Alfabeta - anno VIII - n. 81 - febbraio 1986

Alexander Kluge DerAngriffder Gegenwart auf die iibrigeZeit Torino, Festival Cinema Giovani, ottobre 1985 I n vent'anni di cinema Kluge ha perseguito con metodica determinazione la ricerca di una forma difficile, in grado, insieme, di superare il sistema delle attrazioni spettacolari e i modelli diffusi di rappresentazione del mondo. Di fronte alla complessità dell'oggi («il ventesimo secolo è l'epoca più documentata e più incompresa», afferma), Kluge ha optato sin dall'inizio per un cinema-saggio, impegnato a smontare la continuità della diegesi, a violare l'assetto narrativo, introducendo direttamente nello spazio filmico la dinamica delle idee. Il suo cinema lavora sulla forza estrema del discorso e della parola più che sull'orizzonte del visivoche, anzi, è ripetutamente penalizzato e intenzionalmente impoverito. Un film come Artisti sotto la tenda del circo: perplessi (1967)- che costituisce forse il vertice del primo Kluge - è la realizzazione di un percorso aldilà del vedere, la concretizzazione di un processo di potenziamento del verbale e del concettuale, che mentre sembra ridurre lo spazio del visivo, di fatto allarga i confini del filmico. Nella sua ricerca Kluge passa indifferentemente da organismi aperti, apparentemente poco strut- «Quando vedo le foglie muoversi così, e il sole ne traspare, ho la sensazione che si muovano così da una eternità - disse -. È .davvero una sensazione di eternità, e dimentico completamente la storia. Voi la chiamereste una sensazione medievale, una condizione in cui tutto è ancora natura» (fohn Ford in Breve lettera del lungo addio, di Peter Handke) «Se una buona fatina mi chiedesse: 'Non c'è nessun film americano di cui, grazie ai poteri della mia bacchetta magica, vorresti essere l'autore?', sceglierei Alba di gloria diretto da John Ford» (dichiarazione di Sergei Ejzenstejn) L indsay Anderson è noto soprattutto come regista capofila di un cinema vigorosamente e rabbiosamente in polemica con la tradizione nazionale (dal free cinema di lf ... alla violenta satiradi Britannia Hospital) che contribuì notevolmente a contrassegnare i mitici smottamenti cul_turali della fine· degli anni '60, ma in questo libro, già molto conosciuto nella letteratura specializzata anche prima della sua traduzione, ritroviamo un critico letteralmente affascinato dalla mitologia f ordiana, dalla semplicità del suo linguaggio e dalla sua sorprendente efficacia, dalla radicale refrattarietà del suo autore a qualsiasi coin-• volgimento intellettuale o estetico e dalla sua capacità di produrre opere di irriducibile bellezza. « ... un classico vuol dire un testo dove funziona la presenza o la richiesta dell'Essere (o di una totalità, di un tutto, siapure perduto). E sia quella di Spinoza ~ di Leopardi. Leggo e bevo lì l'esserecome un· PerPJgouge turati, i cui elementi sembrano disporsi liberamente (è il caso di Abschied von Gestern, La ragazza senza storia, 1965), a organismi saldamente programmati, magari ad alto potenziale metaforico, in cui ogni componente svolge una funzione precisa ed è inserita in un quadro intellettuale particolarmente intenso (è il caso di Artisti... ). Questa dualità strutturale trova una sorta di sintesi e di compenetrazione nelle opere più r~- centi di Kluge Die Macht der Gefuehle (La forza dei sentimenti), 1983 e Der Angriff der Gegenwart auf die ubrige Zeit (L'attacco del presente al resto del tempo), 1985, che paiono mantenere la varietà, l'eterogeneità e la complessità di una forma aperta, riconducendo tuttavia ogni elemento differente ad un sistema di significazione e ad un progetto discorsivo esattamente definito e coerente. In un clima culturale caratterizzato da un tendenziale «ritorno all'ordine» e nella situazione particolare tedesca, in cui il nuovo cinema si afferma attraverso un ricupero del narrato ed un'attenzione al modello americano, pur modificati e trasformati in profondità, Kluge persegue con ostinata determinazione la ricei'cadi una forma difficile, di un cinema 'U.