Alfabeta - anno VIII - n. 81 - febbraio 1986

Il pubblico Pa~g,i- trovatori Maria Luisa Meneghetti . Il pubblico dei trovatori Modena, Mucchi editore, 1984 pp. 423, lire 55.000 D a un po' di anni, molte delle campagne semioticamente e letterariamente più fertili hanno prodotto nuovi frutti, di sapore e consistenza diversamente apprezzabili, ma tutti caratterizzati da un orientamento sul lettore e sulla questione della lettura: reagendo forse alla sbornia oggettivistica dello strutturalismo più radicale, si è messo così in secondo piano anche il soggetto per eccellenza, l'onnipresente e onnipotente autore a cui tutto, in epoca prestrutturalistica, sembrava dovuto. Si trattava, in generale, di riconoscere al lettore un ruolo più attivo e determinante nella vita dei fatti letterari, liberandolo dall'umiliante statuto teorico di inconsapevole tubo digerente che piano piano gli era scivolato addosso, ma coloro che si sono posti a indagare la speciale creatività condizionata del destinatario sono avanzati in direzioni molto diverse, lavorando a proficue saldature fra la semiotica letteraria e la filologia, la storia, la sociologia letteraria o la teoria dell'informazione, oppure anche dilatando i confini della figura del lettore fino a fargli inghiottire opera e autore nel fluire libero del linguaggio. Ora si comincia a percepire l'esigenza di un più sorvegliato riesame critico della rigogliosa fioritura teorica cui si è alluso, e per esempio all'ultimo convegno dell'Associazione italiana di studi semiotici, intitolato significativamente Semiotica della ricezione (Mantova 25-27 ottobre), tale esigenza ha occupato in varie forme buona parte degli interventi, da quello di Eco che ha proposto una razionalizzazione del panorama ricezionale tentandone una tipologia, a quello della Ferrari Bravo che ne ha illustrato la genesi nel pensiero russosovietico; altri hanno voluto saggiare la tenuta dell'orientamento sul destinatario con prove critiche particolari, riconoscendo per esempio una vera e propria analisi del ruolo dello spettatore in La donna che visse due volte di Hitchcock (Casetti) o illustrando i modi dell'ascolto popolare di testi musicali (Stefani). È probabilmente su questa seconda strada che i materiali teorici davvero fecondi, acquistando spessore metodologico, troveranno un definitivo consolidamento e, d'altra parte, proprio nell'ambito della sperimentazione critica alcune delle più ambiziose proposte ricezionali sembrano cominciare a decostruirsi da sole (v. P. Valesio, «Fine della decostruzione», in Alfabeta, n. 77, p. 35). Non è certo questo il caso del bel libro di Maria Luisa Meneghetti, che affronta dal punto di vista degli studi sul lettore il complesso della poesia amorosa provenzale. L'indagine percorre differenti itinerari: dopo un'esauriente panoramica ragionata dei principali contributi critici sulla lirica cortese e una lucidissima premessa metodologica, la studiosa affronta il problema della trasmissione-esecuzione dei testi poetici in rapporto ai tipi di pubblico cui erano indirizzati; l'analisi procede con l'esame di' una nutritissima serie di scambi e riprese tematico-formali da un autore all'altro, da cui emerge con evidenza il carattere diffusamente dialettico dell'esperienza letteraria provenzale, anche al di là dei generi specificamente responsivi (tensa, partimen) che, secondo la Meneghetti, discendono proprio da quella generale inclinazione al dibattito. Segue una persuasiva e avvincente carrellata diacronica sui ricorrenti recuperi del motivo del canto per amore nei poeti cortesi fino al Trecento, di cui si mettono in evidenza gli slittamenti interpretativi, dovuti alla necessità di adeguarsi alle attese di nuovi pubblici; chiude il libro, davvero ricchissimo, la dimostrazione che le vidas, razos, e miprovvedersi di uno strumento critico duttile e affilato, grazie al quale riesce a offrirci un'immagine rinnovata e sorprendente del corpus poetico forse più studiato del mondo. Ciò che soprattutto interessa la studiosa delle riflessioni di Jauss e Iser sul ricevente, oltre la consapevolezza, diffusa in molte semiotiche, che ogni opera d'arte sia realizzata pensando alla fisionomia di un destinatario ideale o lettore implicito che sappia farla funzionare perfettamente, sono i concetti riferibili anche alla figura del lettore effettivo. stanno sia la possibilità dell'opera di caricarsi nel tempo di sempre nuove significazioni (la sopravvivenza dei capolavori) sia la creatività del destinatario che, attraverso il rinnovarsi delle interpretazioni, diviene l'operatore di quella sopravvivenza. U na volta riconosciuta la particolare dialogicità dell'esperienza interpretativa (cui è giunto per altra via anche Lotman) è possibile pensare secondo la Meneghetti a una storia della ricezione di un testo o di un genere c,i. ~ k vr jj ,..J,i.,, ~ niature che accompagnano i testi nei codici svolgono la funzione di regolare l'interpretazione del lettore. Non è purtroppo possibile, qui, dar conto diffusamente di tutto ciò che questo importante studio ci regala, e mi fermerò quindi sulle questioni di