Alfabeta - anno VIII - n. 81 - febbraio 1986

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. .. . . . . . . . . . . ' ' . ' . . . . ' . . . . . . . . . . . . . . . . .......................... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . • .. °' r,., <:::S .s sulla gravità». La notizia è sembrata importante anche alla Rai, che l'ha inserita nei titoli di testa di un telegiornale, facendola commentare al fisico Carlo Rubbia. Per altri, è una notizia assai meno luminosa (per Il Giornale, ad esempio, è una notizia di taglio medio nella pagina degli esteri) o quasi oscura (ad esempio, per la Repubblica è un titoletto su una colonna, nella pagina «Cronaca»). Per altri ancora (per esempio, il Corriere della sera e Il Tempo) la notizia è al di là dei limiti del visibile, e non compare. Cautela di fronte a una possibile «bufala»? Sembrerebbe da escludere. La fonte della notizia è «autorevole» (come la definisce La Repubblica): si tratta del numero del 6 gennaio della Physical Review Letters; gli autori della comunicazione sono un gruppo di fisici americani guidato da Ephraim Fischbach, docente di fisicadella «famosa» {l'aggettivo è della Stampa) università Purdue dell'Indiana. Il secondo aspetto interessante sta nella modalità di presentazione dell'informazione. Per Il Giornale ci troviamo di fronte a due teorie in conflitto. Sopra il titolo Galilei sbagliò: la natura ha cinque forze fondamentali si legge infatti: «Una nuova teoria di scienziati americani». L'inizio dell'articolo conferma questa impostazione: «Galileo Galilei è in errore, e anche Albert Einstein ha preso un granchio; questo, almeno, se è vera una nuova teoria sulle forze della natura che appare oggi su una prestigiosa rivista scientifica americana». Per La Repubblica si tratta invece di una «scoperta»: Scoperta in Usa una nuova forza antigravità. L'occhiello specifica: «Da un gruppo di fisici». A scanso di equivoci. Nel testo si legge: «Questa finora sconosciuta forza di origine ignota - denominata dai suoi presunti scopritori 'ipercarica' - contraddice infatti il principio galileiano per cui due gravi, di qualsiasi massa, cadono nel vuoto alla stessa velocità». Qui è dirett'amente la quinta forza, «fino ad oggi ignota», a contraddire un «principio teorico». I «presunti scopritori» si sono dunque limitati ad osservarla, senza costruire una teoria. La Stampa, almeno nella titolazione, sembrerebbe più vicina alla Repubblica. In.effetti, l'articolo offre una terza versione epistemologica. I fisici del gruppo di Fischbach «l,iannoeseguito una serie di accuratissime analisi degli esperimenti condotti all'inizio del secolo, ottenendo come risultato che i corpi cadrebbero verso terra con differenti accelerazioni in dipendenza della loro natura». Quindi, «per spiegare il fenomeno, alcuni fisici hanno enunciato la teoria dell'esistenza di una quinta forza, la 'ipercarica', che agirebbe in modo diverso da corpo a corpo in rapporto alla loro natura». Stando alla Stampa e alla Repubblica, il gruppo americano avrebbe «controllato i risultati degli esperimenti condotti agli inizi di questo secolo dal fisicoungherese Eotvos, che si riteneva avessero confermato le conclusioni di Galilei» (La Repubblica). Gli esperimenti di Eotvos, specifica La Stampa, «riguardavano il comportamento di oggetti, di differente composizione e di massa diversa, sospesi ad una bilancia di torsione. Secondo Eotvos, questi avrebbero confermato le idee di Galileo. Le attuali anali- ~ si, invece, mostrano incolmabili dii::>.. screpanze». La Repubblica parla ~ invece di «lievi discrepanze». Poco ...... male: nel procedere scientifico an- .9 ~ che «lievi» discrepanze possono ri- :g sultare teoricamente «incolmabi- ~ li»... Il Giornale che, finora, sembrava fornire la versione più «sofisti- ~ cata», reminiscente di Kuhn e La- l katos (il dissidio non è tra «esperì~ ~ mento» e «teoria», ma fra due teorie interpretative degli esperimenti ... ), prende una svolta imprevista. I fisici americani, secondo Il Giornale, non avrebbero ripetuto gli esperimenti di Eotvos (che non sono menzionati), ma avrebbero preso in esame proprio gli arcifamosi esperimenti galileiani. «Tutti sanno - si legge - che intorno al 1590Galileo si affacciò dalla Torre di Pisa e ne lasciò cadere due palle di cannone, una molto più grande e una molto più piccola, e che le due palle raggiunsero il suolo nello stesso istante». Ora il gruppo di Fischbach «afferma ... che l'esperimento di Galilei era falsato dalla presenza dell'aria, e che se esso fosse stato condotto nel vuoto assoluto avrebbe dato un risultato diverso: la palla più grande sarebbe arrivata al suolo prima di quella più piccola di una frazione infinitesimale di tempo». Stando così le cose, si tratterebbe di un «errore sperimentale» piuttosto grossolano da parte di Galilei, che avrebbe misurato gli effetti di due incognite {lagravità e la resistenza