ta di «silenzio», raggiunge un grado «zero», che è il momento della massima autonegazione. Borradori. Ciò che non mi è chiaro è la differenza di referenti di fruizione che queste due «estetiche» si pongono. Anche se non accade, per le esperienze di Cage, come del gruppo Fluxus, certamente per forme d'espressione come la Video-Art, pure catalogabili nel dissolvimento dell'arte nella vita, accade che il referente di fruizione sia molto vasto; passi per il network dei media. L'arte della «citazione» (ad oggi molto diffusa in Europa), come per esempio il neoespressionismo della transavanguardia, è invece un discorso estremamente «letterario», un discorso dell'arte su se stessa e la sua storia, che sicuramente può avere livelli di fruizione estremamente più limitati. Hassan. Le ho citato prima quelle che io credo essere le due tendenze dell'arte post-moderna: una che volge. all'infinito, e cioé alla compenetrazione totale di arte e • vita, e la seconda che tende ad un punto zero, il silenzio, la sua autonegazione. Ma credo che ce ne siano ·altre due, parallele alle prime ma non complanari: una è un'arte che, confondendosi con la vita, si fa arte di massa, laddove però cultura «per addetti» e cultura di massa sono termini di una dialettica che soccombe. E questo accade, per eseinpio, nella letteratura della «parodia»: parodia della detective story, parodia del filmfantascientifico, parodia della pornografia, parodia dell'intreccio d'avventura e della tipologia «western». Queste forme d'espressione del «remake parodistico» non sono in realtà prodotti commerciali, sono prodotti di un'arte colta che però ha anche una fruizione molto estesa. R omanziere e critico molto noto in Francia e negli Stati Uniti, Serge Doubrovsky è stato, negli anni Sessanta, tra i principali esponenti della «Nouvelle critique». Recentemente sono usciti tre suoi romanzi: Fils (Paris, Galilée 1977), Un amour de soi (Paris, Hachette 1982), La vie l'instant (Paris, Balland 1985). Russo. Ciò che colpisce sin dal primo approccio nei suoi romanzi è il loro carattere autobiografico. Ma stranamente lei ha sempre respinto il termine di autobiografia per opporgli quello di autofinzione. All'interno stesso del suo ultimo libro, La vie l'istant, lei affronta diverse volte il problema della finzione e dice, tra l'altro, : «La mia finzione non è mai romanzo. Io immagino la mia esistenza». E tuttavia i suoi libri portano sempre la dicitura «romanzo». Potrebbe essere un po' più chiaro? Doubrovsky. Bisogna dire che in molti casi è anche la pressione degli editori. Ma non mi rifugerò dietro il mio editore. Soprattutto per Fils ho voluto a ragion veduta la dicitura «romanzo», e anche per Un amour de soi, perché l'autofinzione non consiste nello scrivere la propria storia, ma nel mettere la propria vita in romanzo. Dunque io rivendico allo stesso tempo lo statuto ambiguo del romanzesco e .dell'autobiografico. Credo che lei abbia toccato il punto che per me e Borradori.Con questo lei penserebbe anche ad autori come Steven Spielberg o John Carpenter? • Hassan.Si, certamente. Ma penso anche a Norman Mailer, che sin da Il sogno americano ha praticato una forma di «parodia del genere letterario», in quel caso di una detective fiction; oppure a Thomas Burger che ha realizzato nel suo Piccolo grande uomo una parodia del genere western; oppure ancora a Nabokov che in Lolita realizza una parodia del genere pornografico. Queste sono parodie perfettamente consapevoli di essere remake, che non sono affatto prodotti commerciali, ma si impongono di esser~o. In questa dimensione di condensazione di arte e vita le due dimensioni dell'arte «colta» ed «extra-colta» si fondono. Nello stesso momento c'é un'altra tendenza che va nella -direzione opposta: particolarmente nell'architettura, appare questa volontà (che si opera con la citazione) di ridefinire il concetto di «tempo». Essa non ha infatti un concetto del tempo «lineare»: cerca di creare uno spazio dialettico del tempo, nel senso di creare una forma di «conversazione» tra vari «tempi», attraverso la composizione di vari stili. Ancora un'arte estremamente autoconsapevole, e, io credo, molto filosofica, nel senso che cerca di «distruggere» il tempo. Borradori. Lei è di origine egiziana. L'incontro con gli Stati Uniti l'ha in qualche modo aiutata a diventare «post-moderno»? Ci sono stati degli incontri, nella sua vita, che l'hanno indotta alla «post-modernità»? di