metodo. D'altro canto, benché la ricerca sia tanto ricca di proposte interpretative illuminanti e di stimoli per lo studioso di cose provenzali, è soprattutto sul versante teorico che si reperiscono le più accattivanti fascinazioni: l'autrice (maledetti filologi!) sa infatti condurre l'incontro fra le tesi ricezionali della scuola di Costanza e i testi della lirica cortese in modo da SlllM/~,A • ' ·' . \s~: ~,. ~-~ ... Il primo è quello di orizzonte d'attesa del pubblico, che va inteso nel senso dell'insieme di conoscenze, predisposizioni e aspettative dei lettori all'apparire di un testo, il quale può poi prevederle e quindi esaudirle in misura molto variabile, ma ne è comunque influenzato; ancor più interessante è quello secondo cui ogni evento letterario soggiace alla logica della domanda e risposta: ogni testo è la risposta a una serie di domande che l'autore si è fatto, ed è però bersagliato anche dai destinatari di interrogativi che non sempre coincidono con quelli dell'emittente; nello spazio descritto dallo scarto fra il chiedere dell'autore e quello del lettore letterario che non si riduca né a un 'impossibile riorganizzazione della storia letteraria dalla parte del lettore, né a un catalogo sociologico dei tipi di pubblico, soprattutto ricorrendo allo studio dell'intertestualità di un dato periodo o ambiente, cioè del gioco di citazioni, allusioni, rifacimenti (e quindi interpretazioni) di quell'opera o genere in un'altra, insomma del cammino dei testi nel tempo, attraverso il veicolo di successive riutilizzazioni. La proposta di analizzare i rapporti di un'opera con testi coevi o del passato non sarebbe certo nuova, e anzi fino ad epoche relativamente recenti gli studiosi di letteratura non hanno in fondo fatto altro, nuova è però la prospettiva che indirizza ora simili indagini: per fare un esempio di fronte alla canzone Gioiosamente canto di Guido delle Colonne, giudice-poeta alla Corte palermitana di Federico II, lo storico della ricezione, una volta riconosciuta l'ampia utilizzazione di fonti e luoghi comuni della lirica provenziale e il loro riuso parodico (qui si fermerebbe un tradizionale studio delle fonti) si chiede essenzialmente che tipo di condizioni letterarie, storiche, sociali ecc. abbiano potuto determinare il nuovo orizzonte d'attesa del pubblico, che ora può gustare operazioni inconcepibili in altra sede, analizzando la riscrittura del patrimonio poetico provenzale non più come primario oggetto di studio ma come segnale di una tappa decisiva nel cammino di quei materiali (in particolare il motivo dell'ispirazione amorosa del canto lirico) attraverso il tempo (v. pp. 227-30 per l'analisi condotta dalla studiosa). Una simile impostazione diviene tanto più preziosa e feconda quanto più ci si allontana dall'oggi verso il passato, per il progressivo diradarsi di testimonianze dirette sull'operosità creativa dei destinatari; e se per il passato ci si deve largamente rifare alle letture che siano divenute riscritture, il medioevo sembra proporsi ancora una volta come terreno di ricerca stimolante e privilegiato, caratterizzato com'è da un generale indebolimento del polo comunicativo dell'emittente: in quella cultura pressoché immune dalle febbri dell'originalità individuale e del copyright la riattualizzazione di un testo o di un tema in un contesto ormai mutato era infatti più autorizzata, più libera e più frequente di quanto oggi non si conceda (con tutto ciò forse non sarebbe priva d'interesse neppure una moderna semiotica del plagio). Nell'indagine sul Pubblico dei trovatori le premesse teoriche e metodologiche discusse fin qui concorrono a illustrare gli adeguamenti che hanno scandito il plurisecolare procedere della lirica amorosa di Provenza (XI-XIV secolo) attraverso ambienti culturali e ideologici spesso molto diversi, ma sono come rinsanguate da un piglio critico sicuro e originale, che mi sembra emerga soprattutto nella capacità di mettersi sulle tracce di quegli aggiustamenti interpretativi assumendo con piena adesione il punto di vista nuovo di chi cerca una lettura; ne deriva, per chi invece segue lo svolgersi dell'analisi, un felice accumulo di sorprese: ora la studiosa ci mette di fronte a una sorgente di notizie del tutto inattesa, ora sa spremere informazioni fresche e utilissime a un testimone prevedibile e sfruttato, scorgendo rapporti illuminanti fra elementi solo apparentemente eterogenei; interroga le miniature dei codici sui modi della recitazione dei componimenti, ma vi ritrova pure come si è detto una consapevole funzione 'O <:! di istruzione per l'uso dei testi; do- s:: cumenta il sopravvenire di nuove -~ interpretazioni analizzando la di- t::l.. versa disposizione o la soppressio- gi ........ ne di alcune strofe del testo; ordì0 sce un tessuto di fittissime relazioni -~ fra i testi e i tempi in cui vennero letti, ma le molteplici direzioni in -e -e ~ cui procede sono i momenti succes- ao sivi di un'esplorazione lucida e sor- ~ vegliata, che si ricompone in una ~ relazione di viaggio ricca, compat- · l ta, duratura. ~

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