-.c.. -r Une passion, 1922 (particolare) fondato su procedimenti di decostruzione intellettuale del presente. Fedele ad un metodo di scrittura «barbaramente nuovo» che opera una sorta di metaforico «taglio del bosco» del cinema contemporaneo -come scriveva anni fa Frieda Grafe su Filmkritik- il Kluge degli anni Ottanta continua a rifiutarsi di ricondurre allo schema narrativo-rappresentativo il proprio cinema ed elabora una sorta di scrittura dell'oscuro, il cui messaggio appare sempre problematico. Ma mentre ne La forza dei sentimenti Kluge sembra orchestrare un discorso più attento all'assunto teorico e quindi all'articolazione di una serie di situazioni esemplificative e dimostrative, che all'elaborazione linguistica del materiale, in Der Angriff der Gegenwart auf die ubrige Zeit il discorso è più complesso, perché Kluge ripensa e rielabora ulteriormente la struttura linguistica de La forza dei sentimenti, da un lato rendendo più enigmatico ed ambiguo il messaggio del film, e dall'altro lavorando anche sulla suggestione del visivo, sui suoi margini di indefinibilità e sull'invisibile che racchiude. Così il filmè il luogo di un processo di ricerca UnlibrosuJohnFord incanto», scrive Francesco Leonetti («Il senso dei classici» in Nuovi Argomenti, n. 13, terza serie, gennaio-marzo 1985), e così Anderson descrive le sue impressioni, prodotte dalla visione di Sfida infernale: «Restai ipnotizzato, ma non con l'atteggiamento pieno di condiscendenza degli amanti degli western. Mai prima d'allora un film mi aveva colpito così afondo. E non riuscivo a capireperché. In termini tradizionali, 'letterari', non c'era niente di particolarmente originale: il genere non era nuovo, e così la trama; anzi, la storia di Wyatt Earp, dei suoi fratelli, del vecchio Clanton e dei suoi figli era già stata raccontata almeno due volte. C'era forse un fascino speciale nel personaggio di Clementine Carter, un lirismo speciale che derivava dalla sua presenza. L'interpretazione di Fonda aveva la straordinaria forza interiore, la sottigliezza e la semplicità che caratterizzano la migliore recitazione cinematografica. C'era un calore particolare, una straordinaria familiarità con atmosfere e temi tradizionali. Le immagini erano superbe, la musicà perfettamente evocativa. Ma nessuna di queste qualità facilmente identificabili, da sola o insieme alle altre, sembrava spiegare il fascino del film. Esso emanava da una caratteristica insieme più sfuggente e più profonda, da una specie di poesia morale... ». La percezione del classico, dunque, implica un «incanto» di fondo, una inedita coerenza dei significati della totalità, un senso ad essa irriducibile. Il valore di John Ford di Anderson sta nel riprodurre le condizioni del classico all'interno della scrittura e del progetto Mario Sesti critico del libro. In esso non si trovano né metodologie originali o rivoluzionarie, né analisi critiche magistrali ma solo il tentativo di riprodurre o descrivere la ricchezza della differenza del cinema di Ford (il classico per antonomasia nel cinema) dall'esistente cinematografico. Così come in Ford non si troveranno originali e sperimentali movimenti di macchina o tecniche fotografiche (se non nei momenti più deboli del suo cinema, secondo Anderson), così nel libro difficilmente si identificheranno ascendenze o influenze disciplinari, eredità critiche. Anderson, come un classico saggista inglese, cita Yeats e Woodsworth, adotta senza remore il più sconcertante impressionismo e in nome del più immediato degli empirismi dedica l'ultima sezione critica ad una disamina corrosiva della letteratura critica su fohn Ford, dell'intellettualismo francese, inglese e americano, di cui lascia in piedi ben poca parte, anche se su di un autore come Anderson che si abbandona a celebrazioni imbarazzanti («Generosità, fedeltà, sincerità: qualità non soltanto degne di rispetto ma anchepiacevoli e capaci di far bella la vita») sarebbe sin troppo facile fare dell'ironia. Eppure, gran parte del libro ha gli stessi pregi di un film di Ford: l'ingenuità delle idee non riesce minimamente a scalfire la potenza dello stile e del racconto, anzi lo rafforza conferendo al suo moralismo un insospettabilefascino. Come accadeper le interviste che Anderson ebbe da Ford in momenti molto differenti. È certo discutibile l'importanza che la conoscenza dell'uomo possa avere nella penetrazione dell'opera, e an~hequi sarebbe sin troppo facile esibire argomentazioni schiaccianti, eppure le