Alfabeta - anno VIII - n. 81 - febbraio 1986

principale o degli altri personaggi. Al contrario, quando Breton scrive Nadja, è preso letteralmente come un personaggio di una storia, solo che questo personaggio si chiama André Breton. Credo che questo sia un nuovo genere che si crea a poco a poco, che si distingue- insisto su questo - dall'autobiografia tradizionale perché non pretende di non essere una finzione. Russo. Venendo alla sua attività di critico letterario. Il suo approccio attuale si può considerare psicanalitico. T1,1ttavianon si tratta né della vecchia analisi che mira ali'autore né della psicocritica di Charles Mauron; la sua analisi sarebbe più attenta al significante che al significato. Potrebbe spiegarsi in proposito e dire in che cosa il suo metodo differisce dagli altri approcci psicanalitici? Doubrovsky. Stranamente per uno che nelle sue opere di romanziere parla tanto di se stesso, nella critica ho sempre avuto orrore di mescolare l'autore all'opera. Non mi sono mai servito di quello che potevo sapere della vita di Corneille, della vita di Molière, per spiegare la loro opera, ma prendo l'opera come un tutto. Quando mi accosto ad un'opera devo essere nella stessa posizione di un lettore che apre un libro appena pubblicato. Il lettore che apre, per esempio, il primo romanzo di uno sconosciuto, deve decidere se è buono o scarso, che senso esso ha, senza sapere niente dell'autore; quindi io mi metto sempre in questa posizione che, quando si fa una critica di tendenza, in questo caso psicanalitica, èun paradosso. Perché, sin dài primi saggi di Freud, la critica psica-. nalitica è spesso stata - in· Marie Bonaparte a proposito di Poe e di altri - uno sforzo per comprendere il testo a partire dalla vita dell'autore o, in ogni caso, 'di metterli jn . equazione, di lavorare i due simultaneamente per mostrare come l'uno sta all'altro. Da questo punto di vista le grandi opere letterarie· di Sartre appartengono alla tradizione freudiana, il suo Genet, il suo Flaubert, sono uno sforzo per fare uscire le opere dalla vita e in seguito fare entrare la vita nelle opere. Per me personalmente non c'è vita - è uno dei miei paradossi - , ci sono opere. Quando leggo Proust o un altro, leggo un testo. Eviden-· temente leggere un testo implica un autore, ma l'autore del testo, non Marce! Proust che ha fatto questa o quell'altra cosa. C'è un narratore che manovra le parole e poi c'è il lettore, me che sono manipolato dal testo e che lo manipolo a mia volta. Il testo: quel luogo di incontro, quel luogo di scambio in cui due inconsci e due consci si affrontano .. La biografia esteriore dell'autore non m'interessa affatto, ma la presenza scritturale dell'autore per me è l'essenziale di un libro. Russo. Ma che cosa intende per inconscio della scrittura? Doubrovsky. Poco fa, a proposito di me stesso, lei mi ha chiesto perché scrivo così, io ho cercato di teorizzare, ma alla fin fine non ne so niente. C'è una pulsione inconscia di scrivere che fa sì che io ami le assonanze, le consonanze, i giochi di parole: da dove tutto ciò venga in definitiva non lo so affatto. Allora, in qualunque libro cerco lo scaturire stesso della scrittura. Ogni grande libro ha un progetto cosciente, storico, io non sono antistorico nella mia critica: non si comprende La princesse de Clèves se non si conosce la stori,adel XVII secolo; non si può parlare di Balzac se non si sa niente del XIX secolo. Ma l'autore è stato un personaggio di una storia, quindi l'articolazione di questa storicità ad un tempo collettiva e individuale ha un linguaggio e - la mia storicità collettiva e individuale articolandosi su un testo - io colloco la ricerca critica all'articolazione dei due. Direi che è soprattutto il mio proprio inconscio che lascio ragionare attraverso le articolazioni e le immagini del testo dell'altro, ma nello stesso tempo è un lavoro oggettivo. Mauron ha avuto ragione a mettere in evidenza l'utilizzazione delle ricorrenze, delle sovrapposizioni, di un certo lavoro oggettivo. Non si è liberi di dire qualsiasi cosa, ci sono le regole del gioco in critica e io credo che le regole della critica siano abbastanza rigorose: quando parlo d'inconscio del testo è qualcosa che si articola, è uno dei livelli del testo. Un libro non è un sogno, è anche nutrito di progetti del tutto coscienti, storici, politici ... Non sono affatto