poesia di Il sogno di una cosa e La meglio gioventù». Per Naldini menzionare i giovani amici delle lontane estati friulane significa interiormente evocare quel mondo: così è nato il racconto dal titolo La tomba di Pasolini, che da un lato è tragico per la vicenda di Attilio, ma dall'altro nella sua pacatezza stilistica supera il dramma, restituendo ancora una volta le cose dentro un alone di freschezza adolescenziale mitica. Se il volumetto si apre sul tema della memoria dei due grandi amici di Naldini, Comisso e Pasolini, noi abbiamo la tentazione di chiuderlo con una riflessione sulla felice ventura dei due, cui la Fortuna ha dato un erede di memorie e di affetti del livello di Naldini che con questo libretto, col precedente Poesie e pagine ritrovate (ancora in collaborazione con Zanzotto), Roma, Lato-Side, 1980, e coi due volumi su Comisso (Veneto felice del 1984 e Vita di Giovanni Comisso del 1985) ha dato grande luce alla seconda vita dei suoi eccezionali amici, quella che comincia dopo la morte. Nico Naldini Nei·campi.del Friuli (La giovinezzadi Pasolini) e una conversazione di AndreaZanzotto Milano; Scheiwiller, 1984 pp. 74, lire 10.000 <::·:·!'-----------~-----------------------------------...;._--------------------------------

S crivo qui di uno straordinario caso editoriale, fra gli altri casi d'iniziativa nuova di piccoli editori di alta cultura, in mezzo alla decadenza di oggi... Anni fa scrisse Arbasino un artico- ·fo famoso sulla «gita a Chiasso»: era un invito nel Sessanta, seguendo lui, a svecchiare le abitudini italianistiche nel confronto, culturale e magari cosmopolitico, con altri atteggiamenti e idee. Molto giusto. Io stesso a quel tempo viaggiavo fra Milano e Parigi, più volte, nel '61-62, seguendo Elio Vittorini... Volevamo, d'accordo anche con Calvino, costruire una rivista culturale europea: che meravigliosa idea. In tre lingue. Avrebbe attraversato con qualche coerenza il 68 e poi; Grass suggerì il titolo Gulliver.:. Venne ostacolata dagli editori, perché troppo autonoma; poi fu rovinata dall'incomprensione secca dei tedeschi (che pure erano Enzensberger, Grass) per i francesi. Che pure erano Barthes, Blanchot, Duras... Di recente a Roma ho rivisto Maurice Nadeau, nel nostro «Colloquio francese italiano sulla ricerca letteraria» (organizzato dalla Quinzaine littéraire che Nadeau dirige, e da Alfabeta) e insieme ci siamo chiesti ancora come mai fallì, venne a mancare: «Ah, i tedeschi, che colpa hanno ... » ci siamo detti. Poi certo ci fu la malattia terribile di Elio. Oggi il viaggio a Chiasso e anzi alle università americane è come collocato nel giro quotidiano: si continua sempre a visitare il centro del mondo ... Occorre, certamente. Un articolo di Arbasino dice di più, tuttavia. Né basta il centro. E il terzomondo è disastrato dal modello occidentale. Chefare? Non si saproprio. Qui voglio però illustrare solo il fatto che alcuni adulti, che fra loro hanno una reciproca stima, Malerba, Sanguineti, io, forse più oltre Giuliani e· anche Volponi, con varie tendenze dunque accomunate dall'intento di ricerca e dal fastidio verso le cose malfatte, e altri più giovani, come Ciabatti e Lacatena, si presentano fra '85 e '86presso Pierd Manni editore, Lecce, e Giorgio de Santillana, Hertha von Dechend Il mulino di Amleto Milano, Adelphi, 1983 pp. 552, lire 50.000 Giorgio de Santillana Fato antico e fato moderno Milano, Adelphi, 1985 pp. 171, lire 12.000 P er accostare nella sua globalità il pensiero di Giorgio de Santillana sul «mito e la struttura del tempo», che si svolge nei due volumi Il mulino di Amleto e Fato antico e fato moderno, per tentare un approccio che rispecchi e rispetti la natura complessa e polivalente del suo lavoro, può essere utile partire dal mondo borgesiano espresso in un saggio famoso dello scrittore argentino, in cui egli rievoca il celebre sogno del poeta inglese, cui apparve nel sonno un palazzo meraviglioso che egli poi descrisse nella poesia «Kubla Khan». Lo stesso palazzo era apparso secoli e secoli prima