informazioni che i ritratti di Ford fatti da Anderson ci danno sono a volte insostituibili. Come quando Anderson, chiedendo a Ford di parlare dei suoi film, gli chiede proprio di Sfida infernale: «Non l'ho mai visto, disse Ford». Non si può certo stabilirese ciò sia vero effettivamente, ma dà l'idea del rapporto tra immaginario e tecnologia che nell'epos del cinema riproduce quasi l'imprecisione della comunicazione e diffusione orale. L'importante è la precisione dell'articolazione del mito che ren- / de ininfluente, la sua rielaborazione. L'ostentato disinteresse di Ford per il contenuto estetico di ciascun film (inevitabile, per certi versi, in un regista che ne ha realizzati più di un centinaio), per l'analisi del- /' opera come tale, sia in quanto scelta di un determinato soggetto che di un particolare linguaggio, è il segnale di una pratica del cinema che è produzione mitopoietica ininterrotta, ritualizzazione continua degli oggetti del mito. Per Welles, alle soglie della modernità del cinema, esso è essenzialmente montaggio in quanto è nelle scelte che in esso si attuano che il senso si determina; per Ford il cinema è sostanzialmente la fase delle riprese, - nella gerarchia del set, nella messa in scena dello spazio, nella sua gestione per la mani[estazione del senso, nei totali della Monumental Valley come nei primi piani di Henry Fonda o Maureen O'Hara. Il montaggio, in essi, era già inequivocabilmente iscritto. E ancora nell'intervista (nell'ultima, poco tempo prima che Ford morisse) Anderson raggiunge il frammentario, che si sviluppa attraverso la giustapposizione di matériali .estremamente eterogenei con messe a fuoco improvvise ed oscure e meditazioni e pedinamenti più dilatati. Raccoglie brandelli differenti, seleziona immagini ambigue, mediante un'agglutinazione di elementi disparati, di difficile leggibilità, ma di sicura pertinenza. Lo spettatore deve confrontarsi con un linguaggiodi idee, interpretare segni ambigui, esercitare a fondo la sua intelligenza. Come in un saggio, Kluge costruisce razionalmente l'itinerario di ricerca, disponendo il materiale secondo un ordine e un principio compositivo che solo lentamente disvela. Così, Der Angriff der Gegenwart auf die ubrige Zeit costituisce un'ipotesi di cinema di pensiero, ma non a programma, - e qui è la differenza rispetto a La forza dei sentimenti-, è una pratica di scrittura impura che realizza non solo «un'infrazione al sedicente realismo del modo abitudinario di guardare», ma una immersione nell'enigma medesimo del cinema. N onostante uno spazio abbastanza consistente sia dedicato ad alcuni capitoli narrativi, raccontati naturalmente in una forma anomala, il nucleo essenziale del film risiede nelle parti visivo-concettuali e nell'episodio del regista cieco, che-evocadirettamente il problema del visibile e del massimo di intensità mimetica con l'oggetto della sua passione critica quando riproduce la scena di un dialogo tra il vecchio,e malato regista dell'onore e della religiositàe se stesso (autore conosciuto per i suoi furori antitradizionalisti), come il dialogo di due vecchi commilitoni. Come Ethan in Sentieri Selvaggi, Anderson si avvicina alla soglia della porta, si volta verso Ford prima di andarsene: «'C'è niente che vuoi?' - 'Solo la tua amicizia' - risponde Ford. - 'Ce l'hai'». Sono le ultime parole che Anderson rivolse a fohn Ford. Il libro sembra trovare i suoi momenti migliori, anche e proprio in senso critico, quando cessando di separarsi dal suo oggetto ne tenta una transcodifica letteraria trasferendo sull'autore, o sulla sua reinvenzione, lo spessore del suo cinema. Ciò consente al discorso critico di illuminarsi in maniera del tutto particolare e anche di tentare una soluzione di uno dei classici problemi della critica cinematografica, la differenza di struttura tra il proprio linguaggio e il suo oggetto. E forse l'unico modo possibile di parlare dell'inspiegabile fascino di Lincoln che si allontana sotto la pioggia nel finale di Alba di gloria, o di Wyatt Earp che saluta sorridendo Clementine, nell'ultima inquadratura di Sfida infernale, promettendole un impossibile ritorno. Lindsay Anderson , John Ford Milano, Ubulibri, 1985 pp. 310, lire 29.000

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==