un sostenitore assoluto di un solo approccio critico; la gente che studia i conflitti di classe, i problemi storici a proposito di un libro, ha perfettamente ragione e ha molte cose da insegnarmi. Un testo è questo: una struttura, un luogo d'incontri, un punto d'incrocio di molte motivazioni nello scrittore e di molti tipi di lettura nel lettore, non ce ne sono di privilegiate. Ciò che la critica deve cercare di fare è tenersi a questo gioco dell'articolazione, cioè al testo. È il testo che deve guidare i diversi approcci critici, il testo come realtà. Russo. Questo rapporto col te-· sco non mi sembra molto lontano da quello degli strutturalisti! Doubrovsky. Sì. In questo devo molto ad ogni movimento strutturalista con il quale sono stato in conflitto ideologico sul piano delle idee, perché per me non c'è mai stata morte dell'uomo. Ho sempre creduto che ci fossero un soggetto e un autore, quando non era di moda dirlo. Ma, detto questo, ho appreso molto da loro, ho appreso quello che non mi si era mai insegnato quando ero studente di Bachelard o di Merleau-Ponty. Ho imparato che c'erano le strutture di un testo, che queste strutture dipendevano da certe leggi formali, che queste leggi formali organizzavano il discorso letterario. E questo è stato molto utile e molto salutare. Era proprio necessario che persone come Genette e altri, e Barthes, a una certa epoca, mettessero l'accento su questa forma di discorso che è la letteratura, che non fa distinzione di persona, ma che ha le sue leggi. Quando Ricardou ne fa l'essenza della letteratura, allora mi rifiuto, ma allorché si dice che quello è uno degli aspetti essenziali della letteratura, là sono d'accordo. Ci sono un testo e una struttura, ed è sempre il testo che conta. Per me è la realtà assoluta; non è l'autore, è il testo. Russo. Si può dire che in lei si coniugano «oggettività» e «soggettività» insieme? Doubrosky. Sì. Per me le due cose sono inseparabili. Russo. Dico questo pensando che in qualche modo si è rif!Jasti • insoddisfatti, perché al seguito di Pourquoi la nouvelle critique. Critique et objectivité era stato annunciato un secondo volume, Critique et subjectivité, che poi non ha mai visto la luce. Doubrovsky. Ebbene, ci sono stati i miei romanzi. Credevo che avrei dato il seguito sotto forma critica e poi invece esso ha parlato altrimenti. Ma è proprio il seguito. L'ho scritto diversamente, non si può prevedere se stessi. Russo. Se ho ben capito, lei auPaesaggio rosa, 1923. Olio su tela, 73x91,5 spica l'incontro di una lettura plurale? Doubrovsky. Certamente. Lettura plurale, modo· di procedere plurale. Penso che si è in un periodo, in questo momento, non dico ecumenico, ma plurale; in cui le diverse tendenze che si combattevano furiosamente un tempo sono un po' obbligate ad accettarsi, a lavorare insieme. Per esempio, le grandi lotte tra la critica e l'erudizione, . la critica storica e poi la nuova critica ... In definitiva non credo che ci '\._\ \ / ,_ .. ';;._,o:· -- -- ✓--,, {'..~ A ,- ( \ sia un solo discepolo della nuova critica che non pensi che sia necessaria una solida erudizionl! storica prima di cominciare a parlare di Rabelais o d'altro. E inversamente, non credo che ci siano molti storici della letteratura - d'altronde gli studi storici sono in pieno rinnovamento - che non sentano la necessità di avere in psicanalisi, e in altri campi contemporanei, conoscenze approfondite. C'è un lavoro di base, di fondo, che si fa; si fa una specie d'inventario. Russo. Sarebbe infondo un momento di equilibrio? Doubrovsky. Sì. In proposito le darò le mie impressioni. Si è alla fine di un secolo e non ci sono più grandi mostri sacri. I grandi geni con la loro caricatura ma anche la loro creatività insostituibile, i Sartre, i Malraux, i Lacan, i Lévi-Strauss, i Foucault, adesso è finita. È un peccato, ma è finita per il momento! Inversamente, c'è un lavoro di base straordinariamente solido - e forse più solido di quelle grandi impalcature meravigliose e barocche - che si sta facendo. Ci sono persone che non sono ancora celebri e che cominciano a fare dei libri interessanti! Russo. Tuttavia, mentre lei auspica questa coabitazione di più approcci crittct, ultimamente è proprio Gérard Genette che è stato chiamato in causa. Gli si rimprovera, e non a lui soltanto, ma alla critica formalista in generale, di essere scollato dalla