all'imperatore La Gita a Lecce Francesco Leonetti dunque ripartono dal Salento. O fanno una gita là. Con libri di punta, anche quando sono «minori» (nel senso ottimo di questo termine, che riguarda il fresco, il gusto dell'intervento, il proprio del ricercare). Si può certamente dire con semplicità estrema: c'è qualcosa che non va, a Torino-Milano, e dunque si passa ali'altra grande sede della editoria italiana, che è la Puglia; dove Laterza governa tutto il secolo, con l'iniziale avvio di uno dei nostri due grandi napoletani fra loro contrari (Bordiga e Croce)... Ma descriviamo i libri. Carta buona; non traspare lo stampato del retro. Una cornice in copertina e un marchietto di editoria. La grafica fa desiderare una sofisticatura maggiore, come siamo abituati ad averla oggi... Ma, piuttosto che una nuova produzione, qui si tratta di numeri speciali di una rivista... Dirigono Luperini e in una serie anche Bettini. Dunque sono le università di Siena, Roma, e Lecce, interessate a ciò, come area portante di circolazione. Non ci stupiremo troppo, pensando che nella situazione avanzata degli Stati Uniti tutta la cultura è nelle università, tanto 'più la letteratura, e tanto più lapoesia; è nelle università e in luoghi marcati in senso «locale» (e come a S. Francisco, succede in Provenza). Tuttavia nella nostra tradizione non è così; e anche ammettendo un certo degrado della lettura oggi, come si sa, la cosa è strana. I soci di ·questa piccola casa editrice Manni sono un socialista pugliese e un operatore di banca (che acquista 200 copie a copertura, quasi, delle spese tipografiche); tutto qui; basta ciò a far ripartire la ricerca letteraria, con adulti, e anziani e giovanotti; così pure, più o meno, si fa, si sta facendo, si farà, per la ricerca saggistica. E bastano direttori di collezione che devono mantenere il rigore, per principio, non i conti per primi, non sono commercianti in senso stretto, il libro • non è un puro salame, è un prodotto spurio. Si può vedere come è facile fare la stess_acosa, per un editore grosso, invece che attendere il corso dei macroprocessi storici, nell'epoca nostra dei microprocessori. E questa collezione di Manni, che, dato il mio interesse personale, prendo per esempio fra le molte, è una numerata. Qualche sospetto sorge: noi siamo forse in un periodo che somiglia a quello del Fascio? e ci troviamo dunque in una collezione numerata di Letteratura? Certo occorre ricaricare la ricerca letteraria e ciò sembra che riesca, anche, con una gita a Lecce: un salto nella genealogia, forse; o nel profondo sud; o in una nuova fascia di capitalizzazione che nel sud si svolge pure ma non è ancora dannata; o in una dialettica col centro del mondo, che è diventato tutto spirito (e armi) ... Alcuni di noi certo stampano altri libri dai grandi editori, ora e poi. Io per esempio dichiaro ogni stima e amicizia per i pochissimi e resistenti operatori culturali autentici che sono attivi oggi nell'editoria, e mi conoscono di nome: quattro o cinque. Si sa che c'è un diffuso disagio fra Gutenberg e il video, come ha detto Unseld in un convegno ... Ma io non voglio ipercriticare; ho già tanti guai! qualche iniziativa più seria non si potrebbe farla anche al nord? ma non sta a me dirlo! Il mio testo infatti è un poemetto in quattro canti o parti, ognuna sta a sé, e una di esse è una sequela di invettive contro il papato: e perché allora dare imbarazzo, come so, con questi altri mille versi? perché insistere sul materialismo che è già stato dato perdente? Cambierò editore presentando un bel romanzo divertente, o, come benissimo Maria Corti ha detto a Roma, presentando un «libretto fantasioso» di pagine 150, poi. O più oltre si potrà lavorare anche sul set: io non mi sgomento, l'ho già fatto. Se ora ci sono alcuni residuali libri di letteratura di autori non giovani, abbastanza buoni, col piacere che, quando un direttore di collana si impegna con un certo suo nome, non si fanno mescolanze infami, ciò va bene. Il mulinodi mongolo Kublai Khan, che a sembianza del