dell'aria) come se fossero effetti di una sola (la gravità). Non sarebbe proprio il caso di parlare di teorie rivali, poiché le cose non funzionano già nella prima, quella di Galileo, indipendentemente dalla teoria che si sono costruiti i fisici americani. La versione del Giornale lascia perplessi. Il disagio si estende dalla descrizione delle osservazioni di Fischbach a quella delle osservazioni di Galilei. La Stampa riferisce che Galileo avrebbe fatto cadere dalla Torre di Pisa non «palle di cannone» di dimensione diversa, bensì palle di diversa materia («palle di piombo, di legno e di altra natura»); e giunge ad ammettere la possibilità che -l'esperimento pisano non sia mai avvenuto: «peraltro non è accertato sia stato effettivamente eseguito da lui, da qualche allievo o da alcuno». L asciamo la storia ai suoi misteri, e torniamo alla «quinta forza» teorizzata dai fisici del gruppo Fischbach per sanare le discrepanze osservate rispetto alle previsioni della teoria galileiana della gravità. Innanzitutto, perché «quinta forza»? Semplicemente perché le «forze fondamentali» ammesse ufficialmente dalla fisica attuale sono quattro: la elettromagnetica; la gravitazionale; la forte e la debole che «presiedono rispettivamente alle strutture nucleari (ovvero mantengono legate le particelle nei nuclei atomici) e a certe forme di radioattività» (La Stampa). Questa «quinta forza» è stata battezzata «ipercarica» dai fisici americani; la diversa «ipercarica» dei corpi spiegherebbe le «anomalie» osservate. Il Giornale commenta: «Da decenni i fisici stanno cercando di vedere se in realtà queste forze non siano 'unificabili', nel senso che esse possano essere interpretate come manifestazioni diverse di una sola forza, o al massimo due, che regolerebbero l'intero universo, dagli atomi alle galassie. Progressi in questa direzione sono stati compiuti negli ultimi anni. È perciò paradossale che proprio ora venga seriamente proposta la presenza di una quinta forza». Secondo La Stampa, però, la «quinta ...forza» non giunge del tutto inattesa, in quanto, per esempio, «già citata nel famoso libro del premio Nobel Emilio Segré Atomi e particelle e già battezzata 'ipercarica'». Si tratta di una congettura felice, di una sinonimia o di un «prestito semantico» da parte dei fisici Usa? Qualche dubbio anche sulle possibili ripercussioni teoriche della «scoperta», che, secondo La Stampa, propone il dubbio inquietante che «i sostenitori di Aristotele avessero ragione nella famosa disputa dottrinaria sulla caduta dei Paesaggio, 1910. Olio su tela, 73x92 corpi, ingaggiata contro di loro da Galileo Galilei». Carlo Bernardini, docente di fisica all'Università di Roma, interpellato dall'Unità del giorno successivo (10 gennaio, L'«ipercarica» mette in crisi Galileo Galilei?) afferma: «Per poter ragionare seriamente su questa scoperta occorre che l'esperimento sia compiuto altre volte e la teoria verificata»; se così fosse, «verrebbe messo in discussione l'impianto teorico delle teorie della gravitazione» e «lo schema della teoria generale della reiatività di Einstein andrebbe corretto in alcune sue parti». Su quest'ultimo punto non è d'accordo Le Monde (arrivato buon ultimo con un trafiletto nella pagina «Société» dell'll gennaio): la «ipotesi» dei fisici americani «non rimetterebbe in causa i lavori di Einstein» (Une cinquième force dans l'univers?). Su una cosa, tuttavia, Le Monde concorda con i colleghi italiani come La Stampa o La Repubblica: sull'esempio adottato per illustrare ai lettori gli effetti dell'ipercarica. Facendo cadere nel vuoto una piuma e una moneta, la piuma raggiungerà il suolo prima della moneta. Secondo L'Unità, ciò accade perché la piuma è «dotata di minor ipercarica». Francamente, noi non comprendiamo perché le piume siano dotate di minor ipercarica. Potremmo pensare che l'ipercarica sia, più o meno, proporzionale alla massa; quindi la piuma avrebbe una ipercarica minore della moneta perché di massa minore. Si tratterebbe dunque di una forza che agirebbe simmetricamente alla forza gravitazionale, giustificando il nome di «antigravità» nel titolo della Repubblica. Ma Il Giornale scrive che, secondo Fischbach e soci, nell'esperimento galileiano delle palle di cannone «la palla più grande sarebbe arrivata al suolo prima di quella più piccola». Ciò farebbe pensare che l'ipercarica sia più intensa nel corpo di massa minore. E a questo punto alziamo bandiera bianca, anche perché lo stesso Giornale parla dell'ipercarica come di una «forza che agirebbe in senso opposto a quello della gravità». N onostante qualche esordio scintillante, e la portata delle questioni coinvolte, questa notizia «vagabonda» è scomparsa dalla stampa ben presto. Non è verosimile che ricompaia prima che gli scienziati abbiano messo mano alle invocate «conferenze sperimentali»: il tema non si presta a un dibattito su larga scala e non sembra, per