storia; che bi-. sogna trovare il punto di articolazione de~'opera nella storia; che non si può prevedere alcuna opera possibile. Doubrovsky. Io, se fossi Genette, risponderei: ascoltate, non sono affatto contro. Trovatelo! questo punto di articolazione. Egli fa il suo lavoro ed ha il di.ritto di farlo. D'altronde non ha mai detto che questo legame non esisteva, lui fa il suo lavoro, non ostacola nessuno! Personalmente ripeterò qui tutto il debito che ho verso i grandi strutturalisti: ho enormemente appreso e tutti ne hanno beneficiato. Se poi si trova che non è sufficiente, ebbene: fate pure, non perdiamoci in discussioni sterili e in dispute pseudo-teoriche. Che si lavori! Russo. Si riparla anche della vecchia querelle Barthes-Picard. Ali' epoca lei è stato il portavoce ufficiale della «nouvelle critique» con Pourquoi la nouvelle critique. Ma g(à allora lei metteva in evidenza i punti d'incontro che potevano esserci, nonostante tutto, tra Barthes e Picard e che erano offuscati dalla polemica. Oggi si riprendono più o meno gli stessi punti, ma ho l'impressione che si cerchi di ridurre il tutto ad una querelle di professori, dunque ad una storia di potere. Che cosa può dirne lei, a vent'anni di distanza? Doubrovsky. Non credo che si debba riscrivere il passato alla luce del presente. E- se posso osare un esempio più importante di quello di Barthes e Picard - non perché oggi, nel 1985, la Germania e la Francia sono alleati e amici, si può dire che nel 1942-44 non fossero nemici mortali! Voglio dire che oggi è perfettamente inutile provocare con chicchessia la pur minima . querelle ideologica all'interno dell'università, ma nel 1970non era la stessa situazione. C'era un blocco a livello della nomina dei posti, a livello della creazione delle cattedre; non si deve dimenticare che Charles Mauron ha avuto le più grandi difficoltà per ottenere un disgraziato posto a Aix e solo alla fine della sua vita; non si deve dimenticare che Miche!Butor non ha mai potuto insegnare nell'università francese e che ha dovuto fare una carriera in Svizzera. Contrariamente a quanto si potrebbe credere, ci sono stati blocchi ideologici, e io stesso sono stato a lungo ostracizzato dalla scena francese. Bene, da allora tutto questo è stato eliminato! Ma non dimentichiamo che .negli anni '60 c'era una lotta reale, un'opposizione reale, c'erano gruppi d'interesse dovuti a una ideologia di classe, a un potere borghese convinto che la vecchia.storia letteraria tradizionale detenesse il vero discorso sulla letteratura. E gli altri discorsi sulla letteratura erano considerati sacrileghi, mostruosi. Non dimentichiamo il modo con cui ci si è fatti beffe di Barthes, di Starobinski, o d'altri! Quindi, in quel caso c'era una lotta. reale di cui non bisogna retrospettivamente minimizzare l'importanza. È stato necessario, a una certa epoca, battersi all'interno dell'università contro una certa visione dell'università. Adesso nel 1985, la questione non si pone più così, di conseguenza si deve fare la pace. Ma tutto questo non è stato inutile e non era affatto una querelle di professori. C'era in gioco una posta molto più importante: l'istruzione. Guardi, anche al momento attuale, l'importanza in Francia della questione educativa: quando Chevènement (n.d.r.: attuale ministro della pubblica istruzione francese) parla di questa o quell'altra riforma, è un avvenimento nazionale. Attraverso l'insegnamento della letteratura, nella misura in cui essa è, o era finora, una delle forme privilegiate dell'insegnamento in Francia, si tocca quello che Barthes chiamava l'ordine dei linguaggi, cioè l'ordine sociale tout court. Ah, no! Era molto importante! Non era affatto una piccola storia! Era una lotta capitale, decisiva per forzare un discorso universitario, poggiante su una tradizione quasi centenaria, ad aprirsi. Antoine Compagnon, nella sua Troisième République des Lettres, ha mostrato come tutto questo discorso universitario tradizionale fosse, esso stesso, il prodotto di tutta un'evoluzione ideologica del XIX secolo. Nel 1966tutte queste cose non erano così chiare, c'era quindi una vera posta in gioco. E sono felice di avere partecipato - seguirò fino alla fine la mia metafora militare - a questa guerra dei critici, pur auspicando adesso la più profonda pace! A cura di Maria Teresa Russo

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