sogno l'aveva fatto costruire. Coleridge non sapeva del sogno precedente, due uomini lontani nei luoghi e nei secoli avevano dato forma allo stesso sogno, con un sontuoso edificio e una memorabile poesia. Borges insinua che quel palazzo sia un archetipo che lotta per insediarsi nella coscienza umana. Nel suo mondo è possibile perché nel dominio dell'immaginario il confine tra l'assoluta illusione e l'assoluta esistenza è inconsistente: per Borges, attraverso una lettura insieme semplice e originale di Schopenhauer, l'uomo si illude di attra~ versare un divenire storico, ma in realtà appartiene a un divenire circolare che eternamente si ripete, mutuato dai «Cerchi» dell'universo di Ralph W. Emerson. Non esiste la storia ma esistono storie che definiscono i confini e le forme degli eventi, noi apparteniamo a un universo i legami col quale ci sono talora rivelati in sogno, ed esemplarmente rappresentati dagli Roberto Mussapi scrittori, che sono «uomini capaci di raccontare un sogno», di uscire dall'illusione del tempo storico penetrando nella memoria sepolta di un tempo primordiale che rotea all'infinito in un incessante ritorno. Anche de Santillana crede nell'originaria unità del cosmo, e nella lettura delle sue cifre esclusivamente attraverso una cultura mitica. Ma se l'enigma di Borges è nella stessa natura illusoria del tutto, per cui tutto può esistere o venire ad esistere solo grazie alla memoria e alla scrittura che danno forma a un ricordo o visione, in quanto tali illusori, e se comunque la visione o il sogno possono avvenire in qualunque momento, perché la storia non esiste proprio, per de Santillana, che è uno storico e non uno scrittore, non vi è dubbio sulla esistenza del mondo esterno, ma semmai sulla possibilità di durata dell'uomo, e nello stesso tempo il tempo antico è scomparso con la sua capacità di legare gli uomini agli astri e alla natura. Un mondo insomma è definitivamente perdu~ Continua il colpo grosso o gobbo di riprendere la ricerca, come abbiamo sbandierato di voler fare, evviva, già due volte con sorpresa, a Palermo nell'84 e nell'85 a Roma addirittura. Inoltre Lecce è vicina al teatro maggiore che oggi è il mediterraneo, c'è un giro più vivo di merci, paccottiglie e donne ... Il nord è decentrato. Poiché la stampa è il medium esattamente a metà nel tempo, fra le trombe del rusco o dei bandi gridati a voce, e i teloni col divismo dei presentatori a grande fedeltà in casa, sarà qui a Lecce il posto giusto. In attesa di un'analisi, con dati finanziari e politici ora seminascosti, sul sonno dell'editoria del nord, si può dire certo oggi che il battere a macchina e spedire contrassegno, o diffondere i propri testi ciclostilati, non ha più un senso esatto. Lo fece bene Roversi nel '68 e poi. Né ha un senso più, purtroppo, il comporli con le pinze proprie come una volta sul bancone tipografico Resti[ de la Bretonne nel fine settecento... Ora, dunque, o provvedono i piccoli editori a stampare i libri buoni e non gialli, riuscendo anche a piazzarli in qualche punto di vendita senza essere boicottati in tutto, oppure: si può forse fare oggi nel Medioevo come fanno in certi casi i giapponesi... E cioè: tenere i testi poetici nella memoria propria (o in scartafacci) girando in vari luoghi a leggerli con la bella definizione di se stesso sul manifesto che dice: «tesoro nazionale vivente». • * * * P.S. Tornando dal paradossoal discorso teorico-critico:nell'introduzionerigorosa che Bettini e Luperini hanno scrittoalmiolibro Palla di filo, il termine e concetto attuale di «neoespressionismo»viene esteso a parecchie componenti già di neosperimentalismoe di nuova avanguardia,insieme.Tale concetto è stato posto, con esigenzadi riconsiderazione,nel bellissimomanuale di studiodelNovecentodiRomanoLuperini. Di recente, prima e dopo la riunione a Palermone11'84,mi è avvenuto di approfondirnevari motivi (cfr. Alfabeta n. 74-75).'Mipare interessanteche ora ciò risulti condivisibiledunque da altri scrittorie teoricidel periodo anteriore e attuale, i due citati