ora, destinato a una pur modesta popolarità. Ben diversa la sorte del convegno sull'infinito organizzato a Roma dall'Enciclopedia Italiana e dall'Istituto Gramsci. In un articolo pubblicato in terza pagina dal Corriée della sera del 12 gennaio {Parlare d'infinito senza nominare Dio) leggiamo: «Questa parola infinito l'hanno usata tutti, amanti, poeti, matematici, teologi. Voleva dire mille cose diverse. Se una mattina quanti facciamo questo giornale ci svegliassimoai bordi dell'Universo, potremmo fare una cronaca di questo infinito, senza molte più differenze di significatò nella parola. Dico uomini del Corriere perché qualche settimana fa questo direttore volle due pagine esemplari, strane per un grande quotidiano, la prima mappa a quel che so stampata così, a centinaia di migliaia di copie, la mappa dell'Universo finito-infinito ( ... ) al limite di quasi dieci-quindici miliardi, oltre i quali non c'è nulla, l'infinito finisce se può finire ... » La mappa di qualcosa che non ha limiti per definizione è, senza dubbio, un'impresa titanica, anzi avremmo detto impossibile se non fosse intervenuta la limpida espressione «finito-infinito» ad avvertirci che s1parla di un infinito sui generis, «che può finire». In ogni caso, «quelle due pagine del Corriere erano un avvenimento: .segnalavano come la scienza ( ... ) via via che avanza nella vertigine di una conoscenza complessa, quasi incredibile, stia diventandÒ argomento di massa, muova interessi e curiosità di massa. La gente vuol sapere, la gente si informa .. .-» Si torna a ciò che si è detto alFi- - nizio: la scienza noh è ancora popolare come il calcio, ma siamo sulla buona strada. E potremmo concordare sul fatto che «con un mutamento di costume che si allarga, e diventa fenomeno rilevabile in occasioni di alta scienza come il convegno romano o di divulgazione giornalistica e televisiva, si sta manifestando forte la richiesta di senso per alcune grandi consapevolezze che non abbiano una resa diretta in termini di vita quotidiana, di oggetti da consumare, di invenzioni da brevettare». Siamo solo più dubitosi della diffusione di alcune «consapevolezze», magari meno «grandi» di quelle evocate dall'infinito: poniamo sull'uso delle parole, sulla necessità di mantenere l'univocità per assicurare una comunicazione decente, prima ancora che una scienza. Gli «infiniti misurabili» (sia pure in anni luce) sono grandezze finite, e chiamarle infiniti-finiti non aggiunge chiarezza. Anche percné i concorrenti del Corriere- della sera non si tirano indietro quando si tratta di confondere le acque. La Repubblica, per esempio, (8 gennaio) titola tutta ·una pagina: Adesso la scienza cerca di misurare persino l'infinito; ma, qualche giorno dopo (11 gennaio), quando «si avvia alle conclusioni il convegno scientifico romano», il medesimo giornale titola un'altra pagina L'infinito è finito / la fisica risponde ai dubbi dei filosofi, e, speriamo, anche a quelli dei giornalisti. La Stampa è uscita dal convegno romano giungendo a una conclusione di drastico scetticismo, a giudicare dal titolo che compare il 12 gennaio in terza pagina: Impossibile misurare lo spazio e il tempo. Speriamo che qualche lettore frettoloso non abbia buttato dalla fin~- stra il metro e l'orologio prima di leggere nel testo le parole virgolettate del fisicoTullio Regge: «Spendendo sempre di più per costruire acceleratori di particelle e telescopi sempre più grandi potremo avere approssimazioni sempre più spinte ma non una misura esatta». Forse qualche «piccola» consapevolezza sull'uso di parole come «infinito», «misura>;, «esattezza» potrebbe evitare qualche titolo meraviglioso. È anche vero che tutta una tradizione filosofica (mai sopita) ha speculato su nozioni di questo genere, e che gli scienziati non sono immuni dagli esiti di tale speculazione. Non bisognerebbe prendersela troppo coi giornali e coi media. A meno che sia proprio il meraviglioso ciò che si vuole promuovere quale motore della ascendente «popolarità» della scienza, quando non è accompagnata dall'utile, dall'applicativo, ecc. I casi della .cometa di Halley, dell'ipercarica e del convegno sull'infinito, ci pare, hanno lasciato nei media più di•tma traccia in questo senso. Il meraviglioso non ha, in sé, nulla di spregevole; può darsi che sia alla base di alcune motivazioni scientifiche. Ma non è un «proprio» del procedere scientifico. Si presta a distorcerne risultati e condizioni di significato. Il meraviglioso, bisogna pur dirlo, si accompagna altrettanto bene con il miracolistico, con il • guardare senza sapere cosa si guarda e come si costruisce (con lamente o con le mani) ciò che si guarda con stupore. Insomma con il èontrario della scienza..Assistiamo ai prodromi di una neo-popolarità della scienza «pura« oppure a quelli del suo opposto che ha vestito i panni della scienza?

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