nascita. La seconda, quella tra l'ingegneria, mio primo interesse, e la filosofia. Sempre per il mio in- , teresse per la discontinuità, mi sono poi occupato dei movimenti di avanguardia. Ci sono due persone che incontrai nei primi anni '60, quando insegnavo alla Wesleyan University: uno è John Cage, l'altro è Norman O. Brown. Proprio· loro due modellarono i miei interessi a quello che oggi è chiamato post-moderno. Borradori.Al/ora lei ritiene che il problema del/'«aleatorietà» sia lo spartiacque tra il moderno e quello che sta «oltre». Hassan.Come le ho detto, quando ero più giovane ero interessato alla «coesistenza di continuità e discontinuità». E credo che il passaggio da moderno a post-moderno sia caratterizzato sia da continuità che da discontinuità. L'approccio sperimentale al linguaggio è un elemento di continuità. Il moderno è secondo me stato caratterizzato da una forte volontà di forma; cercava sempre un «centro», come T.S. Eliot fece invano nella Waste Land. Il post-moderno non cerca il centro, anzi vuole «de-centrare il centro»: ciò che viene «oltre» la modernità è interesse per i «margini», la «diffusione», la «disseminazione»; non è interesse per la forma, ma per le strutture della forma, che sono basate sulla distruzione della forma. Borradori. Se ritiene che il postmoderno sia correlato a/l'immanenza di un nuovo mondo, forse un mondo destrutturato, ma certamente diverso; quali-s.onoseco,a(i,o .:_ • , ·_._leitpunti e111.ergendti questa «difHassan.Mi ha sempre interessa-< ferenza»? •• • • •• • to la «discontinuità». La prima~\. . ., .. grande discontinuità fu quella tra,. • ••. Ìlassan. La chiave ·di lettura di gli Stati Uniti e l'Egitto, mio paese . _q_Ìièsta questione è quello ché i filosofi pre-socratici definivano come il problema dell'Uno e del Molteplice. Che è in fondo un problema di «prospettive». La relazione tra l'Uno e il Molteplice, così come tra l'Identità e la Differenza, è riformulata dal post-moderno. Per esempio, oggi tutto il mondo è pervaso da un «ritorno alla tribalizzazione» e alla frammentazione localistica, etnica e religiosa. Nello stesso tempo una tendenza opposta si sta delineando: la planetarizzazione e la globalizzazione della comunicazione e del sapere, attraverso i media; il capitai~ è strettamente fluido e l'interdipendenza in cui giace il mondo è assolutamente senza precedenti. I due processi sono strettamente legati. Questo doppio movimento di tribalizzazione e planetarizzazione sta avendo luogo nella società e anche nell'arte. Nella società esso diviene l'esatto specchio della società americana, che sin dagli anni '60, anni della grande immigrazione, ha cercato in tutti i modi di darsi un'identità localistica, «puntillistica», sia sul piano delle etnie, sia sul piano della rivendicazione dei diritti sociali. È quello che Lyotard definisce come differenza tra haute histoire e petite histoire. L'arte post-moderna rifiuta la totalizzazione. Porta alla luce l'indeterminazione e la differenza. Borradori. È curioso vedere come molti degli intellettuali che ora • praticano la post-modernità negli anni '60 e primi anni '70 abbiano partecipato ali'engagement politico dei movimenti di protesta. Hassan. Ciò di cui ci si è accorti, pers.one come Lyotard, ma anche Marcuse, e sicuramente per quanto riguarda B~µdrillard e me stesso, è che il progetto utopico, qualsiasi visione utopistica, tende ad essere_totalizzante, tende ad imConDoubrovs per molti contemporanei è essenziale, e in effetti mi piacerebbe parlarne un po'. Ci sono delle forme d'immaginazione romanzesca che consistono nell'immaginare dei destini, è ciò che si potrebbe chiamare l'immaginazione balzacchiana: benché lo scrittore trasponga, proietti una parte dei propri sentimenti, desideri compiuti o incompiuti, sui propri personaggi, nessuno dirà che Rastignac è la vita di Balzac e che Mme Bovary è Flaubert (anche se lui l'ha detto, umoristicamente!). Il romanziere classico è quindi qualcuno che inventa dei personaggi, delle storie, a par- . tire certamente da alcune esperienze che ha potuto vivere, ma non necessariamente. Quando Zola scende nelle miniere per osservare i costumi dei minatori o i contadini prima di descrivere la terra, non diventa minatore o contadino. Credo che per opposizione a questo tipo di immaginazione che non contesto, che non respingo - io sono un grande lettore di questi romanzi, in quanto critico e semplicemente in quanto lettore - , c'è nel XX secolo una rivolta contro il romanzo, contro questa invenzione di storie immaginarie a partire da fatti per metà storici, per metà inventati, a partire da sentimenti mezzo personali, mezzo inventati, ecc. E curiosamente è verso gli anni Venti - almeno nella storia della letteratura francese-, quando André Breton decreta nel Manifesto del Surrealismo che il romanzo è finito, che si vogliono testimonianze personali, persone che mettano se stesse in scena e scrivano su se stesse, e Breton dà l'esempio con Nadja nel 1972. Poi c'è Leiris con L'Age d'homme e, in altri campi certamente, non si può non pensare a Henry Miller e ad altri scrittori. Insomma, in un certo numero di autori del XX secolo si mettono a scrivere dei libri in cui si raccontano essi stessi e non più attraverso la scappatoia di un personaggio romanzesco. Russo. Ma questa non è l'autoUJ I..) z <: o <. o a.. v') UJ cr et o ..., biografia? E non c'era già Rousseau sin dalla fine del XVIII secolo? Doubrovsky. È proprio qui che la distinzione diventa interessante. Un'autobiografia - di cui Rousseau precisamente ha dato il modello insuperabile - è un signore che, arrivato alla sera della sua vita, celebre, sconosciuto come tutte le persone celebri, scrive per assicurarsi, in qualche modo, una bella posterità. E il disegno confessato di Rousseau. Ma il contratto di lettura, per parlare come certi criticiLE s 1 LE S M A R. q li i ~ ES ( lt'VF fEl"I E. I-LE ATTENO Les iles Marquises, 1917-1920. China su carta, 22x27 porre un pattern di razionalità. Ma questo non è un fatto nuovo: se lei pensa alla Repubblica di Platone o all'Utopia di Thomas More l'elemento dominante è l'avversione alla «differenza», il desiderio di «identità», o uniformità. Il postmoderno cerca la differenza e non la totalità. Borradori.Cosa ne pensa dell'immanenza del ruolo centrale dell'immagine nella società e nella cultura contemporanea? E che cosa pensa del problema del suo «controllo»? Hassan. Questo è un problema molto interessante e molto vasto. Il problema è comunque correlato alla «natura» del potere. Foucault è da tenere presente per questa questione. Il potere non è qualche cosa che, se si ha, permette il controllo di tutto il resto. Questa è l'immagine del potere che io definisco «paranoica». Il potere oggi è molto più diffuso, ci sono persone che hanno potere, e che non possono usarlo per il proprio interesse. La sua domanda è credo correlata al problema del nesso tra potere e linguaggio: e questo è ancora un mistero. Non mi risulta che nessuno sia riuscito ad essere veramente convincente nella soluzione di questo problema. Baudrillard ritiene che la società sia come un buco nero nello spazio. Gilles Deleuze parla della struttura della società contemporanea come di un «rizoma», una radice che si estende tanto verticalmente, quanto orizzontalmente. Ognuno cerca delle metafore per descrivere la «disseminazione» del potere, e la sua miseria. A cura di Giovanna Borradori penso in particolare a Philippe Lejeune che è il maestro dei problemi dell'autobiografia - , il «patto autobiografico» di lettura che si conclude con il lettore, è: «Vi racconterò la mia vita dal punto di vista della formazione della mia personalità, della formazione delle mie opere, e cercherò di riportarla con quanta più esattezza possibile». Naturalmente Rousseau per primo sapeva che c'erano dei vuoti di memoria, e allora dice, all'incirca, : «Ho cercato di allietare, di ornare, i momenti in cui la mia memoria era indifferente, ma mai dico per vero qualcosa che sapevo essere falso». Il contratto autobiografico è un contratto di non finzione: quello che vi confido è ciò che in tutta buona fede credo sia stata la mia vita; è un patto di buona fede. Quando leggo Il rosso e il nero, non un solo istante mi dico: Julien Sorel è esistito, ora vado a visitare la sua tomba. Bene, io credo che là, alla base, c'è un contratto di lettura completamente diverso. Ciò che è successo, e succede, nel corso del XX secolo, è che questi due tipi di contratto - quello romanzesco e quello autobiografico - hanno interferito. Ma attenzione! non si tratta del romanzo autobiografico in cui tradizionalmente, dall'Adolphe di Benjamin Constant e persino dalla Princesse de Clèves di Mme de Lafayette, l'autore utilizza una grande parte della sua esperienza personale, ma maschera il nome e i tratti del personaggio
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