e, mi pare, leto to, e anche se egli riduce la capacità conoscitiva della storia («la storia non può minimamente spiegare un mito»), la storia comunque esiste, non foss'altro per quel confine con cui ci ha separati definitivamente dagli antichi. I n Fato antico e fato moderno, l'autore indica l'esistenza di un grande pensiero cosmologico antico: «Al di là dell'Egitto e di Babilonia, al di là anche dei sumeri e delle civiltà dell'Indo si comincia oggi a discernere i lineamenti colossali di una vera astronomia arcaica, quella che fissò il corso dei pianeti, che dette il nome alle costellazioni dello zodiaco, che creò l'universo astronomico - e con esso il cosmo. - quale lo troviamo già • pronto quando comincia la scrittura, verso il 4000 a.C.». La scrittura fu secondo l'autore il risultato e insieme la fine di questo pensiero, che noi ricevemmo filtrato dalla Grecia, ma solo in quella piccola parte a noi vicina, mentre il suo pieno fulgore fu apancheSanguinetie ancheGiuliani.Così si propone dunque di risolverecerti errori interni al '60-65,con incompren- 'sioni settarie reciproche, allora, fra i gruppidi ricercatori. E cosìsi tiene fermo che nel Novecento restiamo, non vaghiamonomadimolto piùindietro o più lontano: restiamo nel Novecento comecampodi sceltefondamentalie di trapassi, a cui è possibileconnettereogni memoriadel nuovo. E aggiungo: il mio statement di espressionismoletterario con un punto di vistadi materialismo,precisatodi recente, vuole riguardareancheilmiolavoro del '50 e particolarmentedel '60, dopo un inizioclassicistico;e con tale dichiarazionesi spiegaora la mia controversia, benché amichevole,con Pasolini. Il suo riferimento all'espressionismoderivada Longhiche lo retrodata a modo suo (mentre Contini, pur consentendo in parte, bada sostanzialmente all'espressionismonovecentesco «dai vociani a Gadda»). Ugual chiarimento vale oggi da parte mia verso i cattolici di sinistra in Officina (Romanò, Scalia,e Pasolinianche)pur seScalia non è stato affatto incomprensivo verso la «nuova avanguardia»(ma ne ha scartato me, in certo modo). E vale per Roversiche io stimoespressionista egli pure con scelta materialistica,ancheseostileversole nuoveavanguardie e forseverso la primastoricastessa,l'espressionistica,appunto. Di Fortini si deve dire infineche egli è conoscitore delleavanguardiestorichee tenta di distingueredentro esse:scartandolamatrice della fenomenologia;e su questo io sono d'accordo (osservandoinoltre che la nozioneallargatadi realismoche è di Brecht a me pare largamente espressionistica). Cfr. Collana «La scrittura e la storia»: Luigi Malerba Cina Cina (Narratori contemporanei) Gianfranco Ciabatti Preavvisi al reo Umberto Lacatena Le spose del marinaio (Opera prima) Francesco Leonetti Palla di mo Edoardo Sanguineti Novissimum testamentum (Poeti contemporanei) libri di pagg. 100/150, lire 10.000 Cfr. inoltre L'immaginazione giornale culturale mensile Lecce, Piero Manni editore, 1985-86 punto nel quinto millennio a.e., «quando molti motivi e livelli di pensiero s'intrecciavano in un tutto che aveva la sua compattezza e formava una visione unitaria del cosmo». In questo pensiero tutto si fonda· sugli astri, çhe determinano ogni mutamento nell'universo, e a tale proposito de Santillana cita qui, come pure nell'altro volume, l'affermazione di Aristotele secondo cui gli dei erano originariamente pianeti, e l'episodio di Griaule che, quando chiese allo stregone della popolazione sudanese quali fossero gli abitanti del luogo, vide 'O che questi indicava il cielo, alluo::s dendo agli astri. In questa cosmo- -S logia che ha centro nel sole, di- ~ spensatore di movimento e del 'O . ~ tempo, l'uomo «è passivo, in certo ...., modo riflesso. Partecipa ètell'esse- e ~ re, in quanto celebra miti ed ese- ~ gue riti». ' De Santillana ipotizza in questo ~ pensiero l'origine della metafisica ~ indiana, e le radici del pessimismo ~ e della chiarezza dell'età classica: ;g,_ in queste condizioni, infatti, in un ~

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